- Si avvicina, con giugno, la fine dell’anno scolastico e anche qui, alla scuola “Aldo Moro” di Bucarest, è d’obbligo tirare le somme del cammino percorso in questi mesi. Per me, che dopo parecchio tempo ho ripreso ad insegnare, si è trattato di un’esperienza davvero significativa tanto che i risultati sono tangibili.
Tra le numerose proposte
rivolte ai ragazzi, l’ora settimanale di narrativa è stata forse la più
stimolante.
Premetto che, durante
tutta la mia carriera di insegnante, ho privilegiato sempre questo spazio,
attribuendogli un valore altamente pedagogico. Fin dai primi anni di lavoro,
avevo concepito la struttura di quest’ora in forma molto semplice: io leggevo e
i ragazzi ascoltavano. Due le regole da rispettare: nessuno studente poteva disporre
del libro che solo io avevo il compito di “gestire”; nessuno studente poteva
interrompere la “magia” della lettura, salvo che per chiedere il significato di
un vocabolo fino a quel momento a lui sconosciuto. Mai ho pensato di esigere
dagli alunni la compilazione di schede con attività predefinite o, peggio, che
producessero un qualche riassunto sul contenuto del libro in corso di lettura.
Quell’ora doveva rappresentare un puro “piacere”. Ciascuno era chiamato poi a
verificare se davvero era stata mantenuta la promessa: che cioè leggere poteva
considerarsi un’avventura seria e che cominciare un libro era come varcare il
confine di un territorio incontaminato nel quale inoltrarsi con curiosità e
desiderio. Vietato mancare all’appuntamento!
È pur vero che, nel
corso degli anni, il disamore per la lettura è cresciuto esponenzialmente,
complice il dilagare della tecnologia; così i libri hanno perso, insieme alla
carta, il loro fascino antico. Quand’ero piccola io, leggere veniva considerato
un rito: il libro si toccava, si annusava, si sfogliava, ci si stupiva delle
figure e dei disegni disseminati tra le pagine e destinati tutti a sollecitare
l’immaginazione e la fantasia del lettore.
Potrà sembrare
incredibile ma quest’anno, nella mia classe, è successo qualcosa di simile:
intendo dire che la lettura ha rappresentato un’esperienza “gratuita”. La
scelta è caduta su due testi perfettamente calzanti ad una prima media. Nei
mesi autunnali, ci ha accompagnato Dino Buzzati con La famosa invasione degli
orsi in Sicilia, nota fiaba che racconta della guerra tra il Granduca di
Sicilia e re Leonzio, sovrano degli orsi. Con l’opzione successiva de Il leone,
la strega e l’armadio, l’autore inglese C.S. Lewis ha saputo trasportarci nel
mondo incantato della fantasy.
Se è vero come è vero
che l’educazione è un rischio, anche in questo caso ho avuto modo di
riscoprirlo: perché, mi sono chiesta, hai deciso di leggere proprio questi
libri? Che ipotesi intendi verificare durante la lettura in classe? Dove vuoi
portare i tuoi studenti senza necessariamente forzarli a guardare quello che tu
hai già visto, ma lasciandoti piuttosto sorprendere da quello che loro saranno
in grado di vedere?
Con queste domande e un
po’ di trepidazione, siamo partiti…
E così, partecipando
alle avventure degli orsi, abbiamo scoperto insieme quanto dannoso sia
trincerarsi dietro il pregiudizio. Ogni pagina del libro puntualmente lo
documentava: se nei primi capitoli, in forza del pregiudizio che gli umani
nutrivano verso gli orsi, erano questi ultimi le vittime designate, col
procedere degli eventi i ruoli si andavano via via capovolgendo ed era il
popolo degli orsi che, conquistato il potere, assumeva nei confronti della
realtà un approccio pregiudiziale. Riscontrare poi in classe, nei rapporti tra
compagni, posizioni analoghe e poterle insieme riconoscere e giudicare è stata
l’occasione per un ulteriore arricchimento.
Anche il libro di Lewis
non ha tradito le aspettative: sfidare la mentalità dominante sull’uso della
ragione è un rischio che prima o poi si deve correre. I due dialoghi che – in
apertura e in chiusura del libro – intrattiene il professore con i quattro
giovani protagonisti della storia, sono stati una pista preziosa per accorgersi
di come anche il mondo della fantasia possa, a pieno titolo, riguardarci: il
regno di Narnia che esiste oltre l’armadio rappresenta l’orizzonte sconfinato
del proprio cuore: dopo averlo per la prima volta scoperto, capiterà, un
domani, di ritornarci: “Non cercate di andarci di proposito – raccomanda il
professore –. Vi capiterà di tornarci quando meno ve lo aspettate. Non
parlatene troppo neanche tra voi quattro; agli altri non dite nulla a meno che
non vi succeda di incontrare quelli che hanno avuto avventure simili alle
vostre. Come farete a riconoscerli? Lo capirete subito e il segreto verrà fuori
da solo. Tenete gli occhi bene aperti!”.
Tenere dunque bene
aperti gli occhi: un’indicazione di metodo che conosciamo. Chissà se,
conservando tale attenzione, diventeremo capaci un giorno di metterci noi al
“seguito” degli studenti, fino ad “annotare”, di loro, quello che,
imprevedibilmente, ci fa sobbalzare.
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