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venerdì 25 ottobre 2024

ALFABETIZZARE LE EMOZIONI

 


-Crepet, occorre che i giovani ritornino gradatamente a vivere, ad emozionarsi, a sentire. Solo le emozioni più contrastanti aiutano a crescere senza farsi mai annullare dalla paura -

 

“L’alfabetizzazione delle emozioni non può che partire dalla piena riacquisizione di tutti i nostri sensi. La famiglia e la scuola devono aiutare il bambino a prendere possesso di questa sua.”

 L’attività lavorativa connota una parte rilevante del nostro tempo e senza accorgercene questo spesso comporta dei sacrifici: si trascurano le relazioni sentimentali e si assiste ad un “panorama affettivo molto inaridito”.

 L’analfabetismo emotivo, sul quale si sofferma il sociologo e psichiatra Paolo Crepet, rappresenta un aspetto invalidante sia per gli adulti che per i giovani, l’assenza di emozioni finisce con renderci aridi e privi di sensazioni.

 “Perché i bambini di oggi possano essere uomini e donne sentimentali di domani occorre che la scuola non sia più finalizzata unicamente alla costruzione di un’identità basata sul lavoro ma anche sul non lavoro. Gli insegnanti dovrebbero educare i loro bambini a perdere felicemente e senza sensi di colpa il loro tempo”, queste le parole dello psichiatra.

 Ciò che occorre comprendere fino in fondo è come i nuovi mezzi di comunicazione, attraverso l’avvento del progresso, abbiano completamente modificato e sovvertito il nostro modo di relazionarci, prediligendo appunto una relazione algida e virtuale ad una invece basata sulla vicinanza fisica e sull’affetto reciproco.

 L’affettività degli adolescenti si è profondamente trasformata. Occorre quindi una nuova metodologia pedagogica che sia in grado di farci riscoprire cosa siano le emozioni, le sensazioni.

 “L’alfabetizzazione delle emozioni non può che partire dalla piena riacquisizione di tutti i nostri sensi. La famiglia e la scuola devono aiutare il bambino a prendere possesso di questa sua enorme potenzialità, troppo spesso inibita e rimossa”, sottolinea Crepet nella sua riflessione.

 I genitori hanno completamente dimenticato cosa significhi abbracciare, accarezzare, baciare i loro figli, convinti che la comunicazione presupponga solo il dialogo e l’ascolto, non richiedendo nient’altro.

 Perfino il dolore e la morte vengono espulsi dal mondo affettivo del bambino, così da evitare qualsiasi evento traumatico o dolore ritenuto superfluo.

 In realtà i nostri figli hanno paura delle paure degli adulti e, nonostante questo gioco di parole, tutto ciò rende i giovanissimi sempre più fragili, incapaci di elaborare qualsiasi dolore, ovattati e cresciuti in un mondo dove tutto è edulcorato o semplicemente estremamente facilitato.

 Ed allora sono proprio le emozioni più intense, le paure, la capacità di metabolizzare i momenti più difficili, che permettono di conoscere i nostri limiti, di misurarci con la delusione, ma allo stesso modo di crescere, riappropriandoci della nostra identità.

 Non è semplice ristabilire un equilibrio spesso molto instabile ma occorre gradatamente ritornare a vivere, ad emozionarsi, a sentire; occorre riempire quel vuoto che ci attanaglia e che spesso non ci permette di vivere serenamente.

 I giovanissimi necessitano di guide e porti sicuri: educatori, genitori ed insegnanti, svolgono un ruolo fondamentale nel loro percorso di crescita, supportandoli nelle loro scelte ed aiutandoli a comprendere fino in fondo come superare i momenti più difficili così da non lasciarsi mai travolgere o annullare dalla paura.

 Non bisogna mai desistere, occorre perseveranza e determinazione per poter riscoprire la propria forza: solo in questo modo i giovani impareranno a gestire le emozioni più contrastanti senza percepire quel senso di inadeguatezza o smarrimento ma anzi avendo già sperimentato delle soluzioni alle problematiche che si presenteranno nella loro vita.

 Scuola Oggi

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giovedì 2 maggio 2024

I GIOVANI, IL CORPO, GLI AFFETTI

 


L’amore vero 

salva dagli abusi

- di Emanuela Vinai

 

«E questo mi induce a interrogarmi sulle emanazioni del corpo rappresentate dalla figura, dall’andatura, dalla voce, dal sorriso, dalla calligrafia, dalla gestualità, dalla mimica, uniche tracce lasciate nella nostra memoria da coloro che abbiamo davvero guardato». Quanta verità in questo passaggio di «Storia di un corpo» di Daniel Pennac. L’amore si riconosce da quel che si nota, e resta impresso, dell’essere amato, nella sua totalità: nel suo muoversi nel mondo, nei suoi atteggiamenti, nella luce dello sguardo, in quei piccoli difetti che diventano le perfette imperfezioni, in quella indivisibile unità tra il corpo nella sua fisicità e chi quel corpo lo fa vivere. Se è così, quanto può essere riduttivo, limitante, ristretto, un (ab)uso del corpo, considerato come disgiunto dalla persona?

 Il tema della corporeità e dell’affettività, soprattutto quando parliamo di giovani e ai giovani, è qualcosa che deve interpellarci nel saper trovare parole nuove, con radici antiche, che raccontino della bellezza di una relazione sana, improntata sul rispetto reciproco e sull’importanza, necessaria, di scoprire i limiti della persona. Quando parliamo dell’esperienza dell’affettività, facciamo riferimento a una dimensione relazionale cui va riservata un’attenzione speciale, uno spazio prezioso che occorre costruire, coltivare, custodire. L’apporto educativo della tutela dei minori passa anche attraverso l’educazione a un corpo che sia soggetto e non oggetto, a un’esperienza serena dell’affettività.

 Oggi il pensiero dominante, spinto da una certa pubblicistica che troppo spesso propone modelli di guadagno facile connessi alla svendita del corpo, è quello che si lega alla soggettività assoluta, in cui l’imperativo è la centratura su sé stessi e sul soddisfacimento dei propri desideri, senza dare valore e riconoscimento all’altro e nemmeno, paradossalmente, alla preziosità del sé. C’è una nuova generazione che cresce a contatto diretto con modi di pensare e di relazionarsi con la corporeità molto diretti, disintermediati, che nel tempo corrono il rischio di diventare rapporti di abuso, perché non c’è rispetto dell’altro. Quanto è importante individuare con precisione il valore del consenso e dell’essere consenzienti? Se ogni cosa è consumo, mercificazione, prestazione basata sull’aumento del gradimento, nel meccanismo perverso dei like, quanto può essere davvero libera la scelta di mettersi in vista a tutti i costi?

 I meccanismi dell’abuso passano anche attraverso lo sfruttamento delle fragilità, delle insicurezze, degli smarrimenti che sono connaturati al nostro essere umani e che negli anni dell’adolescenza e della giovinezza sentiamo ancora più forti. Chi sono io? Cos’è questo corpo che si trasforma, cosa sono questi sentimenti contrastanti che si agitano nel mio animo e a cui non so dare un nome? Cosa determina la mia fame di volere essere amato, visto, riconosciuto?

 Un progetto educativo che abbia a cuore una crescita autentica deve partire dalla persona, dalla sua dignità intrinseca. Chi abusa che visione ha della persona? Vede solo un essere, una cosa, che può utilizzare a suo piacimento. Nell’assenza totale di empatia e di incapacità di valutare le conseguenze delle proprie azioni si ritrova una visione nociva della sessualità e della corporeità, mentre il primo principio di una relazione sana è quello del non usarsi e non usare, impegnandosi in scelte coerenti e corrispondenti.

 Nella formazione un tema insistito è relativo alla presa di consapevolezza degli abusi. Se le segnalazioni di comportamenti ambigui (o abusanti) stanno pian piano emergendo, è perché attraverso la divulgazione delle linee guida, l’ascolto sul territorio, le pubblicazioni dei sussidi, si comprende che esistono “le parole per dirlo”. E che non abbiamo timore di usarle. La visione sistemica del fenomeno degli abusi spinge su quattro leve fondamentali: formazione, vigilanza, contrasto, accompagnamento. E tutto questo è reso possibile dal coinvolgimento della comunità tutta, perché il primo tassello di un ambiente sicuro è ruolo del contesto, che è la comunità.

 La Chiesa, nelle parole di chi se ne è allontanato, è percepita come quell’entità slegata dall’attualità, che vuole soltanto proibire. Al contrario, va reso evidente che le buone prassi aiutano a vigilare su noi stessi e gli altri per riconoscere il male in tempo. I no danno fastidio, ma dovrebbero essere pronunciati a favore di quella ricerca della felicità che approfondisce il perché, il significato di ciò che è. Per questo la prevenzione non è né accusatoria né oppositiva, ma propositiva e dinamica.

 I giovani hanno fame di queste cose, il problema è che trovano nutrimenti sbagliati. Scontiamo, a fronte di infiniti dibattiti, una preoccupante lacuna nella presenza di interlocutori e accompagnatori adeguatamente formati su temi su cui i ragazzi sono tanto sensibili quanto facilmente disorientati.

 E allora, se ci chiediamo quale contributo possiamo dare come Servizio per la tutela dei minori a quello che è il progetto educativo di una pastorale dedicata ai giovani, la prima domanda è: in che cosa possiamo lavorare insieme? La prospettiva giusta è nel camminare su un percorso comune, aiutandosi reciprocamente con quella sinergia positiva del formare e informare comunità e persone, in cui si è d’accordo che fare certe cose non è un bene. Puntiamo a un modo più bello e più sano di relazionarsi, all’essere testimoni credibili del vivere relazioni buone, in cui tutti si sentano bene. E al sicuro.

 www.avvenire.it

 

mercoledì 20 dicembre 2023

AFFETTIVITA' E RELAZIONI


Affettività e relazioni, 

cosa si muove dopo il caso “garanti” e Valditara

 


Il caso dei garanti non è stato facile da gestire in Viale Trastevere. Ora le associazioni chiedono più potere e l'autonomia di Valditara si restringe


-         di Max Ferrario

          

Il caso Cecchettin non è stato facile da gestire in Viale Trastevere. La vicenda dei garanti prima nominati e poi ritirati ha avuto infatti ripercussioni che non si sono del tutto assorbite. Conviene riepilogare brevemente la vicenda.

 La spinta emotiva, fortissima, e il pensiero di gran parte dell’opinione pubblica che poneva il problema della necessità di educare i giovani al rispetto tra generi per prevenire i femminicidi ha spinto il ministro Valditara a prendere iniziative. In una prima nota emanata il 24 novembre, il ministro ha dato disposizione alle scuole di avviare percorsi progettuali sul tema “Educazione alle relazioni”, stanziando 15 milioni a favore delle scuole secondarie di secondo grado.

La Nota non ha avuto alcun riscontro polemico poiché dava indicazioni secondo una modalità consolidata per iniziative di questo tipo: coinvolgimento attivo degli studenti, indicazione di  un docente referente, costituzione di focus group che avessero come riferimento la classe, acquisizione del consenso dei genitori degli studenti coinvolti, individuazione per ogni gruppo classe del docente che potesse fungere da animatore, formazione di ciascun docente “animatore”, attribuzione al Fonags del compito di raccordare le modalità di attuazione dei percorsi, collaborazione dell’Indire per organizzare i percorsi di formazione dei docenti e collaborazione “dell’Ordine degli psicologi e di altri organismi scientifici e professionali qualificati”.

 A questa iniziativa Valditara ha fatto seguire un video messaggio (“la violenza contro le donne è negazione dei diritti umani. La scuola costituzionale in prima linea in questa battaglia”) e il 6 dicembre, giorno successivo ai funerali di Giulia, ha inviato una lettera alle scuole invitandole a diffondere il discorso pronunciato dal padre durante le esequie.

 Fin qui tutto bene, fatto salvo qualche brontolio delle scuole per il fatto di vedersi appioppare sulle spalle nuovi impegni in aggiunta al già ricco carico ordinario.

 A questo punto il ministro ha avvertito il bisogno di una decisione politica: la nomina di un garante che coordinasse il progetto e redigesse le linee guida per le scuole. E la scelta è caduta su Paola Concia, ex deputata Pd che da sette anni ha dato vita a Didacta Italia, spin off di Didacta Germania, l’evento più importante al mondo per la scuola del futuro. La Concia è politica navigata, ma l’opzione competenza indotto Valditara a “dimenticarsi” dei trascorsi ideologici radicali pro-diritti civili di lesbiche, gay, bisessuali e transgender e portavoce del tavolo nazionale LGBT.

 La cosa più sorprendente è che il ministro abbia scelto la nomina senza un confronto con la sua maggioranza. La politica ha regole sue, una buccia di banana è sempre in agguato. Al diffondersi della notizia vi è stata subito una reazione fortissima, non solo da parte del mondo associativo familiare, anche non cattolico, ma anche di esponenti politici di partiti di maggioranza, compresa la stessa Lega, partito di Valditara. L’auto sbanda, l’unica è controsterzare per evitare di finire fuori strada: e i tempi politici sono strettissimi, poiché l’annuncio ufficiale di un garante va dato al più presto. Non c’è più tempo per ascoltare consigli, pur buoni, verificare e/o coinvolgere le parti interessate. Occorre scegliere, subito. Valditara allarga a tre il gruppo dei garanti, comunicandolo ufficialmente, e compensa la presenza di Paola Concia con due esponenti del mondo cattolico: Paola Zerman e suor Anna Monia Alfieri.

 Ma a questa seconda scelta la reazione delle associazioni è ancora più forte, basta andare sui loro siti per rendersi conto anche dei toni usati: Age, Agesc, Articolo 26, Famiglia e scuola, Insieme per educare, tra i primi, fino alla più recente intervista di Massimo Gandolfini a Pro Vita & Famiglia. Una scelta che ha messo pubblicamente in difficoltà gli esperti nominati. Le associazioni hanno sottolineato la loro stima per le persone scelte, le critiche vanno piuttosto all’impostazione e alle modalità usate. In sintesi:

 – l’educazione viene, ancora una volta, delegata in via esclusiva alla scuola, mentre su questi temi spetta alla famiglia. La scuola semmai può/deve fare da partner per sostenere le famiglie e aiutarle nel loro compito educativo;

 – l’errore di aver completamente escluso la componente dei genitori dal gruppo dei garanti.

 – il vero responsabile dell’educazione all’affettività e alla relazione sono i genitori e la famiglia, così come recita l’art. 30 della Costituzione italiana e l’art. 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

 – l’educazione alla relazione e all’affettività è strettamente legata a valori e principi che la famiglia detiene e vuole trasmettere ai propri figli, principi che possono essere molto diversi a seconda del terreno culturale e religioso di appartenenza; è improprio che lo Stato entri nelle scuole arrogandosi il diritto di toccare questi temi perché non gli spetta.

 Tutto questo è accaduto in due giorni. Il 9 dicembre Valditara ritira l’incarico ai garanti. “Il progetto ‘Educare alle relazioni’ andrà avanti senza alcun garante – spiega il ministro nella sua nota –. Nel suo svolgimento concreto si continuerà il dialogo con le associazioni rappresentative dei genitori, dei docenti e degli studenti”.

 Basterà? Probabilmente no, perché c’è già chi, tra le associazioni, chiede il ritiro del progetto ed una sua completa revisione. Questo sicuramente complicherà il già complesso lavoro che dovrà fare il ministro, poiché chi ha fatto pressioni per uno stop e lo ha ottenuto vorrà sicuramente essere coinvolto ed avere voce in capitolo, rendendo più difficile la necessaria mediazione per trovare un punto di accordo.

 E sul piano politico? Difficilmente vincerà la modalità salomonica che afferma “l’uomo saggio è colui che ha il coraggio di cambiare opinione”; il passo indietro, frutto di errori e pressioni e/o costrizioni politiche, potrebbe avere uno strascico. Quel che sarà lo capiremo nel prossimo futuro.

 Il Sussidario

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sabato 16 dicembre 2023

QUALI RELAZIONI ?


 “Educazione alle relazioni”, 

tre obiettivi da respingere al mittente

 

-     -     di Domenico Fabio Tallarico

 Le iniziative in materia scolastica che sono seguite al caso Cecchettin pongono tre questioni urgenti che vanno affrontate e attendono risposte

 L’omicidio di Giulia Cecchettin continua a suscitare discussioni e reazioni, spesso condizionate dall’emotività e non da un’attenta riflessione rispetto alle cause della tragedia.

 In particolare, è finita sul banco degli imputati una sorta di società di tipo patriarcale che sarebbe in qualche modo inculcata alle nuove generazioni, anche se nessuno ha ancora mai detto in modo esplicito come e dove verrebbe insegnata.

 Basterebbe andare a controllare le statistiche Istat su matrimoni, divorzi, separazioni e nascite per capire, dati alla mano, che ciò che sta avvenendo è una sottile battaglia ideologica di parte della sinistra e dei radicali, in parte per bollare il governo attuale come retrogrado e, nella misura del possibile, “fascista”, ma anche per introdurre all’interno delle scuole nuove ore di educazione sessuale, da sempre arma di una certa sinistra per rieducare i giovani ad idee più “moderne” e progressiste.

 La sintesi educativa di quella che ormai da anni è stata insegnata come educazione sessuale nella scuola è “fai sesso quando vuoi, con chi vuoi, come vuoi e senza tabù, l’importante è stare attenti a non rimanere incinta usando i contraccettivi” (come esempio è possibile consultare il corso “W l’amore” della Regione Emilia-Romagna); in questi anni anche l’uso del preservativo come protezione da malattie è stato messo in secondo piano, basti pensare alle grandi battaglie della sinistra sulla pillola del giorno dopo.

 Una decina di anni fa mi capitò di discutere, in un consiglio di classe di terza media, di un corso proposto dall’AUSL sull’educazione sessuale, in cui l’operatrice voleva spiegare a ragazzi di 12-13 anni una scheda in cui veniva illustrato il cambiamento del piacere sessuale sui maschi e sulle femmine in base al metodo contraccettivo utilizzato. I genitori, davanti a questa proposta e su mia segnalazione, decisero all’unanimità di bocciare il progetto e aderire ad altre iniziative più adatte all’età dei loro figli.

 Nella nostra società dopo anni di questo tipo di mentalità e dopo aver sdoganato la pornografia per i giovanissimi, in cui è evidente la continua umiliazione della donna, sarà sempre più difficile tornare a parlare di educazione all’affettività e alle relazioni e soprattutto non sarà certo un corso sulla sessualità impostato come è stato fatto fino ad ora a rimettere al centro l’importanza del rispetto e delle relazioni tra le persone.

 È da lodare l’alleanza tra maggioranza e opposizione per migliorare la legge contro la violenza sulle donne, ma sull’educazione forse è meglio non rispondere in modo reattivo sull’onda emotiva dell’assassinio di Giulia Cecchettin.

 Forse è il caso di fermarsi ed iniziare a ragionare sulle reali cause di stupri, violenze ed omicidi prima di intraprendere nuove azioni per scombinare la scuola, luogo in cui già da tempo vengono svolti progetti di educazione alla sessualità e vengono già svolte più di una trentina ore di educazione civica sul rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri, ma anche sul rispetto delle persone.

 Prima questione

L’art. 30 della “Costituzione più bella del mondo” recita così: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”. La tesi per l’introduzione di una nuova educazione sessuale a scuola si fonderebbe non sul fatto che la famiglia non educa più i figli (vero problema dopo la distruzione del ruolo della famiglia nella nostra società), ma sul presupposto che li educherebbe troppo e male, con un’educazione di tipo “patriarcale”, che sarebbe causa di violenza sulle donne. Per questa ragione i giovani andrebbero ri-educati dallo Stato.

Ma se anche l’educazione sessuale e affettiva (che coinvolge gli aspetti religiosi, filosofici e ideali più intimi della persona) viene tolta alla famiglia, che diritto e dovere di educare le rimane nei confronti dei figli?

 Proprio per questo il ministro si è premurato di dire che il MIM ha potenziato il ruolo del FONAGS (Forum nazionale delle associazioni dei genitori delle scuole), organo che fino ad oggi nessuno all’interno del mondo della scuola neanche conosceva. La famiglia è il primo soggetto che deve tornare ad educare e ne ha tutto il diritto e il dovere; è la famiglia che deve essere sostenuta, attraverso la valorizzazione dei corpi intermedi che possono aiutare nell’educazione, ma non si può bypassare la Costituzione e i diritti naturali della famiglia sulla spinta di un’emotività causata da una tragedia.

 Seconda questione

Le donne sono trattate in modo diverso dagli uomini, sono discriminate nel lavoro, prendono uno stipendio più basso degli uomini e vengono spesso licenziate se rimangono incinte, per questo serve un’educazione sessuale affettiva nelle scuole. Questo abbiamo sentito in questi giorni.

 Tutto questo cosa c’entra con l’educazione sessuale a scuola? Bisogna intervenire con leggi che tutelino maggiormente le donne nei luoghi di lavoro, aumentare gli stipendi e dare maggiori tutele della maternità; è realistico pensare che questi problemi siano risolvibili nella scuola con l’introduzione della “educazione sessuale”?

 La scuola è già il luogo lavorativo in cui i giovani vedono concretamente una parità di genere e in cui non c’è discriminazione, perché l’80% delle persone che lavorano nella scuola sono donne, donne e uomini sono pagati allo stesso modo (molto poco), le dirigenti scolastiche sono in numero maggiore rispetto agli uomini, nella scuola anche sulla parità tra uomini e donne i ragazzi sono molto più avanti degli adulti. Qualcuno si è chiesto se i ragazzi che hanno commesso gli stupri di Caivano e Palermo frequentassero la scuola? Siamo sicuri che l’educazione sessuale a scuola sia la soluzione dei problemi di violenza di genere, in luoghi in cui lo Stato è assente anche su servizi minimi come la sicurezza?

 L’impressione è che si agisca sulla scuola a suon di slogan, senza affrontare minimamente, nei fatti, i problemi principali delle donne.

 Terza questione

La scuola negli ultimi anni sta investendo molte risorse su alcune tematiche considerate prioritarie, in particolare le materie STEM Science (scienza), Technology (tecnologia), Engineering (ingegneria) e Mathematics (matematica), l’informatica (attraverso l’acquisto di attrezzature e la formazione di docenti), principalmente quindi materie orientate all’ambito scientifico.

 La recente introduzione dell’orientamento da molti viene considerata fondamentale per aprire ad un numero sempre maggiore di giovani il percorso degli IFTS (Istruzione e formazione tecnica superiore) con corsi prevalentemente tecnici e professionali. In questo contesto l’introduzione dell’educazione civica, dell’orientamento e di altri progetti ha iniziato a creare già da tempo malcontento in molti docenti (in particolare quelli delle discipline umanistiche) che sempre più si vedono costretti a restringere i programmi a causa di imposizioni indicate dall’alto. L’educazione sessuale e affettiva andrebbe probabilmente a togliere altre ore, introducendo nuovi elementi di confusione all’interno della scuola.

 Se le discipline scientifiche preparano al lavoro e l’educazione civica, l’orientamento, l’educazione sessuale e i progetti vari educano a vivere, qualcuno dica allora a cosa servono le materie umanistiche e se i grandi classici della letteratura come la Commedia o I promessi sposi, o i testi delle grandi religioni possono ancora educare o sono da considerare semplici hobby di lettura.

 La scuola è sempre stato il luogo di formazione della persona attraverso lo studio delle discipline, il dialogo con gli insegnanti e i coetanei. Il problema non è continuare a fare piccole modifiche pur di mostrare che qualcosa si è fatto da parte del nuovo ministro di turno, ma rispettare e ridare a famiglia e scuola la possibilità di educare e istruire ognuno nel proprio ruolo, senza aver la pretesa di eliminare il male dal mondo (che è sempre esistito e sempre esisterà). Occorre piuttosto ripartire dal bene e dal bello che si sperimentano e si apprendono all’interno di una famiglia e all’interno di un rapporto educativo tra insegnante e alunni. La ricostruzione della nostra società deve innanzitutto ricominciare da questo ambito.

Il Sussidiario


venerdì 1 dicembre 2023

GIOVANI NARCISI


 Quei ragazzi così pieni 

di narcisismo 

da non tollerare un rifiuto


-Intervista a Massimo Recalcati a cura di Maria Novella De Luca

 Professore, per cercare di capire cosa può aver armato la mano di Filippo Turetta, abbiamo molto citato in questi giorni il “retaggio del patriarcato”. O sarebbe più giusto parlare di quella ferita narcisistica che spesso lei ha chiamato in causa per descrivere il malessere dei nostri adolescenti e post-adolescenti?

«Il mito del nostro tempo è quello del successo individuale. Si tratta di un nuovo imperativo che rende impossibile l’esperienza del fallimento. Chi corre piano o chi cade è tagliato fuori. Si tratta di un vero e proprio culto della prestazione e del perfettismo. Subire il rifiuto di una ragazza significa riconoscere i propri limiti, che non si può essere tutto né avere tutto. Significa accettare una sconfitta delle proprie aspirazioni. Per questo a volte il ricorso alla violenza sostituisce la dolorosa constatazione della propria insufficienza. È una tendenza del nostro tempo: rifiutare l’ostacolo, la perdita, il fallimento, il dolore».

 Possiamo provare a spiegare che cosa intendiamo quando parliamo del narcisismo di questa generazione? È davvero il loro malessere?

«Il narcisismo dei figli è sempre un prodotto di quello dei genitori. Oggi una delle angosce più diffuse tra i genitori è quella di tutelare i loro figli proprio dal rischio del fallimento e della caduta. Questo non aiuta i figli ad assumere la responsabilità delle loro parole e delle loro azioni. E, soprattutto, a comprendere che è proprio attraverso la caduta e il fallimento che la vita dei nostri figli acquista una forma effettiva. Sono gli adulti responsabili di non trasmettere ai figli il senso della legge, ovvero che non si può essere tutto, avere tutto, sapere tutto, fare tutto…».

 Quanto lo specchio dei social influisce nello spingerli al confronto esasperato provocando anche depressioni e frustrazioni?

«Il mondo social nei suoi aspetti più patologici esalta il perfettismo e il principio di prestazione. Non c’è in quel luogo alcuna confidenza con l’esperienza della caduta e della solitudine. Tutto deve apparire perfetto. Anche l’eventuale caduta diviene in certi casi un modo per raccogliere like… È una virtualità narcisistica dove tutto deve apparire ideale».

 Quale può essere il meccanismo che scatta nella testa di un giovane di 22 anni che uccide la sua fidanzata più brava negli studi, più sicura, aggrappandosi alla propria fragilità per non farsi lasciare? L’incapacità di questa generazione di maschi di accettare la forza delle donne?

«Non solo dei maschi di oggi. Da sempre gli uomini che odiano le donne sono uomini che non sopportano la loro libertà. L’ideologia del patriarcato si è retta su questo principio repressivo di fondo: negare sistematicamente la libertà delle donne. Non a caso Adorno e Horkheimer assimilavano la libertà delle donne alla libertà dell’ebreo. C’è qualcosa di insopportabile, di intollerabile nell’una e nell’altra. Sono il rimosso dell’Occidente. Per questa generazione specifica di maschi il problema si è complicato, almeno per un verso, perché riconoscere di non essere tutto per l’altro è una ferita narcisistica insopportabile. Ma non dobbiamo dimenticare che al fondo di ogni narcisista c’è il buio della depressione. Non è tanto l’invidia ad avere spinto Filippo ad uccidere, ma la frattura di un legame che per lui costituiva la sola salvezza possibile dal buio della depressione. Una rottura che avviene in due tempi: il primo è quello nel quale Giulia dichiara la fine del suo amore; il secondo quando si approssima a discutere la sua tesi di laurea. Sono due fratture irreversibili inflitte all’ideale della coppia simbiotica».

 In che modo gli adulti possono entrare in contatto e prevenire tragedie che nascono dalla ferita narcisistica?

«Non servirà certo introdurre nelle scuole un’ora di educazione affettiva, sessuale o sentimentale … Il rispetto per l’altro e, in particolare, per le donne non è una materia specialistica come lo sono la chimica o la letteratura. Sarebbe come pensare che per costruire buoni cittadini sia sufficiente un’ora di educazione civica alla settimana. La cultura del rispetto della differenza avviene innanzitutto nelle famiglie e nella Scuola. Sono la famiglia e la Scuola i due principali educatori con il compito di alimentare nei nostri figli la cultura del rispetto della differenza: la testimonianza dal lato della famiglia che possano esistere relazioni ispirate dalla cura e dalla accoglienza e la cultura dal lato della Scuola come antidoto nei confronti della violenza».

 Fonte: La Repubblica

giovedì 23 novembre 2023

EDUCAZIONE A RISCHIO


"Noi genitori

 responsabili".

I nostri figli cresciuti senza conoscere il rifiuto"

 Cercare di spiegare l'inspiegabile. Identificarsi nei panni di chi ha vissuto e sta vivendo il più atroce degli incubi, ma non avere gli strumenti per gestire dolore, stupore, rabbia. Tutta Italia è rimasta atterrita dalla storia di Giulia a un passo dalla laurea, da Filippo che chissà come pensava di far perdere le sue tracce.

 Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, come è possibile non saper più gestire una lite con la fidanzata? Da dove arrivano tutta quella rabbia e quella violenza che non siamo più in grado di controllare?

 «I nostri ragazzi non sanno gestire la frustrazione. Si mollano con la ragazzina e vanno fuori di testa, senza proporzione. Ma questa è colpa dei genitori che non glielo hanno insegnato. O meglio, che non li hanno lasciati liberi nella vita di impararlo con le loro esperienze, correndo sempre a proteggerli».

 Cosa sbagliamo nell'educazione dei nostri figli?

«Pretendiamo di proteggerli da tutto, non permettiamo che si creino gli anticorpi per affrontare sfide e delusioni. Da quando sono piccoli. Cascare dal cavallino a dondolo e farsi un po' di male fa parte della vita. Noi, da idioti, che facciamo? Mettiamo la gomma piuma attorno al cavallino».

 Troppa gomma piuma, insomma.

 «È come chiedere a Jannik Sinner di giocare una partita di tennis senza punteggio. Che senso ha eliminare i voti, le pagelle, le bocciature? Stiamo crescendo ragazzi che non sono più in grado di affrontare la sconfitta. Gli facciamo noi lo zaino, come se non fossero in grado. Del resto - parlo ovviamente in generale - sono i genitori i primi a voler essere eternamente giovani. E quindi è ovvio che i loro figli a loro volta non crescano».

 Ultimamente dietro a molti femminicidi c'è il bravo ragazzo che di colpo diventa omicida. Cosa succede?

 «Non mi pare ultimamente. Succede che non ascoltiamo. Non impariamo mai dal passato. Dietro al delitto del Circeo chi c'era? Un bravo ragazzo. Pasolini lo aveva detto a suo tempo, totalmente ignorato».

 Allora cosa dovremmo imparare dal passato?

 «Smettiamo di ragionare in base allo schemino dell'uomo assassino e della donna vittima. Non è così. C'è un film di Marco Ferreri del 1963 intitolato Una storia moderna. L’ape regina parla di una donna che ha ridotto il marito a una specie di fuco. L'avevano capito pure i greci. Basta con l'idea del maschio fallocratico. Andiamo oltre».

 Però siamo arrivati a 105 femminicidi.

«Le madri hanno insegnato alle figlie a sopportare. Ma perché? Ci sono donne che hanno sopportato l'insopportabile: mariti violenti o alcolizzati. Ma perché hanno trasmesso questo concetto alle figlie come fosse un valore da tramandare di generazione in generazione? È ovvio che l'amore debba essere il contrario della galera. È ovvio che solo una mente illiberale possa partorire l'idea di geolocalizzarmi»

 E allora che consiglio dà ai genitori?

 «Mamme, papà siate rivoluzionari. Insegnate ai vostri figli a essere liberi. Lasciateli sbagliare, altrimenti non cresceranno e a 22 anni non sapranno gestire cose che avrebbero dovuto imparare a gestire a 16. Discostatevi dall'idea che la società ha di normalità. Cosa vuol dire avere un figlio normale? Vuol dire avere il bravo ragazzo che si fidanza con la ragazzina carina con la gonna corta ma non troppo, che sembra Taylor Swift?

 Gli adulti dovrebbero per primi discostarsi dal concetto di «normale»?

 «Pensiamo che aver raggiunto uno stato di vita in cui andiamo fuori città il fine settimana, abbiamo la jacuzzi e quattro soldi in tasca sia una sorta di paradiso che ci rende felici. Questo vuol dire banalizzare. E allora poi abbiamo bisogno di distruggere e chiamiamo la violenza amore».

 Cosa pensa dell'introduzione dell'ora di affettività nelle scuole e dell'idea di formulare una legge?

 «No visto la proposta della Schlein e sto seguendo quel che dice la Meloni. Bello, bello, se vogliamo metterci la coscienza a posto. Ma poi chi va a insegnare queste cose all'istituto di Gorgonzola? L'affettività e i sentimenti non si insegnano a scuola. Si imparano per strada, in famiglia, ovunque».

 Il Giornale

giovedì 4 agosto 2022

ESAMI DI MATURITA'. QUALE SENSO?


 È il pomeriggio dopo il primo scritto della maturità. Mi godo, orgoglioso, le scelte della mia quinta: 19 su 23, cioè l’83%, ha scelto la prova di letteratura (analisi di una poesia di Pascoli o di stralci da una novella di Verga), in Italia appena il 19%. Ottimo segnale, l’esperimento ha funzionato. Quale? Leggere per cinque anni classici in versione integrale, dall’Odissea alle Operette morali, dall’Inferno agli Ossi di seppia. Liberi dalla paragrafite, adesso non hanno bisogno di rifugiarsi nella tipologia C, il covo delle tracce per disperati, dove è risaputo che basta scrivere quattro luoghi comuni sul Covid o su internet: in Italia l’ha scelta il 35%, qui nessuno.ation 0:57

Vanno avanti per sei ore, e alla fine nessun compito somiglia a un altro. La piattezza dei quesiti ministeriali viene spazzata via dalla familiarità con i testi letterari e con il libro dell’esperienza. Non sciorinano discorsi precotti sul verismo, ma scoprono differenze fra gli occhi “neri, grandi, nuotanti in un fluido azzurrino” eppure “offuscati dall’ombrosa timidezza della miseria” di Nedda e quelli “ridenti e fuggitivi” di Silvia; non essendo ostriche abbarbicate allo scoglio del manuale, si salvano dalla fiumana delle frasi fatte sulla società siciliana dell’Ottocento e, quando la protagonista piange dando “alla luce una bambina rachitica e stenta”, intercettano, al bordo dell’amarezza per la sua sorte d’infelicità, il segno di un immenso amore; si chiedono anche se a qualcuno importi di quelle remote lacrime e delle loro più fresche, perché il dolore ti stravolge i lineamenti ma “in fondo è bello avere un cuore”. Su questi fogli non duellano un paragrafo e uno studente, ossia due avatar, ma si incontrano due soggetti reali: questo testo e questo ragazzo.

La sera fra la prima e la seconda prova il concerto a Bari di Vasco Rossi mi mette in testa, oltre all’adrenalina di Siamo solo noi, un altro refrain: “Voglio trovare un senso a questo esame / anche se questo esame un senso non ce l’ha”.

Mi sfugge, per esempio, quale sia il senso del colloquio orale: interrogare ancora? Sei insegnanti interni non dovrebbero aver già verificato e straverificato per un anno o due o tre o perfino cinque? Fino all’ultima ora dell’ultimo giorno dell’ultimo anno si sbaverà dietro un’ultima domandina, tre minuti a testa?!? O il senso sarà forse dimostrare chissà a chi quanto uno studente sa? A sentir balbettare di fascisti alleati con i nazisti e di atomiche su Hiroshima, l’impressione è che l’asticella si assesti a poco più che a un’infarinatura da camionista, che stride con il pallore di un mese lontano dal mare; quanto al latino, diplomarsi allo Scientifico equivale a uscire da Scienze applicate.

Da qualche tempo l’orale verte sui “nodi concettuali”: il rapporto uomo-natura, la crisi del soggetto, il progresso eccetera. Qual è la prassi? In italiano di progresso parla Verga, in inglese ne parla Dickens, in storia la rivoluzione industriale. A mancare è la semplice domanda: tu, a proposito del progresso, cosa dici? Perché “progresso” è l’argomento, ma la tua tesi quale sarebbe? I monologhi oscillano fra la ripetizione dei paragrafetti e qualche sventolata di opinionismo da bar, entrambi nemici della conoscenza affettiva, ossia di un giudizio personale non dopo ma dentro quello che si studia. Forse nessuno, a questi ragazzi, ha insegnato ad argomentare. C’era sempre da interrogare sul paragrafetto. Bastava poi che si aggiungesse un qualsiasi slogan posticcio del tipo “bisognerebbe rispettare l’ambiente” oppure “al giorno d’oggi i giovani vivono attaccati al cellulare mentre i veri valori sono altri” perché se ne elogiasse lo spirito critico.

Eppure l’ordinanza ministeriale parlava chiaro: “argomentare in maniera critica e personale”, “interdisciplinare”, “evitando una rigida distinzione” tra materie. Ci vorrebbe un discorso compatto, che attraverso passaggi logici documentati sviluppi una tesi. Ma dopo anni di steccati invalicabili fra le discipline, ci si illude di una miracolosa improvvisazione in extremis?

Qualche esempio di interdisciplinarità: l’ipersfera del Paradiso dantesco nella lettura del fisico Patapievici; Heisenberg e il Titanic come punti di collisione del positivismo comtiano; il rapporto fra verità e bellezza nello Zibaldone come sintesi fra la geometrizzazione illuminista e la sensibilità poetica: differenze rispetto a Keats.

In assenza di tale habitus, non resterà che delirare tra collegamenti strampalati, che sono la tomba di ogni serio percorso disciplinare e interdisciplinare. A molti ragazzi hanno già messo nero su bianco, in largo anticipo, non solo quali saranno i nodi, ma anche quali argomenti per ogni materia e in quale ordine dovrà esporli: ritagliarsi un angolino per sé è un’eventualità non contemplata.

Almeno oggi, invece, le domande andrebbero ribaltate: più che “lo sai questo?”, “cosa pensi?”; più che “cosa farai dopo?”, “chi sei tu, adesso?”. Nessun ragazzo intelligente risponderebbe alle seconde prescindendo dalle prime. Eppure, dopo una vita dietro i banchi di scuola, non li riteniamo capaci di orizzonti così ampi. Infatti i corridoi si annuvolano di diciannovenni alti un metro e novanta che il minuto prima dell’orale ripetono nervosamente qualche paragrafetto dal quadernetto. Forse non hanno trovato scritto su nessun libro che la cultura è ciò che rimane quando hai dimenticato tutto quello che hai imparato, e che perciò l’obiettivo del sapere è vedere e, più che memorizzare, capire.

Abbiamo avuto tredici anni per dirglielo ma non c’è stato tempo. Adesso rimaniamo fedeli alla linea, investigando un’ennesima volta sulle informazioni che ha ingurgitato ed espelle. Impensabile che la palla della conoscenza venga arroventata da un pensiero fondato e originale. Sottovoce mormoro un’altra canzone, di Niccolò Fabi: “non vorrei che tu dicessi quello che so, ma quello che non so dire”. Perché nella didattica l’alternativa rimane radicale, tra informazioni e conoscenza: ammaestriamo a sapere, come doppioni di internet, oppure insegniamo a vedere, come nessun altro?

 

Il Sussidiario

domenica 17 giugno 2018

BAMBINI, AFFETTIVITA' e SESSUALITA'

"Ad amare ci si educa"
 viaggio nell'affettività e nella sessualità
Un libro per bambine e bambini, ma anche per genitori e insegnanti

Un viaggio alla scoperta dell’affettività e della sessualità per le bambine e i bambini dai 4 ai 7 anni. Un itinerario pensato per raccontare come l’educazione sessuale non sia un fatto intimo, privato e nascosto, ma una possibilità di far esprimere la persona negli affetti, nei legami, nelle relazioni. 
Il libro per bambini, a colori e interamente illustrato è completato da una guida per educatori e genitori, progettata per affrontare il tema dell’educazione affettivo-sessuale tenendo conto delle specifiche esigenze, educative e cognitive dei bambini.
Il testo affronta l'educazione sessuale come un percorso "meraviglioso", per i bambini e per i loro educatori. 
Un "viaggio bellissimo" che oggi più che mai ha bisogno di una bussola  e di un linguaggio "azzeccato" da parte degli adulti.

 Ezio Aceti e Stefania Cagliani, AD AMARE CI SI EDUCA, Ed. Città nuova - € 14





giovedì 22 aprile 2010

EDUCARE ALLA SESSUALITA', ALL'AFFETTIVITA', ALLA RELAZIONE

Violenze, stupri in classe, manuali per il "sesso sicuro", distributori di profilattici a scuola .... e, nel contempo, deplorevoli casi di abuso che vengono alla luce. Quali rimedi? Cosa può fare la famiglia? Cosa può fare la scuola? E gli educatori? .....

Leggi il comunicato della Presidenza nazionale dell'AIMC