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di MAURIZIO SCHOEPFLIN
Per comprendere l’intento che ha spinto Gualtiero Lorini a scrivere il non facile volumetto Elogio dell’invidia (Carocci, pagine 104, euro 12) può essere opportuno partire dalla seguente domanda: perché consideriamo positivamente l’atteggiamento dell’allievo che ammira il maestro e cerca di emularlo, mentre, al contrario, lo consideriamo negativamente se ne 'invidia' la bravura? Che cosa distingue in maniera così netta i due stati d’animo, tanto da richiedere di essere giudicati in maniera così radicalmente diversa? Il lavoro di Lorini, che si muove tra metafisica, fenomenologia e antropologia, si presenta proprio con lo scopo di indagare a fondo l’identità dell’invidia, in modo da non confonderla con altre inclinazioni quali la gelosia, la disapprovazione o la malevolenza.
La prima fondamentale acquisizione che l’autore
raggiunge consiste nella certezza che l’invidia «si sottrae a una definizione
univoca in virtù della sua natura dinamica», che «deriva dalla frizione tra
l’autorappresentazione che ciascuno inevitabilmente opera nel momento in cui è
cosciente di sé e la realtà esterna con la quale non sempre tale
autorappresentazione si trova in perfetta armonia. Da questo disaccordo
scaturiscono quelle manifestazioni, rivolte solitamente alle persone più
vicine, che vengono rubricate come 'invidia' e che in realtà sono solo reazioni
allo scontro fra la rappresentazione del proprio mondo e l’esperienza di quello
reale».
A Lorini, ricercatore in Filosofia teoretica presso la
Cattolica di Milano, preme collocarsi nella posizione dell’indagatore che non è
interessato a emettere giudizi morali, ma a comprendere le strutture
esistenziali che precedono le azioni e i comportamenti. Dopo che, però,
sant’Agostino ha definito l’invidia «il peccato diabolico per eccellenza» e
san Gregorio Magno ha affermato che «dall’invidia nascono l’odio, la
maldicenza, la calunnia, la gioia causata dalla sventura del prossimo e il
dispiacere causato dalla sua fortuna», è ancora possibile tessere un elogio di
questo sentimento?
A questo proposito, in un’intervista rilasciata al
sito Letture.org, Lorini afferma che il titolo del suo saggio deve essere
inteso in senso provocatorio, in quanto ciò che egli prende in esame non è il
vizio «condannato unanimemente sul piano etico», bensì «quella disposizione
eticamente neutra, ma antropologicamente strutturante, che ci porta a diventare
noi stessi in virtù di un ineludibile confronto con l’altro». Convinto che sia
necessario risemantizzare il termine invidia, l’autore sostiene: «Io cerco di
sottrarlo all’ambito etico che valuta intenzioni e azioni, e lo colloco in una
dimensione esistenziale, preriflessiva, matrice di condotte che vanno ben al di
là di quelle che l’etica condanna come viziose».
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