La politica non può essere separata
dalla morale
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di Giuseppe Savagnone*
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Quando, il 24 febbraio
scorso, le truppe russe invasero senza preavviso l’Ucraina, con l’evidente
intento di soffocare la libertà di un popolo che in passato troppe volte era
stato umiliato e schiacciato dai potenti di turno del Cremlino, un giusto moto
di indignazione si sollevò da parte della grande maggioranza dell’opinione
pubblica mondiale.
Veniva smentita
clamorosamente la tesi di Machiavelli, secondo cui la politica ha proprie
regole, fondate non sul criterio del bene e del male, ma su quello
dell’efficacia e dell’inefficacia, che la rendono indipendente dall’etica. In
realtà l’unità dell’essere umano rende impossibile questa separazione. La
guerra in Ucraina ne è stata una prova. Non possiamo valutarla soltanto nei
termini asettici della realpolitik, mettendo tra parentesi la questione morale.
Ne sono una conferma le
nostre reazioni di fronte alle atroci immagini di civili uccisi a sangue freddo
a Bucha, che hanno contribuito a evidenziare la disumanità di questa
aggressione. Da qui l’approvazione che dai più è stata data, fin dall’inizio,
all’invio di armi che consentissero al coraggioso popolo ucraino, mobilitato in
tutti i suoi strati sociali, di difendere la propria terra. Al di là di ogni
logica di successo, questa scelta si è imposta perché è apparsa giusta.
Pacifismo e pace
Già in questa fase, per
la verità, si erano levate delle voci di dissenso, in nome di un pacifismo che
avrebbe preferito la resa incondizionata degli aggrediti ai sacrifici e ai
lutti provocati dalla loro resistenza. Anche questa, peraltro, era una
valutazione morale del problema politico. Solo che nasceva da una concezione
molto riduttiva della pace, identificata automaticamente con l’assenza di
guerra.
In realtà, proprio in
una prospettiva etica, essa è molto di più. Lo spiegava papa Francesco durante
l’Angelus del 4 gennaio 2015: «La pace non è soltanto assenza di guerra, ma una
condizione generale nella quale la persona umana è in armonia con sé stessa, in
armonia con la natura e in armonia con gli altri». Echeggia in queste parole la
definizione che Agostino aveva dato del concetto di pace come «tranquillità
dell’ordine». Dove “ordine” implica innanzi tutto libertà e giustizia. Senza di
esse, lo si ridurrebbe a quello espresso nella famosa frase dal ministro
francese Sebastiani, nel 1831, dopo la spietata repressione russa della rivolta
polacca: «L’ordine regna a Varsavia».
Per questo, nel
messaggio per la Giornata della pace del 1984, Giovanni Paolo II distingueva il
significato di “pace” da quello di “pacifismo”: l’uomo di pace, osservava il
pontefice, «ha il coraggio di difendere gli altri che soffrono e rifiuta di
capitolare davanti all’ingiustizia, di compromettersi con essa; e, per quanto
ciò sembri paradossale, anche colui che vuole profondamente la pace rigetta
ogni pacifismo che equivalga a debolezza o a semplice mantenimento della
tranquillità. In effetti, quelli che sono tentati di imporre il loro dominio
incontreranno sempre la resistenza di uomini e donne intelligenti e coraggiosi,
pronti a difendere la libertà per promuovere la giustizia».
Un pacifismo che
rivendichi la ricerca della pace ad ogni costo dimentica che ci sono dei costi
incompatibili con l’idea stessa di pace. E che vi è una legittima difesa che
può richiedere il ricorso alla forza per contrastare la violenza.
La debolezza delle
obiezioni utilitaristiche
La contrarietà alla
mobilitazione in favore degli ucraini, però, oltre alle motivazioni etiche, ne
ha avute anche altre, di natura molto più utilitaristica. Così, da parte di
alcuni, si è insistito sui danni e sui disagi che le sanzioni avrebbero
provocato alla nostra economia e al nostro tenore di vita. Si sono evocati
scenari in cui il venir meno delle forniture di gas e di petrolio russi ci
avrebbero costretto a soffrire il freddo d’inverno e il caldo d’estate.
Si è sottolineata la
diversità d’interessi tra noi italiani e gli Stati Uniti. Si è parlato di una
“guerra per procura”, combattuta dagli americani sulla pelle degli europei. A
queste argomentazioni si è risposto, correttamente, che la difesa della libertà
di un popolo vale più di tutti i vantaggi materiali a cui dovremo rinunziare e
che, pur essendovi delle diversità d’interessi, vi è tuttavia con gli Stati
Uniti una convergenza di fondo su valori essenziali che in questo momento la
Russia sta calpestando.
L’invasione russa è
moralmente legittima?
Più seria e più
inquietante è stata e rimane un’obiezione che nasce da una più ampia visione
geopolitica del conflitto in corso e che collega l’operazione militare di Putin
all’espansionismo della Nato verso est in questi ultimi anni. Si sottolinea
che, dopo la caduta del muro di Berlino, era stata data assicurazione verbale
al presidente russo Gorbaciov che la Nato non avrebbe approfittato delle
difficoltà della Russia per ulteriori espansioni, che invece ci sono state. A
tal proposito è significativa la testimonianza diretta di Jack Matlock,
ambasciatore americano a Mosca dal 1987 al 1991 in un’intervista rilasciata al
«Corriere della Sera» del 15 luglio 2007
e citata nel libro dell’ex ambasciatore Sergio Romano Atlante delle crisi
mondiali (Rizzoli, 2018).
«Quando ebbe luogo la
riunificazione tedesca», diceva in essa Matlock, «noi promettemmo al leader
sovietico Gorbačëv – io ero presente – che se la nuova Germania fosse entrata
nella Nato non avremmo allargato l’Alleanza agli ex Stati satelliti dell’Urss
nell’Europa dell’Est. Non mantenemmo la parola». Così, nel 1999 Polonia,
Ungheria e Repubblica Ceca divennero a tutti gli effetti membri della Nato. Nel
2004 fu la volta di quattro Paesi ex membri del Patto di Varsavia: Romania,
Bulgaria, Slovacchia e Slovenia, nonché di tre ex repubbliche sovietiche,
Lettonia, Estonia e Lituania. Nel 2009
aderirono Croazia e Albania. Nel 2017 il Montenegro. Nel 2020 la Macedonia del
Nord.
Questo quadro, si osserva,
non poteva non allarmare la Russia e sollevare da parte sua forti resistenze
all’ingresso nella Nato di un’altra ex repubblica sovietica, appunto l’Ucraina.
Basta guardare la carta dell’Europa orientale per rendersi conto che quello che
si sta verificando è un accerchiamento della Russia da parte dell’America e dei
suoi alleati. Che tra l’altro mirerebbero, secondo questa lettura a imporre la
loro cultura decadente e immorale. Da qui la legittimità etica dell’intervento
del Cremlino e il pieno sostegno dato ad esso dalla Chiesa ortodossa, nella
persona del patriarca di Mosca.
Per una valutazione
critica complessiva
Neppure questa obiezione
all’appoggio dato all’Ucraina dall’Occidente appare però convincente. Sono
molti gli indizi che fanno pensare a un preciso disegno di Putin, volto a
ricostituire i confini del territorio, o almeno dell’egemonia, dell’ex Unione
Sovietica. Significative, a questo proposito, le sue dichiarazioni, all’inizio
della guerra, sul fatto che russi e ucraini sono un popolo solo (ampiamente
contraddette, poi, dalla strenua resistenza ucraina).
Ma anche a prescindere
da questo, la via da percorrere avrebbe dovuto essere quella del dialogo, non
un’invasione ai danni di un Paese libero, devastando sistematicamente i centri
abitati e causando l’esodo forzato di cinque milioni di persone. Non è certo
così che si difendono i valori morali che si dice di voler difendere.
Ma è un dato di fatto
che il Paese leader della Nato non ha messo, per evitare la guerra, neppure un
briciolo dell’impegno che sta profondendo invece nel sostenerla. Perché è stato
evidente l’atteggiamento di aggressività di Biden (con dichiarazioni così
estreme da mettere in imbarazzo perfino i suoi collaboratori), in piena
sintonia col presidente ucraino. Putin non ha voluto trattare, ma loro neppure.
Così, l’iniziale intento di aiutare la vittima a difendersi dal suo aggressore,
per arrivare a una onorevole pace, si è sempre più esplicitamente trasformato
in quello di vincere la guerra.
E in questa direzione è
andata anche l’escalation nella fornitura di armamenti sempre più pesanti
all’esercito ucraino, incitandolo – come in questi giorni ha fatto il governo
inglese esplicitamente – ad usarli anche per attaccare la Russia sul suo
territorio. Qui non è più in gioco la difesa dell’Ucraina, ma uno scontro tra
potenze che può terminare solo con la sconfitta e l’umiliazione del nemico. C’è
da chiedersi se, a questo punto, sia ancora l’etica della pace a ispirare la
politica, o non sia quest’ultima a servirsi dell’etica, sbandierandone i
princìpi per i propri scopi. Machiavelli, allora, avrebbe vinto…
Ma questo deve mettere
in guardia tutti. Sappiamo cosa è accaduto in Iraq all’indomani della
schiacciante vittoria americana (allora erano loro gli invasori) e della
trionfale dichiarazione del presidente George Bush Jr: «Missione compiuta». Un
caos, da cui a stento gli Stati Uniti, dopo avere provocato quella catastrofe,
sono riusciti a svincolarsi. La disfatta della Russia sarebbe molto più
pericolosa. Per tutti.
La verità è che oggi,
ormai, da una guerra non possono uscire vincitori, ma solo perdenti. Putin sarà
costretto a rendersene conto. Ma anche l’America e i suoi alleati farebbero
bene a ricordarlo.
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