È NECESSARIO SAPERE ASCOLTARE
Domenica 29 la
Giornata mondiale delle Comunicazioni, dal Messaggio del Papa un invito per
tutti. Rivoltella: facciamo spazio agli altri.
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di PIER CESARE RIVOLTELLA*
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Il tema del Messaggio del Papa per la
56esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali (domenica 29 maggio) è di
particolare attualità: l’ascolto, la capacità di ascoltare. Per il settimo anno
consecutivo l’editrice Scholé-Morcelliana di Brescia lo mette al cento di un
volume, curato dall’Ufficio Comunicazioni sociali della Cei e dal Cremit, il
Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Innovazione e alla Tecnologia
dell’Università Cattolica. La struttura è scandita in tre sezioni: la prima
dedicata alla riproduzione del testo del Messaggio; la seconda costituita da
una serie di commenti chiesti a testimoni significativi, portavoce di punti di
vista differenti; la terza fatta di schede operative per l’uso pastorale e
didattico del Messaggio nella scuola, al catechismo, nei contesti
socio-educativi. L’idea all’origine della serie di volumi è la volontà di
fornire ai contesti ecclesiali uno strumento che serva a valorizzare
questa Giornata che giunge troppo tardi, quando l’anno pastorale volge ormai al
termine. Ed è un peccato, perché i Messaggi sono molto belli, vanno in
profondità e consentirebbero alle comunità di mettere a fuoco un tema, quello
dei media e della comunicazione, che non si può non ritenere centrale nelle
nostre vite e di conseguenza nel lavoro educativo.
Il
volume di quest’anno – oltre ai commenti mio e di Vincenzo Corrado – ha chiesto
spunti di riflessione alla filosofia (Salvatore Natoli e Giovanni Scarafile),
alla poesia (Arnoldo Mosca Mondadori ed Erjugen Meta), alla spiritualità
(Sabino Chialà), alle professioni della comunicazione (Paolo Ruffini e
Valentina Alazraki), all’arte (come dimostra la bellissima copertina di Walter
Capriotti, tratta da un disegno originale creato appositamente per
l’occasione). Il risultato è un’analisi polifonica, ricca di spunti. Ne
isoliamo alcuni.
Il
punto di partenza, fenomenologico, è la difficoltà dell’ascolto in una società
del rumore come la nostra. Il rumore è paura istintiva del vuoto (horror vacui), perché nel vuoto,
nel silenzio, ci raggiungono le domande essenziali, quelle che contano, che
chiedono di metterci in gioco uscendo dalla nostra zona di conforto. Il rumore
è anche chiacchiera, un parlare di tutto, sempre, anche quando non si avrebbe
nulla da dire. La chiacchiera, nel giornalismo, diventa responsabilità
civica, perché non consente di appurare la verità e favorisce uno sguardo
superficiale sulle cose quando non la spettacolarizzazione di tutto, anche
della guerra, anche della sofferenza umana.
Passare
dal rumore al silenzio – è un secondo spunto – significa lasciare spazio alla
voce dell’altro. Seguendo soprattutto la riflessione di Levinas è
possibile vedere come questa voce divenga appello e convochi la responsabilità
di ciascuno. Essere responsabili non significa semplicemente disporre di una
sensibilità etica; significa capire che l’appello dell’altro, in quel preciso
momento, è rivolto a me e non ad altri e quindi, se non rispondo io, non
risponderà nessuno. Essere capaci di ascolto significa uscire dal falso dialogo
che in fondo ci fa comunicare in modo autoreferenziale solo con noi stessi (è
il duologo di cui parla Kaplan, nel bel saggio cui il testo del Messaggio fa
esplicito riferimento) e disporsi ad accogliere veramente l’appello
dell’altro.
Se
l’apertura all’altro è sincera, se l’ascolto è veramente tale,
trasforma. L’ascolto trasforma chi lo pratica: vale nei
momenti di difficoltà, nei periodi bui dell’esistenza
(come nell’esperienza del carcere), vale nella vita di
meditazione e di preghiera. L’ascolto che trasforma dà la
forza di vivere il servizio. Capita nel laboratorio di liuteria
della Casa dello Spirito e delle Arti dove il
legname proveniente dalle imbarcazioni naufragate al largo
di Lampedusa diviene simbolicamente strumenti che nell’intenzione
del
progetto vogliono raggiungere tutte le orchestre del mondo. Capita meditando
la Parola di Dio, quando ci si accorge che il nostro Dio è Parola, Parola che
entra nel mondo, si fa carne, e chiede di essere ascoltata e riconosciuta.
Si
può dire che queste siano le tappe di un piccolo itinerario educativo: dal
rumore e dalla chiacchiera, all’ascolto dell’appello dell’altro, all’ascolto
della Parola. Si comprende bene come l’esito non possa che essere una pedagogia
dell’ascolto. Di essa meritano di essere evidenziati due momenti. Anzitutto
l’ascolto di sé. Agostinianamente, « in interiore homine habitat verum ». Si tratta di
trovare spazi per sostare in se stessi, per vincere la tendenza all’esposizione
tipica della nostra società mediatizzata: non il fuori, ma il dentro è il luogo
in cui attingere ciò che autentico. E poi l’ascolto del mondo e dell’altro. Che
vuol dire un’attenzione ecologica a entrare in risonanza con gli altri e con le
cose. La risonanza, il risuonare, l’essere accordati con il mondo e con gli
altri, per il filosofo tedesco Hartmut Rosa sono i vissuti di chi sa rinunciare
ad assecondare a tutti i costi la cultura dell’accelerazione che ci risucchia a
ogni istante. Per entrare in risonanza occorre far cessare il rumore: solo nel
silenzio si distinguono i suoni, solo il silenzio consente di ricominciare
davvero ad ascoltare nel senso profondo del termine: ascoltare con il cuore.
*Ordinario di Didattica e Tecnologie
dell’istruzione Direttore del Cremit Università Cattolica Milano
www.avvenire.it
MESSAGGIO PONTIFICIO
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