- Mentre l’invasione
voluta da Putin prosegue, a dispetto dei negoziati per una sospensione almeno
temporanea delle ostilità, è impossibile non porsi alcune domande inquietanti
suscitate dai suoi effetti collaterali. Me ne viene in mente, immediatamente,
almeno una, che nasce dalla bella risposta dell’Europa alla vicenda dei
profughi.
Sono quasi quattro
milioni di persone sradicate dalla loro terra, che hanno perduto tutto, e che
ora si tratta di accogliere, nei limiti del possibile, di integrare nei Paesi
europei. È ammirevole lo slancio di generosità che ha corrisposto a questa
tragedia. Da ogni parte del nostro continente si sono mobilitate risorse umane
e materiali perché questi sventurati non venissero abbandonati al loro destino
ma trovassero, per quanto possibile, sostegno e ospitalità.
Due pesi e due misure
Di fronte a questo
scenario, sicuramente confortante, non si può evitare, però, di provare un
senso di stupore. Perché quella stessa Europa che accoglie a braccia aperte e
con una incondizionata solidarietà gli ucraini in fuga dalla loro terra
devastata, ha fino a poche settimane fa chiuso ostinatamente le sue frontiere
ai profughi provenienti da territori non meno tormentati e da disastri umani
non meno drammatici. In alcuni casi si sono presi accordi con governi
extra-europei, come la Turchia e la Libia, perché, con le buone o le cattive
(gli osservatori dicono che per lo più si verifica il secondo caso) li
trattengano prima che partano.
In altri, li si ferma al
varco, bloccandone l’ingresso sulla soglia. Per questo nel 2015, con fondi della
UE, è stato allestito il campo profughi di Moria, sull’isola di Lesbo,
distrutto nel settembre 2020 da un incendio e sostituito da quello di Kara
Tepe. Un campo nato per essere provvisorio, ma che in realtà è diventato un
limbo – c’è chi dice un inferno – da cui non è stato più possibile proseguire
verso il “paradiso” dell’Europa.
Il Commissario europeo
per gli Affari interni, Ylva Johansson, ha dichiarato: «Le condizioni a Moria,
sia prima che dopo l’incendio, erano inaccettabili… Non basta dire mai più,
abbiamo bisogno di agire e tutti gli Stati membri devono fare la loro parte».
Il termine “inaccettabili” è in realtà un eufemismo. Nel nuovo campo – come nel
vecchio – manca l’acqua corrente, le famiglie con figli piccoli sono costrette
in tende di fortuna o in container, alloggi del tutto inadeguati a sopportare
il freddo invernale e il caldo estivo.
Non ci sono servizi
igienici o docce, non c’è sistema fognario, assistenza sanitaria, né sono
previste norme di prevenzione del contagio da Coronavirus. Il cibo spesso viene
distribuito solo una volta al giorno. Inoltre, mancando quasi totalmente
l’illuminazione, donne e bambini di notte sono ancora più esposti di prima al
rischio di subire abusi e violenze. In questo campo profughi – il più grande
d’Europa – i minori sono il 45% della popolazione, ma solo pochissimi ragazzini
vanno alla scuola vera e propria, al massimo una minoranza intercetta qualche
corso delle ONG.
Esseri umani
Perché degli esseri
umani dovrebbero accettare di vivere in queste condizioni? La risposta è
semplice: perché ci sono costretti. Il campo è di fatto una prigione.
Circondato da recinzioni di filo spinato e sorvegliato a vista da poliziotti
che ne controllano il perimetro e gli accessi, vietando l’ingresso ai
giornalisti. A parte tre ore, due volte la settimana, ai migranti è proibito
uscire se non per emergenze sanitarie o altri motivi medici. «Le politiche di
contenimento mettono a rischio la salute delle persone costringendole a vivere
in una condizione paragonabile a una prigionia, con conseguenze devastanti»,
spiegava Augusto Cezar Meneguim, responsabile medico di Medici senza frontiere
a Lesbo. Quando, a dicembre, papa Francesco è andato a Lesbo, ha denunciato che
l’impegno economico dell’Europa «si riduce a costruire muri e fili spinati».
«Vi prego, questo naufragio di civiltà!» ha implorato.
Una svolta di 180 gradi
Le ragioni dei governi
responsabili di questa situazione – ampiamente supportati, peraltro,
dall’opinione pubblica dei loro rispettivi Paesi – sono note: non si possono
accogliere tutti (ma l’ideale sarebbe di non accogliere nessuno), per non
rischiare di dover dividere con loro risorse e posti di lavoro che è giusto
riservare ai propri giovani. Il risultato è che di fatto, malgrado alcune vaghe
dichiarazioni rassicuranti, chi, come l’Italia, si trova più esposto al flusso
migratorio, viene lasciato solo nel fronteggiarlo.
Per questo anche da noi
si è spesso paragonato questo flusso a una invasione da cui bisogna difendersi
con qualunque mezzo. Non dimentichiamo che, durante il primo governo Conte, il
leader della Lega Salvini, nel suo ruolo di ministro degli interni, aveva
costruito sulle sue spettacolari prese di posizione in questo senso
un’impressionante crescita dei consensi.
Che differenza da ciò
che sta accadendo in questi giorni, più che giustamente, nei confronti dei
profughi ucraini! Anche Salvini non parla più di “invasione”, anzi in un
recente discorso si diceva «felice di sapere che entro sera altri 50 fra bimbi
e famiglie scappati dall’Ucraina partiranno in pullman per venire in Italia».
Forse si è dimenticato che anche altri giovanissimi hanno cercato di trovare un
futuro nel nostro Paese, senza riuscirci, come l’adolescente annegato nel
Mediterraneo con la pagella, piena di bei voti, cucita in tasca, nella speranza
che lo aiutasse a farsi accettare.
Avrebbe rubato il lavoro
ai nostri ragazzi? Non lo crediamo (in realtà gli stranieri trovano spazio in
occupazioni ben diverse d quelle a cui aspirano i nostri giovani). In ogni caso
questa preoccupazione non sembra sfiorare nessuno – per fortuna! – in questo
momento, davanti ai rifugiati ucraini. E dire che qui si tratta, secondo le
stime, di ben quattro milioni, a fronte delle poche migliaia condannati a
marcire nel campo profughi di Lesbo o lasciati affogare nel Mediterraneo! E’
solo per questi ultimi che non c’è mai stato, e continua a non esserci, posto
tra noi…
Le “ragioni” di un
rifiuto
È vero, i migranti che
abbiamo sempre respinto non sono europei, come gli ucraini. Ma è un motivo per
rifiutarli? Appartiene alla più antica tradizione dell’Occidente l’idea che
l’ospite, chiunque sia, è sacro, proprio nel suo essere “altro” da chi lo accoglie,
in quanto semplicemente essere umano. A maggior ragione questa convinzione
dovrebbe permeare un popolo, come il nostro e, più in generale, quello europeo,
che è stato plasmato dal cristianesimo.
Proprio nelle fede
cristiana qualcuno ha cercato appiglio per giustificare il respingimento di
quelli che, nella visione comune, vengono sommariamente etichettati come
islamici. Si tratta, è stato detto, di difendere la nostra identità cristiana.
Misconoscendo – o semplicemente ignorando – che molti di questi migranti sono
copti, evangelici o cattolici. Ma se anche fosse vero che seguono una religione
diversa dalla nostra, sarebbe nello spirito del vangelo respingerli per questo
nella loro disperata condizione?
Si potrà infine far
notare che i rifugiati ucraini fuggono da una guerra devastante. E gli afghani,
i siriani, i libici, i somali, da dove si crede fuggano? «Mentre spesso si
parla di guerre finte, questi profughi sono veri e scappano da guerre vere», ha
detto Salvini per giustificare il suo radicale cambiamento di rotta. Forse
ignora che nel mondo ci sono decine di altre terribili guerre fin troppo “vere”
– alcune combattute proprio a poca distanza da noi, come quella che si è svolta
in Siria, o quella in Libia…
Nella migliore delle ipotesi il problema non è la guerra, ma la prospettiva di una vita miserabile, a cui questi migranti preferiscono perfino il rischio mortale del viaggio nei barconi.
È questo che li rende meno “veri”?
Sono interrogativi che
dobbiamo porci. Senza per questo rischiare di compromettere la nostra identità.
A maggior ragione se riteniamo che sia quella cristiana. Proprio il vangelo ci
invita a non accogliere solo chi ci è immediatamente gradito, ma anche e
soprattutto chi è diverso, ma non per questo meno fratello, meno sorella degli
altri. Per far sì che non accada mai più che un ragazzo che desiderava solo di
essere felice venga trovato annegato, con la sua pagella cucita, nelle acque
del nostro mare.
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