e bielorussi da Wiblendon-
-
di Giuseppe Savagnone*
-Ha fatto rumore, in
questi giorni, la decisione senza precedenti dell’All England Club –
organizzatore del torneo di tennis di Wimbledon, il più antico del mondo – di
escludere dalla prossima edizione i giocatori russi e bielorussi. I
responsabili, la cui scelta è stata fatta d’intesa col il governo inglese,
hanno spiegato «con profondo rammarico» di essere ricorsi a questo passo per
«limitare l’influenza della Russia» dopo l’invasione dell’Ucraina. «In questo
modo Putin non potrà usare il più iconico dei tornei dello Slam per cercare di
legittimare gli orrori che sta infliggendo al popolo ucraino», ha spiegato il
ministro dello Sport britannico, Nigel Huddleston.
Tra gli esclusi ci sono
i russi Daniil Medvedev, numero due del mondo, e Andrej Rublëv, numero otto, e
la bielorussa Aryna Sabalenka, numero quattro del mondo. La decisione inglese
ha suscitato una dura reazione da parte del numero uno del mondo, il serbo
Novak Djokovic: «Condannerò sempre la guerra, non la sosterrò mai essendo io
stesso figlio della guerra», ha detto, «so il trauma emotivo che lascia, tutti
sappiamo cosa è successo in Serbia nel 1999. Nella storia recente nei Balcani
abbiamo avuto molte guerre. Tuttavia, non posso sostenere la decisione di
Wimbledon, penso sia folle. Quando la politica interferisce con lo sport, il
risultato non è mai buono».
Tra i critici, anche una
gloria del tennis italiano come Adriano Panatta: «Quando si parla di squadre
nazionali l’esclusione è giusta, ma per sanzionare un Paese non si dovrebbero
colpire individualmente gli atleti», ha dichiarato l’anziano campione. Contro
gli organizzatori di Wimbledon si sono schierate anche la WTA e l’ATP, le due
associazioni che riuniscono tenniste e tennisti di tutto il pianeta.
La loro posizione è
praticamente identica a quella di Djokovic: «La discriminazione basata sulla
nazionalità costituisce una violazione del nostro accordo con Wimbledon, che
prevede che ogni giocatore entra nel torneo sulla base esclusiva della
classifica». Non sembra, però, che queste critiche abbiano scosso il fronte
degli “esclusionisti”. È recentissima la notizia che anche il governo italiano
sta pressando perché i tennisti russi vengano esclusi dagli Internazionali
d’Italia che si terranno a Roma a inizio maggio.
La decisione del
Comitato Olimpico Internazionale e gli effetti a cascata
In realtà non si tratta
di una novità. Fin dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il Comitato
Olimpico Internazionale ha «vivamente raccomandato» a tutte le federazioni
mondiali di «non invitare atleti russi e bielorussi» nelle competizioni sportive
internazionali. Nel suo comunicato il Comitato sottolineava che «il movimento
olimpico è unito nella sua missione di contribuire alla pace attraverso lo
sport e di unire il mondo in una competizione pacifica al di là di ogni disputa
politica. I Giochi Olimpici, le Paralimpiadi, i Campionati Mondiali e le Coppe
del Mondo e molti altri eventi sportivi uniscono atleti di paesi in conflitto e
talvolta anche in guerra».
Solo nell’ipotesi che
«ciò non sia possibile con breve preavviso per motivi organizzativi o legali»,
ci si limitava a chiedere di «garantire che nessun atleta o funzionario
sportivo russo o bielorusso possa prendere parte sotto il nome di Russia o
Bielorussia». Ma era solo un ripiego rispetto alla decisione di fondo, che era
quella di escludere da ogni competizione sportiva, in base alla loro
nazionalità, non solo le squadre ufficiali, ma i singoli. Su questa direttiva
si sono mossi gli organismi internazionali responsabili dei diversi tipi di
sport.
Il 1 marzo scorso era
stata la Federazione internazionale di sci a prendere una analoga decisione:
«Per garantire la sicurezza e la protezione di tutti gli atleti nelle
competizioni Fis, il Consiglio Fis ha deciso all’unanimità, in linea con la
raccomandazione del Cio, che con effetto immediato nessun atleta russo o
bielorusso potrà partecipare ad alcuna competizione Fis a qualsiasi livello,
sino alla fine della stagione 2021-2022». Il 3 marzo il Cda del Comitato
paralimpico internazionale ha deciso che gli atleti di Russia e Bielorussia non
avrebbero potuto partecipare alle imminenti Paralimpiadi invernali di Pechino.
In un primo momento si era ipotizzato che lo facessero da “neutrali”, senza
essere inquadrati ufficialmente nelle squadre dei loro rispettivi Paesi, ma poi
questa misura era sembrata troppo blanda e si era definitivamente optato per
una esclusione non solo delle squadre, ma dei singoli atleti in base alla loro
nazionalità.
Andrew Parsons,
presidente del Comitato Paralimpico internazionale, ha dichiarato: «All’IPC
siamo fermamente convinti che sport e politica non debbano mescolarsi.
Tuttavia, non per colpa sua, la guerra è ora arrivata a questi Giochi e dietro
le quinte molti governi stanno avendo un’influenza sul nostro amato evento (…).
Numerosi comitati paralimpici, alcuni dei quali sono stati contattati dai loro
governi, squadre e atleti, stanno minacciando di non competere». Così, per non
far fallire l’evento, è stato necessario escludere russi e bielorussi.
Il messaggio del
Comitato Olimpico internazionale è stato recepito subito dal calcio che ha
escluso la Nazionale russa dai Mondiali e i club russi dai tornei
internazionali. Ma sono tante le discipline che a cascata stanno adottando la
linea della fermezza. Dall’hockey su ghiaccio fino alla dama: russi e
bielorussi sono fuori da tutte le competizioni mondiali ed europee. Nessuno
sconto anche dall’EuroLega di basket che ha deciso di sospendere le squadre
russe. Non solo. Se la situazione non si normalizzerà i risultati già ottenuti
da questi club saranno cancellati e la classifica delle competizioni
aggiornata.
Questa linea di
esclusione, peraltro, prescinde dalle posizioni personali degli atleti. Daniil
Medvedev sui social ha lanciato un toccante appello alla pace pensando
soprattutto ai più piccoli: «I bambini nascono con una fiducia innata nel
mondo, credono in tutto: nelle persone, nell’amore, nella sicurezza e nella
giustizia, nelle loro possibilità nella vita. Restiamo uniti e mostriamo loro
che è vero: perché ogni bambino non dovrebbe smettere di sognare».
Anche più esplicito il
collega Andrey Rublev che da giorni chiede a Putin di fermare questa guerra. E
sulla stessa linea anche il pallavolista Ivan Zaytsev, italiano di origini
russe: «Quello che stanno vivendo i nostri fratelli in Ucraina è terrificante e
ingiustificato. Sono addolorato, non è questa la Russia che conosco io».
La politica e la morale
Siamo davanti a uno
degli effetti della giusta indignazione del mondo occidentale di fronte a
un’aggressione violenta e ingiustificabile, che sta causando un esodo di massa
di uomini, donne e bambini – cinque milioni! – , la distruzione delle loro case
e, ancora più atroce, il massacro di innocenti civili. In questo drammatico
contesto, la politica – a dispetto di Machiavelli – rivendica il suo
inscindibile legame con l’etica e rifiuta di valutare gli eventi in base
unicamente alla logica dell’utile e del successo.
Non è vero che essa sia
il campo, autonomo rispetto alla morale, in cui «il fine giustifica i mezzi».
Da qui l’appassionata mobilitazione dell’Occidente – in ambito economico e
politico – per far pesare sulla Russia un isolamento internazionale che
sanzioni le sue scelte. L’etica, però, ha le sue logiche, che la politica deve
rispettare. Altrimenti il rischio è che, invece di essere la morale a ispirare
la politica, sia quest’ultima a servirsi della morale per i suoi scopi. E
questo sarebbe, dietro la sua apparente sconfitta, il più subdolo trionfo del
machiavellismo.
Ora, in una logica
morale non c’è posto per una discriminazione puramente etnica. Tutti gli
schematismi pregiudiziali che appioppano ai singoli un’etichetta, in base a
comportamenti di cui non sono personalmente responsabili – il caso più tragico
è stato l’antisemitismo – , possono essere funzionali a una battaglia politica,
ma sono in contrasto con il preteso primato dell’etica. E invocare quest’ultima
per giustificarli è un pretesto inaccettabile.
Essere sostenitori di
Putin, come gli oligarchi russi, giustamente penalizzati con il sequestro dei
loro beni per il loro ruolo nel sostenere una dittatura sanguinaria – è una
colpa. Essere russi no. A maggior ragione questo vale in un ambito, come lo
sport, dove – come contraddittoriamente ammettono gli organizzatori dei
rispettivi comitati – le logiche divisive della politica non possono essere
ammesse.
Fin dai tempi dei Greci
le Olimpiadi erano il momento in cui le ostilità e le discriminazioni venivano
superate in nome di una comune esperienza di umanità. Il caso del tennis sta
facendo rumore. Ma forse fa più pena pensare che a Pechino, nelle paralimpiadi,
dei poveri disabili, che si erano a lungo allenati nella speranza di avere
anche loro un momento di pienezza, siano stati discriminati ed esclusi per il
luogo in cui erano nati e cresciuti.
No, non è così che si
costruisce una pace degna di questo nome.
Nessun commento:
Posta un commento