Quella immagine (vera) di sé
che va scoperta in classe
L’orientamento non può essere appaltato a terzi, perché è nel presente delle discipline che gli studenti si mettono alla prova
-
di Martino Frizziero
In
questo inizio anno tutte le scuole hanno dovuto fare i conti con il decreto
328/2022 recante le nuove linee guida sull’orientamento emanato dal ministro
Valditara nel dicembre dello scorso anno.
Non
ci dilunghiamo qui nel descrivere o prendere in esame i documenti ministeriali
e le loro possibili applicazioni, dal momento che molti soggetti ed enti li
stanno già traducendo in suggerimenti progettuali e didattici quindi in
indicazioni pratiche. Vorremmo piuttosto dare un contributo alla riflessione
sullo scopo ultimo di questo ulteriore aggiuntivo percorso che incide sui
programmi e sulle attività di tutte le scuole.
Nel
nostro liceo si è aperto un ampio dibattito sull’applicazione intelligente di
queste norme. È importante non soltanto l’applicazione specifica delle
normative ma anche il senso e la ratio dei decreti. Cioè, guardare a quel pezzo
di vita reale che le leggi cercano di normare, al coinvolgimento di chi è
l’oggetto e il soggetto vero di queste norme.
Il
destino
Il
fatto di seguire tanti studenti e di averne seguiti tanti nella loro crescita e
nelle loro scelte di vita ci fa guardare al tema dell’orientamento avendo negli
occhi qualcosa di molto importante, molto più importante anche
dell’acquisizione di alcune determinate competenze: il destino dei nostri
ragazzi. Parola grossa e desueta.
Per
destino intendiamo la tensione a rispondere alla grande ultima domanda sul
motivo per cui siamo al mondo. A tema, in altre parole c’è l’ultima
realizzazione di me (oso dire la mia felicità), che sappiamo (ma forse è meglio
ripeterlo) non coincide con la carriera che faccio o con gli zeri che ha il mio
stipendio.
In
questo orizzonte ultimo, l’orientamento acquisisce il senso di una grande
scoperta: chi sono io, che capacità ho e quali limiti? E la grande alleata a
rispondere a questa domanda è proprio la realtà di quello che vivo, studio,
faccio. L’impatto con quello che devo fare, con il compito che mi è dato, mi
dice chi sono e quindi mi può indicare anche chi posso diventare.
Che
passione verso lo studente e che sguardo a quello che succede a lezione vengono
messi in gioco da un docente che tiene presente questo ultimo fattore! Come
spiegherebbe Dante o Mendel? Che cammino per uno studente che accettasse la
sfida di questa partita. Come studierebbe Leopardi o Newton?
Desiderio
e false immagini
L’incontro
con le cose che devo fare e la realtà apre così ad una nuova consapevolezza di
me e mi può aiutare a superare una pericolosa deriva dell’orientamento. Il
pericolo è non considerare in modo adeguato (cioè svalutare) le indicazioni che
la realtà ci dà e quindi, non considerare in modo completo sé stessi!
Il
bellissimo e affascinante motore delle scelte e dei percorsi che ogni ragazzo
compie è il desiderio di fare, di avere, di arrivare … di essere. Ma, come è
possibile che il desiderio non crei un’immagine surreale di sé, e quindi una
pretesa o una schiavitù all’immagine che si è creato?
Oggi
gli studenti dell’ultimo e anche del penultimo anno delle superiori possono
sostenere a più riprese i test di ingresso all’università. Il sistema non è più
quello dell’unico appello in cui o si passa o no, ma è scandito in più appelli
nei quali è possibile provare e riprovare a superare il test. Aprile, luglio,
settembre, febbraio, quindi ancora aprile, luglio, settembre. E da questo
dipende il loro futuro, la realizzazione dei loro desideri. Quindi importante,
quindi fondamentale, quindi tutto deve essere piegato in funzione di questo.
Però …
Nell’ottica
che stiamo proponendo è necessario guardare meglio e aprire anche la domanda
sottesa al fatto di provare il test: sono fatto per fare il medico? O il
veterinario? Che elementi mi aiutano a rispondere? Come questo desiderio ha
conferme reali affinché possa essere più sicuro che quella è la mia strada e
che io la potrò percorrere? Quali criteri guardo e mi sostengono?
Nell’esperienza
di tanti ragazzi, un’immagine falsata di sé produce infatti la scelta sbagliata
perché non parte realmente dalla scoperta di chi sono io, ma da un me che non
esiste. Basare la propria esistenza su una immagine inesistente può essere
molto fuorviante o pesante e l’alternativa potrebbe addirittura essere far
violenza sulle persone e sulle cose che hanno impedito la realizzazione di
quell’immagine. Ci si trova così a cambiare scuola o scelta universitaria al
primo anno. Alla prova dei fatti la scelta si rivela non davvero corrispondente
a quello che uno realmente è.
Ci
soccorre dunque di nuovo la realtà con i suoi segni e le persone che ci stanno
intorno, che ci guardano, che ci conoscono, cui possiamo effettivamente
domandare: sono fatto per intraprendere quel mestiere? Perché mi piacerebbe? Ho
le inclinazioni e le capacità necessarie?
In
questa prospettiva anche non passare un test di ingresso potrebbe diventare
un’indicazione sulla strada che devo intraprendere (chi lo avrebbe mai detto?)
e può significare che devo scoprire ancora qualcos’altro di me. Certamente il
test si può riprovare e bisogna avere la possibilità di prepararsi per
superarlo, ma non si tratta solamente di riprovarlo.
Orientarsi.
Due brevi suggerimenti e una conclusione.
Appaltare
esclusivamente a terzi la totalità delle attività previste per l’orientamento
potrebbe disorientare (cioè, creare l’effetto opposto di quanto si prefiggono)
se tali attività non tengono conto della reale vita scolastica, delle varie
sollecitazioni quotidiane e del rapporto studente-docente. È importante invece
riflettere per identificare, approfondire e definire in quali momenti si svela
allo studente la comprensione di sé. Ed è, seppur lungo, un bel lavoro.
Il
soggetto e non l’oggetto dell’orientamento rimane lo studente e l’oggetto è
proprio la sua stessa consapevolezza. L’idea dell’e-portfolio potrebbe avere
questo bel valore essendo una sorta di diario informatico in cui lo studente,
assieme a docenti e segreteria, riporta le esperienze che lo hanno formato.
Per
quanto detto, dunque, la profondità di un percorso orientativo si vede quando
aiuta a stare alla realtà con tutto il desiderio di compimento della propria
persona, a rimanere nel qui ed ora con l’attesa (operante e attiva) che il
proprio destino si sveli. E a partire da qui per immaginare anche il futuro.
Il
Sussidiario
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