DI QUARESIMA -
- Commento al Vangelo domenicale
di don Andrea Vena
-
Il brano odierno è
tratto dal vangelo di Giovanni: Gesù si trova nel tempio di Gerusalemme a insegnare
al popolo. Il testo è introdotto da un brano tratto dal libro di Isaia, che
all’inizio fa memoria di quanto Dio ha compiuto nel deserto – “Aprì una strada
nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, che fece uscire carri e
cavalli”, chiaro richiamo all’Esodo (cfr Es 13,17ss) – ma subito invitando a
non fermarsi al passato, ma a guardare alle cose più grandi che Dio è pronto a
fare:
“Non ricordate più le
cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa
nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”. Quella “cosa nuova” è la
Pasqua di Gesù, che apre una strada nel deserto dell’esistenza per introdurci
nella Terra Promessa del paradiso. Questo porterà a cantare con le parole del
salmo: “Grandi cose ha fatto il Signore per noi”. Con questa chiave di lettura,
accostiamoci al testo del vangelo.
Gesù
si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio
e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio,
la posero in mezzo e gli dissero: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in
flagrante adulte- rio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne
come questa. Tu che ne dici?”. Dicevano questo per metterlo alla prova e per
avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per
terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro:
“Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. E,
chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno
per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in
mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha
condannata?”. Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch’io ti
condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”.
L’evangelista descrive
la scena mostrando Gesù seduto nel tempio circondato dalla folla, come faceva
Mosè, il quale stava seduto nell’accampamento per risolvere le questioni che la
gente gli poneva (cfr Es 18,13ss). Scribi e farisei giungono davanti a Gesù con
un interrogativo riguardo una donna scoperta in adulterio. Non cercano tante
risposte quanto, come sottolinea il testo, un motivo per accusarlo (v. 6). Se
Gesù non conferma la condanna e non approva l’esecuzione, può essere accusato
di trasgredire la Legge di Dio; se, al contrario, decide a favore della Legge,
perché allora accoglie i peccatori e mangia con loro (cf. Mc 2,15-16 e par.; Lc
15,1- 2)?
Fermiamoci un istante
sulla donna e notiamo alcuni atteggiamenti degli scribi e dei farisei. La
pongono nel mezzo (Gv 8,3), umiliandola di fronte a tutti; dicono pubblicamente
la sua colpa (8,4) e la chiamano “una donna come questa” (Gv 8,5). Da queste brevi
pennellate, cogliamo che scribi e farisei non ritengono che la donna abbia
semplicemente commesso un peccato, ma che sia lei stessa “peccato” (una scena
che ricorda e in parte rimanda all’esperienza di Susanna, Dn 13,14ss). Seconda
la Legge la condanna è corretta, ma in questo caso è parziale, perché la Legge
dice che la lapidazione è per entrambe gli adulteri, non solo per la donna, e
qui manca l’uomo complice! (cf. Lv 20,10 e Dt 22,22). Già questo dato mostra
che la questione è manipolata. E mentre scribi e farisei sono impegnati
nell’umiliare la donna fissandola con malignità e urlando il suo peccato, Gesù
tace e scrive sulla polvere (un gesto ancora oggi non compreso: tra i tanti
significati, può richiamare il gesto con cui Dio scrisse le Dieci parole:
“…Quando il Signore ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede
le due tavole della Testimonianza, tavole di pietra, scritte dal dito di Dio”,
Es 31,18), senza mettere nessuno in imbarazzo.
Solo di fronte alla loro
insistenza – “Poiché insistevano…” (v. 8) – Gesù prende la parola. Ma il suo
intervenire prende tutti in contropiede. Infatti, scribi e farisei hanno posto
al centro la donna, quasi a volersi distanziare dalla sua condotta di vita e
quindi dal suo peccato. Gesù, invece, coinvolge tutti: “Chi di voi è senza
peccato, getti per primo la pietra contro di lei” (Gv 8,7b). La Legge stessa
chiedeva che anche il testimone doveva essere senza peccato (cfr Dt 20,16ss). I
primi ad andarsene sono i più anziani che comprendono che Gesù ha ragione! Di
fronte tale pronunciamento, ciascuno è stato costretto a misurarsi dentro con
se stesso, ad ammettere che davanti a Dio tutti indistintamente si è peccatori.
Alla fine, quando ormai
tutti se ne sono andati, rimangono solo Gesù e la donna. Gesù si alza e con
misericordia rivolge la parola alla donna: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha
condannato? (Gv 8,10). Non le rin- faccia il peccato, ciò che ha fatto; non
rivanga il suo passato, ma traccia per lei una via nuova (cfr Isaia I lettura:
“Non ricordate più le
cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa
nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete). “Donna”! E’ lo stesso
appellativo che Gesù ha rivolto a sua Madre (Gv 2,4), alla samaritana (Gv
4,21), alla Maddalena (Gv 20,15). Rivolgendosi a lei in questo modo, Gesù le
ridà dignità: non una peccatrice, ma una donna, restituita alla sua vita. A lei
Gesù domanda: “Dove sono i tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella
rispondendo: “Nessuno, Signore (Kýrie)”, fa una grande confessione di fede in
Gesù, il Signore. Sant’Agostino sintetizza magnificamente questa scena con
l’espressione: “rimasero solo loro due, la misera e la misericordia”. Gesù non
rinfaccia a questa donna il suo peccato, ma offre a lei una nuova opportunità,
non la inchioda al suo passato, ma apre per lei una strada nuova, quella della
speranza: “Non ricordate le cose passate…”. Una speranza sostenuta e
incoraggiata dalle parole stesse di Gesù: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora
in poi non peccare più”. Così scribi e farisei, i quali andandosene riconoscono
di essere peccatori, se ne tornano a casa con il carico dei loro peccati,
mentre questa donna se ne torna a casa perdonata!
Gesù è venuto ad aprire
la “strada nuova”: strada di misericordia, di salvezza, di speranza, di vita.
Lungo questa strada siamo invitati a procedere per fare della nostra vita una
cosa nuova e grande con il Signore. E la cosa più grande che Gesù ha portato è
la vittoria sul peccato e sulla morte, tanto che agli occhi di Dio il nostro
peccato è come una parola scritta sulla polvere, dura poco, basta un colpo di
vento e scompare.
Lo spartiacque capace di
cambiare il nostro modo di vedere le cose è l’incontro con Gesù. Per gli
accusatori, perché d’ora in poi non potranno più accusare nessuno senza
ricordarsi di essere ugualmente complici del male che vedono nell’altro; per la
donna, per la quale sembrava non esserci più futuro. Il futuro invece c’è, e
nasce dall’incontro con un Uomo che l’ha guardata con misericordia, trasformando
la sua vita, aprendo strade nuove lì dove sembrava che non ci fossero altre
possibilità, perché una sola è la premura di Dio, quella che il peccatore si
converta e viva (cf. Ez 18,23; 33,11).
“Va’, e d’ora in poi non
peccare più”, dice Gesù. Quel “Va’” è verbo di missione: Gesù non attende di
vedere il cambiamento, la conversione. L’ha perdonata, lasciando alla sua
libertà il tempo di cambiare. Questa è la giustizia che ha salvato anche Saulo
di Tarso, trasformandolo in san Paolo, come ci ricorda la II lettura scelta per
questa domenica (cfr Fil 3,8-14). L’invito di Gesù alla donna, “va e d’ora in
poi non peccare più”, è la stessa grazia che farà dire all’Apostolo: “So
soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò
che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a
ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3,14).
Come Gesù ha fatto con
gli scribi e farisei, così oggi invita ciascuno di noi a compiere dei passi. Il
primo, passare dalla “legge da eseguire” alla “legge da assimilare” come norma
interiore che rimanda alla pro- pria responsabilità personale: “Chi di voi è
senza peccato scagli la prima pietra”. In secondo luogo, ricordarsi che il
peccato non esiste perché ho disatteso un comandamento, ma per aver mancato
verso il Signore Dio, buono e grande nell’amore, sempre pronto a venirci
incontro pur di renderci partecipi della gioia della sua festa (cfr domenica
scorsa, Lc 15), perché Lui sa di che pasta siamo fatti (ceneri). Dobbiamo stare
quindi attenti a non diventare gli “scribi e i farisei” di oggi, fiscali nella
legge ma incapaci di amare, di comprendere, di perdonare, di dare nuove
opportunità. Non siamo chiamati a divenire ambigui e fiscali come gli “scribi e
i farisei” del vangelo, ma ad essere “Misericordiosi com’è misericordioso il
Padre del cielo” (cfr Lc 6,36ss). È più facile e rassicurante essere fiscali
con una legge certa (gli anziani saranno i primi ad andarsene via, perché
consapevoli di non vivere quello che pretendono: (“cfr “… scribi e i farisei.
Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere,
perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle
spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito…” Mt
23,1-12, che aperti e disponibili alla fantasia della misericordia di Dio,
capace a suggerire sentieri nuovi per salvare gli altri.
Il testo odierno ci fa
guardare con fiducia alla Settimana Santa ormai vicina: nessuno è escluso da
questa esperienza di Amore misericordioso, nessuno! Forse c’è ancora chi è solo
capace di inchiodarci al senso di colpa per i nostri peccati; chi si ferma a
puntare il dito contro la pagliuzza che c’è nell’occhio del fratello e non si
accorge della trave che c’è nel suo (cfr Lc 6)… Non è l’obbedienza alla legge
che mi dona la gioia di sentirmi amato, ma è il lasciarmi amare da Dio che
infonderà in me la gioia di obbedire alla legge!
Rassicurati in questo,
prepariamoci con verità alla Settimana Santa ormai vicina. Accostiamoci al
sacramento della Riconciliazione con fiducia: è l’abbraccio del Padre che ci
viene incontro, che ci accoglie, che ci abbraccia… che ci invita a partecipare
alla sua festa, alla sua gioia. Non temiamo di gettare in Lui ogni nostra
fatica, imbarazzo, vergogna… portiamo tutto nel suo cuore misericordioso,
gettando in Lui il peso del nostro male senza lasciarci incatenare dal dubbio,
che è opera del diavolo. Dio desidera solo che nessuno vada perduto, ma tutti
abbiano modo di convertirsi.
In fondo in
quell’adultera ciascuno di noi può rivedersi. Tutte le volte che il maligno e/o
il fariseo/scriba che è in me, mi illude che la realtà sia diversa da quello
che è fino a farmi sentire sempre in colpa di fronte a Dio a tal punto da
rintanarmi dietro i cespugli delle mie paure e vergogne (cfr Gn 3). Così non
avanzo più nella crescita interiore, non gusto più la vita, non mi assumo più
impegni e responsabilità…restando bloccato. Invece oggi la Parola di Verità mi
ricorda che il mio cuore/la mia vita è più grande del mio peccato e anche se il
mio cuore mi condanna, Dio è più grande del mio cuore e mi dice che mi ama (cfr
1Gv 3,10); mi dice che Lui mi offre sempre nuove opportunità, mi apre sempre
strade nuove: basta che impari ad accorgermene, anche con l’aiuto di chi ho accanto.
Ma anch’io a volte sono
come gli scribi/farisei, pronto a puntare il dito, a innalzarmi a maestro e
giudice, senza misericordia, come il figlio maggiore (cfr Lc 15, domenica
scorsa). La prima vittima sulla quale sfogo la mia ingiustizia sono me stesso,
quando non so darmi nuove possibilità; quando guardo solo negativo, quando non
sono capace di dare giusto peso ai fatti della vita, anche sbagliati, quando
permetto che il senso di colpa logora il mio cuore, non dandogli speranza e
fiducia. E poi, punto il dito sugli altri, neanche fossi tanto migliore. Ma non
è così. Oggi la Parola mi e ci dice che c’è sempre una possibilità nuova che si
apre innanzi a me, a ciascuno di noi. Vorrei così rileggere il cammino della
Quaresima proprio alla luce della cifra/della categoria della Parola.
L’ascolto della Parola
mi ricorda che anche se sono cenere, sono amato da Dio (ceneri). La forza della
Parola mi ricorda che posso superare le tentazioni (I domenica).
La luce della Parola mi
ricorda che c’è un’opera d’arte in me (II domenica).
La guida della Parola mi
aiuta a comprendere che ogni attimo della vita custodisce altro (III domenica).
Il ricordo della Parola mi aiuta a rientrare in me stesso e a tornare sui miei
passi (IV domenica).
La verità della Parola
mi ricorda che io non sono peccato, ma commetto peccati (V domenica). E Dio si
fece PAROLA e venne ad abitare in mezzo a noi (Natale).
Riprendo quanto detto
sopra, perché è il cuore di tutto: con la forza e la gioia della Misericordia
impareremo a cambiare. Lo dice la stessa Colletta (preghiera che il sacerdote
recita dopo l’atto penitenziale, facendo sintesi del messaggio biblico: “Dio di
misericordia, che hai mandato il tuo Figlio unigenito non per condannare ma per
salvare il mondo, perdona ogni nostra colpa – si noti, PERDONA -, perché
rifiorisca nel cuore il canto della gratitudine e della gioia”: prima c’è il
perdono, poi il canto di lode. Cioè, solo facendo prima esperienza dell’Incontro
con la Misericordia troveremo gioia e coraggio per intraprendere cammini nuovi,
a tal punto da dire con san Paolo: “Ritengo che tutto sia una perdita a motivo
della sublimità della conoscenza di Cristo, mio Signore”.
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