L’appello di un grande ricercatore: tre cambiamenti nella formazione dei giovani
-
di SILVIO GARATTINI
Se voglio sapere se la
terra è sferica, se voglio cambiare le caratteristiche di una pianta, se voglio
sapere se un farmaco fa bene o fa male non lo posso chiedere alla filosofia,
alla musica o al greco: lo devo chiedere alla scienza, che, come tutte le
attività umane, compie errori, ma ha in sé la capacità di correggerli perché
nella scienza ha valore solo ciò che è riproducibile da altri ricercatori e con
altre metodologie. La scienza appartiene al 'sapere' che è fatto di tanti tipi
di conoscenza che la scuola deve saper integrare attraverso docenti, a tutti i
livelli scolastici, formati per operare nel senso indicato.
Ce n’è a sufficienza per
chiederci cosa si debba fare. Non dimenticando che le possibilità di
informazione si sono arricchite di nuove tecnologie come radio, televisione,
banche dati, piattaforme informative, internet. Oltre al fatto che sono
avvenuti profondi cambiamenti nella popolazione. Vent’anni orsono i diciottenni
in Italia erano un milione, oggi sono meno della metà. Infine, le importanti
modifiche avvenute nella società hanno aumentato le conoscenze 'non-scolastiche'
dei giovani, con il risultato che l’età dell’adolescenza è diminuita iniziando
oggi intorno ai 10 anni.
Tenendo in conto anche
questi elementi, per semplificare mi riferirò a tre – necessari – grandi
cambiamenti, senza ovviamente entrare nei particolari che sono competenze degli
esperti di didattica e pedagogia. Il primo cambiamento richiede la presenza
nella scuola della scienza come componente della cultura. Purtroppo, nella
stessa Costituzione si dice che lo Stato supporta la scienza e la cultura. Sono
due cose diverse? In qualsiasi rubrica giornalistica, televisiva di tipo
culturale la scienza è raramente presente, e spesso viene discussa in una
pagina o in un programma a parte. Qualcuno potrebbe obiettare che la scienza è
presente nella scuola attraverso le materie scientifiche come chimica, fisica,
biologia. È vero, ma quelli sono i contenuti della scienza che spesso sono
superati da altre conoscenze che si aggiungono velocemente in tempi sempre più
brevi. Ciò che manca è la scienza come fonte di conoscenza, una conoscenza
unica non sostituibile che si ottiene grazie a una specifica metodologia. In
altre parole, la scuola non educa alle fatiche del metodo scientifico.
Un secondo cambiamento
riguarda l’eccessivo ancoraggio al 'passato' della scuola italiana. In
realtà, di quasi tutte le materie si insegna la storia: della letteratura,
della filosofia, dell’arte, anche se l’insegnamento della storia dei popoli e
delle nazioni si ferma molto spesso alla Prima guerra mondiale, sorvolando non
di rado su cosa è stato il fascismo, il nazismo, le dittature, la Shoah. Ciò
nonostante, questo determina nello studente certamente una buona conoscenza del
passato. Sappiamo molto bene – ed è importante saperlo – da dove veniamo, ma
non sappiamo dove andiamo. Ciò determina una scarsa capacità, che si riflette
logicamente anche nella classe politica, di pensare al futuro, di capire cosa
si deve fare per averne uno migliore. La mancanza di protocolli per affrontare
una pandemia o per pensare in tempo a preparare un vaccino è frutto anche di
questa distorsione. Abbiamo grandi difficoltà a sviluppare strategie. Quanti
sono, ad esempio, i piani pluriennali a livello comunale, regionale, nazionale,
che vengono poi realizzati e controllati in materia di produzione e consumo di
energia? Sapere dove andiamo, a quale porto vogliamo approdare, si può
apprendere solo se la scuola ci fornisce gli elementi fondamentali.
Un terzo cambiamento
riguarda la 'passività' degli studenti dalle elementari all’università.
Regna ancora la lezione 'frontale' in cui si deve ascoltare, ma non c’è un
incitamento a fare domande, a esprimere opinioni diverse. Occorre invece fare
in modo che gli studenti facciano almeno una parte delle lezioni. Esistono oggi
enormi fonti di informazione a cui ci si può riferire, per cui gli stessi
studenti possono fare una parte delle lezioni. I professori dovrebbero essere
d’aiuto per indicare le fonti, correggere gli errori, completare le lacune.
Meno 'temi' e più riassunti. Molti maturandi non sono in grado di riassumere in
modo adeguato ciò che hanno letto. Occorre anche che la scuola sia più attiva
nel mettere a disposizione laboratori interni o esterni in cui gli studenti
possano vedere come la teoria si traduce poi in attività pratica. Ciò dovrebbe
facilitare una formazione che permetta di essere più vicina alle richieste del
mondo dell’impresa e del lavoro. Ci si deve augurare che i politici capiscano
la necessità di questi cambiamenti. Se non si faranno, la scuola sarà sempre
meno la fonte della cultura di cui la nostra società ha bisogno.
Nessun commento:
Posta un commento