La notizia che
l’Assemblea generale dell’Onu ha sospeso la Russia dal Consiglio dei diritti
umani si aggiunge alle tante che in questi giorni stanno registrando il
crescente isolamento internazionale di questo Paese (come quella
dell’esclusione del governo di Mosca dal Consiglio d’Europa, o quella della
proposta di espellere Russia dal G20).
Biden ha espresso la sua
soddisfazione per una decisione che
dimostra «quanto la guerra di Putin abbia fatto della Russia un paria
(…). Noi continueremo a lavorare con le nazioni per far rispondere la Russia
delle atrocità commesse, e per alzare la pressione sull’economia russa, e
isolare la Russia dal palcoscenico internazionale». La decisione è stata presa
a larga maggioranza. Non però tale da essere del tutto unanime Sono 93 i Paesi
che si sono pronunciati a favore, mentre 24 si sono opposti e 58 si sono
astenuti.
Tra i contrari, molti
storici alleati di Mosca, come Cina, Cuba, Bielorussia, Siria e Vietnam e altri
che lo sono diventati di recente grazie agli aiuti militari ricevuti dal
Cremlino, come Mali, Gabon e Zimbabwe. Nella lista degli astenuti, inoltre,
figurano tra gli altri l’India il Brasile, l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti,
l’Indonesia, la Giordania, l’Iraq, il Messico, la Nigeria, il Qatar e il
Sudafrica. Particolarmente significativa la presa di posizione della Cina: «Il
dialogo e il negoziato sono l’unica via per uscire dalla crisi in Ucraina», ha
detto l’ambasciatore cinese all’Onu, Zhang Jun, dopo il voto. «Questa
risoluzione», ha aggiunto, «aggrava le divisioni tra gli Stati membri, aggiunge
benzina al fuoco, e non aiuta i colloqui di pace».
La fine del dialogo
Dicevamo dell’isolamento
della Russia. Alla luce di questi dati sarebbe forse più corretto parlare –
come hanno fatto sia i ministri degli esteri di Russia e Cina, sia il
presidente degli Stati Uniti – del delinearsi di «un nuovo ordine mondiale» (se
di “ordine” si può parlare…). Ciò che sembra destinato a caratterizzarlo è la
fine del dialogo tra le maggiori potenze che, pur con mille difficoltà e
incomprensioni, aveva segnato la fine della “guerra fredda” e che aveva trovato
un incentivo nella crisi dell’ideologia comunista. Sulla base di una comune
accettazione della logica neocapitalista, il confronto tra Russia e Cina da una
parte e Stati Uniti ed Europa occidentale dall’altra si era sempre più
trasferito sul piano economico, pur non mancando di tradursi in occasionali
tensioni locali.
Ora, invece, il mondo
sembra destinato ad essere teatro della radicale contrapposizione tra due
blocchi di potenze in aspra lotta tra loro anche sul piano politico e,
potenzialmente, su quello militare. Non è una prospettiva rassicurante. Ma è
quella che emerge dagli ultimi eventi. A scatenare la reazione a catena cui
stiamo assistendo – checché ne dicano i critici della Nato e degli Stati Uniti
– è stata la folle scelta di Putin di invadere un Paese vicino con la pretesa
di riportarlo nell’orbita russa, come ai “bei tempi” dell’Urss.
Allo stesso modo è
puramente ideologico accusare l’Ucraina di essersi difesa e i Paesi occidentali
di averla aiutata, fornendole armi atte a respingere l’invasione. Se la pace
dev’essere autentica, non può nasce dal cedimento di un popolo alla prepotenza
altrui e dalla rinunzia alla propria libertà. Una guerra giusta non esiste in
assoluto, ha ragione papa Francesco, ma all’interno di quelle, tutte ingiuste,
a cui assistiamo, è possibile distinguere il ruolo di chi aggredisce e quello
di chi, aggredito, legittimamente difende le proprie case e le proprie
famiglie.
La metamorfosi del
conflitto
Questo è stato l’inizio.
Ma il conflitto, come raccontano le vicende degli ultimi giorni, sta ormai
prendendo un piega diversa, allargandosi al di là dei due protagonisti iniziali
– Russia ed Ucraina – e trasformandosi in uno scontro mondiale mascherato.
Incalzato dalla foga oratoria e diplomatica del presidente Zelens’kyi, che
ossessivamente l’ha accusato di non fare abbastanza per sostenere il suo Paese,
l’Occidente ha sempre più assunto l’atteggiamento di protagonista diretto dello
contro. Non ha ancora impegnato direttamente le sue truppe, ma il tipo di
appoggio che ormai dà all’Ucraina non è più soltanto quello meramente
difensivo, come all’inizio.
In questo contesto, al
di là delle parole, l’obiettivo dei contendenti espliciti e di quelli
mascherati non è certo la pace. Non lo è da parte di Putin, che dopo aver
sottovalutato vistosamente le capacità di reazione del coraggioso popolo
ucraino, si trova adesso a non poter fermare una guerra, affrontata finora dai
comandi militari russi con incredibile incompetenza e leggerezza, senza
giustificarla con qualche risultato positivo.
Non lo è però neppure di
Zelens’kyi che ha abilmente spettacolarizzato il conflitto e che, nelle sue
richieste di negoziato, ha mantenuto sempre un atteggiamento provocatorio ben
poco atto a favorire il dialogo. Non lo è della Nato che, invitando il ministro
degli esteri ucraino a partecipare al suo Consiglio non ha certo contributo a
rassicurare Putin sulla futura neutralità dell’Ucraina.
E non lo è degli Stati
Uniti che, per bocca del presidente Biden, hanno sistematicamente gelato ogni
più timida prospettiva di distensione con dichiarazioni così violente e
aggressive da far intervenire, per cercare di smorzarle, la sessa diplomazia
americana. L’obiettivo dichiarato e perseguito sia con misure politiche sia con
le sanzioni economiche, sempre più esasperate, è ormai di «isolare la Russia
dal palcoscenico internazionale» e facendole prendere atto di essersi ridotta
al ruolo di «paria», come ha detto Biden.
L’accerchiamento
diplomatico ed economico dovrebbe, nelle intenzioni, spingere i russi a
ribellarsi contro il loro premier e destituirlo. In questo senso vanno le
dichiarazioni di Biden, in cui egli è arrivato a mettere in discussione la
legittimità del governo di Mosca. In questo senso va la richiesta di sottoporre
Putin a un processo presso la corte penale internazionale (che peraltro né la
Russia né gli Stati Uniti hanno mai riconosciuto!), se non addirittura, come ha
proposto all’Onu Zelens’kyi, istituendo un nuovo tribunale analogo a quello di
Norimberga che giudicò i crimini nazisti.
Tutto ciò,
sfortunatamente, non tiene conto del fatto che un popolo colpito e circondato
si compatta e diventa più unito nel sostenere il proprio leader, come
confermano i sondaggi indipendenti che segnalano, contro le aspettative
dell’Occidente, un crescente consenso dei russi nei confronti di Putin.
Emblematica la presa di posizione su Instagram delle più popolari influencer
russe contro le sanzioni e a favore del loro presidente.
In ogni caso, la storia
ci insegna inequivocabilmente che, se anche l’obiettivo della vittoria
dell’Occidente fosse plausibile, una grande nazione sconfitta e umiliata
diventa estremamente pericolosa (vedi l’insorgere del nazismo nella Germania
uscita con le ossa rotte dalla pace di Versailles…). Soprattutto quando dispone
di missili a testata nucleare. Il «nuovo ordine mondiale», rischia, così, di
essere quello dell’odio e della paura.
E del resto sembra che a
questa prospettiva anche in Europa ci si prepari, più che alla pace, con il
riprendere di una frenetica corsa agli armamenti che sembrava rallentata negli
ultimi decenni, e che sta portando perfino la Germania a riarmarsi, suscitando
a chi ha un po’ di memoria antichi fantasmi.
Di fronte a questi
scenari inquietanti ritornano alle mente le parole di papa Francesco: «Una
guerra sempre, sempre, è la sconfitta dell’umanità». Questa sicuramente lo è.
C’è chi, come Putin, non nasconde affatto di volerla continuare fino al
raggiungimento, a qualsiasi prezzo, dei propri obiettivi. Ma anche chi dice di
volerne la fine forse deve essere più coerente nel comportarsi di conseguenza.
Nella speranza di riuscire ad evitare la nascita di un «nuovo ordine mondiale»
fondato sull’odio e ribadisce le richieste dell’Ucraina agli alleati.
L’Onu sospende la Russia
dal Consiglio dei diritti umani
L’Assemblea Generale
dell’Onu ha approvato con 93 voti a favore la richiesta degli Usa di sospendere
la Russia dal Consiglio dei diritti umani di Ginevra. Nella bozza di
risoluzione – tra i cui co-sponsor c’è anche l’Italia – si chiede di
«sospendere il diritto della Russia di far parte» del Consiglio esprimendo
«grave preoccupazione per la crisi umanitaria in Ucraina, in particolare per le
notizie di violazioni e abusi del diritto internazionale umanitario da parte di
Mosca».
A colpi di forbicioni su
Instagram. Così le influencer
russe fanno letteralmente a pezzi le iconiche borsette Chanel per vendicarsi
del blocco delle vendite della maison francese ai cittadini della federazione
all’estero. «Nelle boutique occidentali chiedono dati identificativi e quando
chiami dal tuo numero russo, i venditori dicono: “Ora vendiamo cose ai russi
solo con la promessa che non le porteranno in Russia e non le indosseranno”»;
scrive la cantante, conduttrice e attrice, Anna Kalashnikova, ai suoi 2,4
milioni di follower.
“Non un singolo articolo
o marchio vale il mio amore per la mia Patria e il rispetto di me stessa. Sono contro
la russofobia e sono contro i marchi che sostengono la russofobia. Se possedere
Chanel significa vendere la mia Patria, allora non ho bisogno di Chanel”,
dichiara sul suo profilo Marina Ermoshkina, 28 anni, conduttrice televisiva e
attrice, che ha espresso la sua indignazione prima di tagliare in due – con una
certa fatica, invero – la sua borsa.
La stessa modalità
scelta dalla modella Victoria Bonya, oltre nove milioni di follower. “Mai visto
un marchio così irrispettoso nei confronti dei propri clienti”, il commento
della ex PlayBoy che cinque anni fa venne fermata all’aeroporto internazionale
di Los Angeles con l’accusa di spionaggio per i servizi segreti russi.
La campagna social, con
tanto hashtag #byebyechanel, arriva dopo l’ulteriore blocco delle vendite che è
seguita alla chiusura delle boutique in Russia della società parigina in
risposta all’invasione dell’Ucraina. Di difficile applicazione, e senza approfondire
il funzionamento, Chanel ha confermato la nuova policy in linea con
l’inasprimento delle sanzioni contro Mosca stabilito dal Consiglio europeo
dello scorso 15 marzo.
Le più recenti leggi
sanzionatorie dell’Ue e della Svizzera includono un divieto di “vendita,
fornitura, trasferimento o esportazione, direttamente o indirettamente, di beni
di lusso a qualsiasi persona fisica o giuridica, entità o organismo in Russia o
per l’uso in Russia”, ha dichiarato la Maison in un comunicato.
Immagine: Deamstime.com
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