"Noi genitori
responsabili".
I nostri figli cresciuti senza conoscere il rifiuto"
Cercare di spiegare
l'inspiegabile. Identificarsi nei panni di chi ha vissuto e sta vivendo il più
atroce degli incubi, ma non avere gli strumenti per gestire dolore, stupore,
rabbia. Tutta Italia è rimasta atterrita dalla storia di Giulia a un passo dalla
laurea, da Filippo che chissà come pensava di far perdere le sue tracce.
Paolo
Crepet, psichiatra e sociologo, come è possibile non saper più gestire una lite
con la fidanzata? Da dove arrivano tutta quella rabbia e quella violenza che
non siamo più in grado di controllare?
«I
nostri ragazzi non sanno gestire la frustrazione. Si mollano con la ragazzina e
vanno fuori di testa, senza proporzione. Ma questa è colpa dei genitori che non
glielo hanno insegnato. O meglio, che non li hanno lasciati liberi nella vita
di impararlo con le loro esperienze, correndo sempre a proteggerli».
Cosa
sbagliamo nell'educazione dei nostri figli?
«Pretendiamo
di proteggerli da tutto, non permettiamo che si creino gli anticorpi per
affrontare sfide e delusioni. Da quando sono piccoli. Cascare dal cavallino a
dondolo e farsi un po' di male fa parte della vita. Noi, da idioti, che
facciamo? Mettiamo la gomma piuma attorno al cavallino».
Troppa
gomma piuma, insomma.
«È
come chiedere a Jannik Sinner di giocare una partita di tennis senza punteggio.
Che senso ha eliminare i voti, le pagelle, le bocciature? Stiamo crescendo
ragazzi che non sono più in grado di affrontare la sconfitta. Gli facciamo noi
lo zaino, come se non fossero in grado. Del resto - parlo ovviamente in
generale - sono i genitori i primi a voler essere eternamente giovani. E quindi
è ovvio che i loro figli a loro volta non crescano».
Ultimamente
dietro a molti femminicidi c'è il bravo ragazzo che di colpo diventa omicida.
Cosa succede?
«Non
mi pare ultimamente. Succede che non ascoltiamo. Non impariamo mai dal passato.
Dietro al delitto del Circeo chi c'era? Un bravo ragazzo. Pasolini lo aveva
detto a suo tempo, totalmente ignorato».
Allora
cosa dovremmo imparare dal passato?
«Smettiamo
di ragionare in base allo schemino dell'uomo assassino e della donna vittima.
Non è così. C'è un film di Marco Ferreri del 1963 intitolato Una storia
moderna. L’ape regina parla di una donna che ha ridotto il marito a una specie
di fuco. L'avevano capito pure i greci. Basta con l'idea del maschio
fallocratico. Andiamo oltre».
Però
siamo arrivati a 105 femminicidi.
«Le
madri hanno insegnato alle figlie a sopportare. Ma perché? Ci sono donne che
hanno sopportato l'insopportabile: mariti violenti o alcolizzati. Ma perché
hanno trasmesso questo concetto alle figlie come fosse un valore da tramandare
di generazione in generazione? È ovvio che l'amore debba essere il contrario
della galera. È ovvio che solo una mente illiberale possa partorire l'idea di
geolocalizzarmi»
E
allora che consiglio dà ai genitori?
«Mamme,
papà siate rivoluzionari. Insegnate ai vostri figli a essere liberi. Lasciateli
sbagliare, altrimenti non cresceranno e a 22 anni non sapranno gestire cose che
avrebbero dovuto imparare a gestire a 16. Discostatevi dall'idea che la società
ha di normalità. Cosa vuol dire avere un figlio normale? Vuol dire avere il
bravo ragazzo che si fidanza con la ragazzina carina con la gonna corta ma non
troppo, che sembra Taylor Swift?
Gli
adulti dovrebbero per primi discostarsi dal concetto di «normale»?
«Pensiamo
che aver raggiunto uno stato di vita in cui andiamo fuori città il fine
settimana, abbiamo la jacuzzi e quattro soldi in tasca sia una sorta di
paradiso che ci rende felici. Questo vuol dire banalizzare. E allora poi
abbiamo bisogno di distruggere e chiamiamo la violenza amore».
Cosa
pensa dell'introduzione dell'ora di affettività nelle scuole e dell'idea di
formulare una legge?
«No
visto la proposta della Schlein e sto seguendo quel che dice la Meloni. Bello,
bello, se vogliamo metterci la coscienza a posto. Ma poi chi va a insegnare
queste cose all'istituto di Gorgonzola? L'affettività e i sentimenti non si
insegnano a scuola. Si imparano per strada, in famiglia, ovunque».
Il Giornale
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