Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse:
«Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui.
Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo
glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Scegli di amare
Commento di p. Paolo Curtaz
Cosa ci rimane?
Nel caos che ha attraversato le nostre vite, nella frenesia del quotidiano
stordente e avvilente, nella paura, del Covid, del vaccino, della guerra. Come
possiamo sopravvivere a questo tempo malsano?
Una cosa sola: ancora alzare lo sguardo. Ancora amare. Perché essere
discepoli significa lasciarsi amare e imparare ad amare. Diventare agapetoi,
amati, che è uno dei nomi con cui venivano chiamati i discepoli del Maestro. Coloro
che si scoprono amati. Gli amati.
Perché noi crediamo nel Dio di Gesù,
un Dio felice che ci vuole felici. Imparando ad amare. Questo dà gloria a Dio.
Per cinque volte in una frase Gesù
parla di gloria e di glorificazione e di come lui, grazie al Padre, sta per
essere glorificato.
Magnifico. Forse Gesù pensa che, nonostante tutto, alla fine la sua
missione avrà successo e le cose, improvvisamente, assumeranno un’altra piega.
Fiducioso. Ottimista. Finanche inebriato. Solo che queste parole le dice
durante l’ultima cena, poco prima di essere arrestato. Le dice nel momento
stesso in cui il suo destino è segnato. Le dice quando Giuda esce per andare a
denunciarlo. Gesù insiste, esagera: ora sono stato glorificato, dice.
Nel momento più doloroso del tradimento, quando una persona che ti ama e
che ti ha seguito ti inganna, Gesù afferma che potrà manifestare pienamente la
sua gloria.
Ma lo è lo fa? No, Gesù compie qualcosa di straordinario: guarda al di là
del presente, vede il bicchiere mezzo pieno, non si chiude in se stesso,
depresso o rabbioso, per il tradimento. Poiché Giuda lo sta tradendo potrà
dimostrargli che gli vuole bene sul serio.
Proprio perché sta per essere ucciso, potrà manifestare a tutti gli uomini
quanto li ama, quanto ci ama, quanto è serio il suo amore. Nel tradimento di
Giuda vediamo la misura dell’amore di Gesù.
Giuda si è perso, certo, vero.
Ma il Signore non è venuto proprio a salvare chi era perduto? La perdizione non è, appunto, il luogo
teologico della salvezza? Non veniamo
salvati proprio perché, prima, ci siamo smarriti? Con Giuda Gesù potrà
dimostrare qual è la misura dell’amore di Dio: l’assenza di misura. Ogni uomo
che prende coscienza di sé si pone la domanda: sono perduto o salvato?
Gesù risponde: sei perduto e sei salvato.
Gli apostoli non capiscono, come non hanno capito il gesto della lavanda
dei piedi. Pietro, poco dopo, dirà che egli è disposto a dare la vita per Gesù.
Pietro, ormai, si prende per Dio, lo vuole salvare. Gesù gli ricorderà che è lui a dare la vita
per i suoi discepoli.
Un gallo canterà, ricordando a Pietro il suo limite. Non per Dio deve
morire, ma con lui. Tutto ciò che può fare il discepolo è imitare il Maestro,
non sostituirlo.
Gesù parla della sua gloria, una gloria che consiste nel manifestare quanto ci ama. E chiede a noi di fare altrettanto. La gloria è poter dimostrare il proprio amore. Un amore sano, centrato, luminoso, concreto, umile, oblato, fecondo, rispettoso, liberante, libero. E se, invece di passare la vita ad elemosinare un applauso, a mendicare un apprezzamento, a far pesare il dolore della piccola fiammiferaia che c’è in noi, iniziassimo a voler amare?
Amatevi
Tra Giuda e Pietro gli altri evangelisti pongono l’ultima Cena. Giovanni
salta il racconto della cena per sostituirlo con la lavanda dei piedi: la
liturgia è falsa se non diventa servizio al fratello debole. Giovanni osa di
più: tra i due tradimenti e le due salvezze (Giuda è salvato dal male, Pietro
dal finto bene) inserisce l’unico comandamento dell’amore. Gesù chiede di
amarci (amare me, amare te) dell’amore con cui egli ci ha amato. Corregge gli
altri evangelisti. Il più grande comandamento non è amare Dio e il prossimo.
Ma amare il prossimo con l’amore che riceviamo da Dio. Amare dell’amore di Dio. Del suo amore, col suo amore. Non con l’amore di simpatia, di scelta, di sforzo, di virtù. Con l’amore che, provenendo da Cristo, può riempire il nostro cuore per poi defluire verso il cuore degli altri. Io non riesco ad amare le persone antipatiche, né quelle che mi fanno del male. Solo l’amore che viene da Dio, un amore teologico, mi permette di poter amare al di sopra dei sentimenti e delle emozioni.
Medaglie
Dall’amore dobbiamo essere conosciuti. Non dalle devozioni, non dalle
preghiere, non dai segni esteriori, non dall’organizzazione caritative, ma
dall’amore. L’amore è ciò che maggiormente deve stare a cuore nella Chiesa. Che
sia vero, che sia libero, che diventi evidente. Non teorico, non vincolato (ti
amo se), non umorale. Un amore più grande che dà vita. Perché a volte l’amore
mortifica. Un amore in equilibrio tra emozione e scelta, tra enfasi e volontà,
che diventi concreto e fattivo, tollerante e paziente, autentico e accessibile,
che sappia manifestarsi nel momento della prova e del tradimento.
Vuoi dare gloria a Dio? Lasciati amare. Impara ad amare. Scegli di amare.
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