Ribadito con forza il no alla guerra e alla globalizzazione dell’indifferenza
Isabella Piro – Città del Vaticano
Sulla tomba di san Francesco il Papa firma “Fratelli
tutti”
Il Poverello “non faceva la guerra
dialettica imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di Dio”, scrive il Papa,
ed “è stato un padre fecondo che ha suscitato il sogno di una società fraterna”
(2-4). L’Enciclica mira a promuovere un’aspirazione mondiale alla fraternità e
all’amicizia sociale. A partire dalla comune appartenenza alla famiglia umana,
dal riconoscerci fratelli perché figli di un unico Creatore, tutti sulla stessa
barca e dunque bisognosi di prendere coscienza che in un mondo globalizzato e interconnesso
ci si può salvare solo insieme. Motivo ispiratore più volte citato è il
Documento sulla fratellanza umana firmato da Francesco e dal Grande Imam di
Al-Azhar nel febbraio 2019.
La fraternità è da promuovere non
solo a parole, ma nei fatti. Fatti che si concretizzano nella “politica
migliore”, quella non sottomessa agli interessi della finanza, ma al servizio
del bene comune, in grado di porre al centro la dignità di ogni essere umano e
di assicurare il lavoro a tutti, affinché ciascuno possa sviluppare le proprie
capacità. Una politica che, lontana dai populismi, sappia trovare soluzioni a
ciò che attenta contro i diritti umani fondamentali e che punti ad eliminare
definitivamente la fame e la tratta. Al contempo, Papa Francesco sottolinea che
un mondo più giusto si raggiunge promuovendo la pace, che non è soltanto
assenza di guerra, ma una vera e propria opera “artigianale” che coinvolge
tutti.
Guardare gli altri come fratelli e sorelle per salvare
noi e il mondo
Legate alla verità, la pace e la
riconciliazione devono essere “proattive”, puntare alla giustizia attraverso il
dialogo, in nome dello sviluppo reciproco. Di qui deriva la condanna che il
Pontefice fa della guerra, “negazione di tutti i diritti” e non più pensabile
neanche in una ipotetica forma “giusta”, perché ormai le armi nucleari,
chimiche e biologiche hanno ricadute enormi sui civili innocenti. Forte anche
il rifiuto della pena di morte, definita “inammissibile”, e centrale il
richiamo al perdono, connesso al concetto di memoria e di giustizia: perdonare
non significa dimenticare, scrive il Pontefice, né rinunciare a difendere i
propri diritti per custodire la propria dignità, dono di Dio. Sullo sfondo
dell’Enciclica c’è la pandemia da Covid-19 che – rivela Francesco – “ha fatto
irruzione in maniera inattesa proprio mentre stavo scrivendo questa lettera”.
Ma l’emergenza sanitaria globale è servita a dimostrare che “nessuno si salva
da solo” e che è giunta davvero l’ora di “sognare come un’unica umanità” in cui
siamo “tutti fratelli” (7-8).
Problemi globali esigono azioni
globali, no alla “cultura dei muri”
Aperta da una breve introduzione e
articolata in otto capitoli, l’Enciclica raccoglie – come spiega il Papa stesso
– molte delle sue riflessioni sulla fraternità e l’amicizia sociale, collocate
però “in un contesto più ampio” e integrate da “numerosi documenti e lettere”
inviate a Francesco da “tante persone e gruppi di tutto il mondo” (5). Nel
primo capitolo, “Le ombre di un mondo chiuso”, il documento si sofferma
sulle tante storture dell’epoca contemporanea: la manipolazione e la
deformazione di concetti come democrazia, libertà, giustizia; la perdita del
senso del sociale e della storia; l’egoismo e il disinteresse per il bene
comune; la prevalenza di una logica di mercato fondata sul profitto e la
cultura dello scarto; la disoccupazione, il razzismo, la povertà; la disparità
dei diritti e le sue aberrazioni come la schiavitù, la tratta, le donne
assoggettate e poi forzate ad abortire, il traffico di organi (10-24). Si
tratta di problemi globali che esigono azioni globali, sottolinea il Papa,
lanciando l’allarme anche contro una “cultura dei muri” che favorisce il
proliferare delle mafie, alimentate da paura e solitudine (27-28). Inoltre,
oggi si riscontra un deterioramento dell’etica (29) cui contribuiscono, in un
certo qual modo, i mass-media che sgretolano il rispetto dell’altro ed
eliminano ogni pudore, creando circoli virtuali isolati e autoreferenziali, nei
quali la libertà è un’illusione e il dialogo non è costruttivo (42-50).
L’amore costruisce ponti: l’esempio
del Buon Samaritano
A tante ombre, tuttavia, l’Enciclica
risponde con un esempio luminoso, foriero di speranza: quello del Buon
Samaritano. A questa figura è dedicato il secondo capitolo, “Un estraneo sulla
strada”, in cui il Papa sottolinea che, in una società malata che volta le
spalle al dolore e che è “analfabeta” nella cura dei deboli e dei fragili
(64-65), tutti siamo chiamati – proprio come il buon samaritano - a farci
prossimi all’altro (81), superando pregiudizi, interessi personali, barriere
storiche o culturali. Tutti, infatti, siamo corresponsabili nella costruzione
di una società che sappia includere, integrare e sollevare chi è caduto o è
sofferente (77). L’amore costruisce ponti e noi “siamo fatti per l’amore” (88),
aggiunge il Papa, esortando in particolare i cristiani a riconoscere Cristo nel
volto di ogni escluso (85). Il principio della capacità di amare secondo “una
dimensione universale” (83) è ripreso anche nel terzo capitolo, “Pensare e
generare un mondo aperto”: in esso, Francesco ci esorta ad “uscire da noi
stessi” per trovare negli altri “un accrescimento di essere” (88), aprendoci al
prossimo secondo il dinamismo della carità che ci fa tendere verso la
“comunione universale” (95). In fondo – ricorda l’Enciclica – la statura
spirituale della vita umana è definita dall’amore che “è sempre al primo posto”
e ci porta a cercare il meglio per la vita dell’altro, lontano da ogni egoismo
(92-93).
I diritti non hanno frontiere, serve
etica delle relazioni internazionali
Una società fraterna, dunque, sarà
quella che promuove l’educazione al dialogo per sconfiggere “il virus
dell’individualismo radicale” (105) e per permettere a tutti di dare il meglio
di sé. A partire dalla tutela della famiglia e dal rispetto per la sua
“missione educativa primaria e imprescindibile” (114). Due, in particolare, gli
‘strumenti’ per realizzare questo tipo di società: la benevolenza, ossia il
volere concretamente il bene dell’altro (112), e la solidarietà che ha cura
delle fragilità e si esprime nel servizio alle persone e non alle ideologie,
lottando contro povertà e disuguaglianze (115). Il diritto a vivere con dignità
non può essere negato a nessuno, afferma ancora il Papa, e poiché i diritti
sono senza frontiere, nessuno può rimanere escluso, a prescindere da dove sia
nato (121). In quest’ottica, il Pontefice richiama anche a pensare ad “un’etica
delle relazioni internazionali” (126), perché ogni Paese è anche dello
straniero ed i beni del territorio non si possono negare a chi ha bisogno e
proviene da un altro luogo. Il diritto naturale alla proprietà privata sarà,
quindi, secondario al principio della destinazione universale dei beni creati
(120). Una sottolineatura specifica l’Enciclica la fa anche per la questione
del debito estero: fermo restando il principio che esso va saldato, si auspica
tuttavia che ciò non comprometta la crescita e la sussistenza dei Paesi più
poveri (126).
Migranti: governance globale
per progetti a lungo termine
Al tema delle migrazioni è, invece,
dedicato in parte il secondo e l’intero quarto capitolo, “Un cuore aperto
al mondo intero”: con le loro “vite lacerate” (37), in fuga da guerre,
persecuzioni, catastrofi naturali, trafficanti senza scrupoli, strappati alle
loro comunità di origine, i migranti vanno accolti, protetti, promossi ed
integrati. Bisogna evitare le migrazioni non necessarie, afferma il Pontefice, creando
nei Paesi di origine possibilità concrete di vivere con dignità. Ma al tempo
stesso, bisogna rispettare il diritto a cercare altrove una vita migliore. Nei
Paesi destinatari, il giusto equilibrio sarà quello tra la tutela dei diritti
dei cittadini e la garanzia di accoglienza e assistenza per i migranti (38-40).
Nello specifico, il Papa indica alcune “risposte indispensabili” soprattutto
per chi fugge da “gravi crisi umanitarie”: incrementare e semplificare la
concessione di visti; aprire corridoi umanitari; assicurare alloggi, sicurezza
e servizi essenziali; offrire possibilità di lavoro e formazione; favorire i
ricongiungimenti familiari; tutelare i minori; garantire la libertà religiosa e
promuovere l’inserimento sociale. Dal Papa anche l’invito a stabilire, nella
società, il concetto di “piena cittadinanza”, rinunciando all’uso
discriminatorio del termine “minoranze” (129-131). Ciò che occorre soprattutto
– si legge nel documento – è una governance globale, una
collaborazione internazionale per le migrazioni che avvii progetti a lungo
termine, andando oltre le singole emergenze (132), in nome di uno sviluppo
solidale di tutti i popoli che sia basato sul principio della gratuità. In tal
modo, i Paesi potranno pensare come “una famiglia umana” (139-141). L’altro
diverso da noi è un dono ed un arricchimento per tutti, scrive Francesco,
perché le differenze rappresentano una possibilità di crescita (133-135). Una
cultura sana è una cultura accogliente che sa aprirsi all’altro, senza
rinunciare a se stessa, offrendogli qualcosa di autentico. Come in un poliedro
– immagine cara al Pontefice – il tutto è più delle singole parti, ma ognuna di
esse è rispettata nel suo valore (145-146).
La politica, una delle forme più
preziose della carità
Il tema del quinto capitolo è “La
migliore politica”, ossia quella che rappresenta una delle forme più preziose
della carità perché si pone al servizio del bene comune (180) e conosce
l’importanza del popolo, inteso come categoria aperta, disponibile al confronto
e al dialogo (160). Questo è, in un certo senso, il popolarismo indicato da
Francesco, cui si contrappone quel “populismo” che ignora la legittimità della
nozione di ‘popolo’, attraendo consensi per strumentalizzarlo al proprio
servizio e fomentando egoismi per accrescere la propria popolarità (159). Ma la
migliore politica è anche quella che tutela il lavoro, “dimensione
irrinunciabile della vita sociale” e cerca di assicurare a tutti la possibilità
di sviluppare le proprie capacità (162). L’aiuto migliore per un povero, spiega
il Pontefice, non è solo il denaro, che è un rimedio provvisorio, bensì il
consentirgli una vita degna mediante l’attività lavorativa. La vera strategia
anti-povertà non mira semplicemente a contenere o a rendere inoffensivi gli
indigenti, bensì a promuoverli nell’ottica della solidarietà e della
sussidiarietà (187). Compito della politica, inoltre, è trovare una soluzione a
tutto ciò che attenta contro i diritti umani fondamentali, come l’esclusione
sociale; il traffico di organi, tessuti, armi e droga; lo sfruttamento sessuale;
il lavoro schiavo; il terrorismo ed il crimine organizzato. Forte l’appello del
Papa ad eliminare definitivamente la tratta, “vergogna per l’umanità”, e la
fame, in quanto essa è “criminale” perché l’alimentazione è “un diritto
inalienabile” (188-189).
Il mercato da solo non risolve tutto.
Occorre riforma dell’ONU
La politica di cui c’è bisogno,
sottolinea ancora Francesco, è quella che dice no alla corruzione,
all’inefficienza, al cattivo uso del potere, alla mancanza di rispetto delle
leggi (177). È una politica incentrata sulla dignità umana e non sottomessa
alla finanza perché “il mercato da solo non risolve tutto”: le “stragi”
provocate dalle speculazioni finanziarie lo hanno dimostrato (168). Assumono,
quindi, particolare rilevanza i movimenti popolari: veri “poeti sociali” e
“torrenti di energia morale”, essi devono essere coinvolti nella partecipazione
sociale, politica ed economica, previo però un maggior coordinamento. In tal
modo – afferma il Papa – si potrà passare da una politica “verso” i poveri ad
una politica “con” e “dei” poveri (169). Un altro auspicio presente
nell’Enciclica riguarda la riforma dell’Onu: di fronte al predominio della
dimensione economica che annulla il potere del singolo Stato, infatti, il
compito delle Nazioni Unite sarà quello di dare concretezza al concetto di
“famiglia di nazioni” lavorando per il bene comune, lo sradicamento
dell’indigenza e la tutela dei diritti umani. Ricorrendo instancabilmente “al
negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato” – afferma il documento pontificio -
l’Onu deve promuovere la forza del diritto sul diritto della forza, favorendo
accordi multilaterali che tutelino al meglio anche gli Stati più deboli
(173-175).
Il miracolo della gentilezza
Dal sesto capitolo, “Dialogo e
amicizia sociale”, emerge inoltre il concetto di vita come “arte dell’incontro”
con tutti, anche con le periferie del mondo e con i popoli originari, perché
“da tutti si può imparare qualcosa e nessuno è inutile” (215). Il vero dialogo,
infatti, è quello che permette di rispettare il punto di vista dell’altro, i
suoi interessi legittimi e, soprattutto, la verità della dignità umana. Il
relativismo non è una soluzione– si legge nell’Enciclica – perché senza
principî universali e norme morali che proibiscono il male intrinseco, le leggi
diventano solo imposizioni arbitrarie (206). In quest’ottica, un ruolo
particolare spetta ai media che, senza sfruttare le debolezze umane o tirare
fuori il peggio di noi, devono orientarsi all’incontro generoso e alla
vicinanza agli ultimi, promuovendo la prossimità ed il senso di famiglia umana
(205). Particolare, poi, il richiamo del Papa al “miracolo della gentilezza”,
un’attitudine da recuperare perché è “una stella nell’oscurità” e una
“liberazione dalla crudeltà, dall’ansietà e dall’urgenza distratta” che
prevalgono in epoca contemporanea. Una persona gentile scrive Francesco, crea
una sana convivenza ed apre le strade là dove l’esasperazione distrugge i ponti
(222-224).
L’artigianato della pace e
l’importanza del perdono
Riflette sul valore e la promozione
della pace, invece, il settimo capitolo, “Percorsi di un nuovo incontro”,
in cui il Papa sottolinea che la pace è legata alla verità, alla giustizia ed
alla misericordia. Lontana dal desiderio di vendetta, essa è “proattiva” e mira
a formare una società basata sul servizio agli altri e sul perseguimento della
riconciliazione e dello sviluppo reciproco (227-229). In una società, ognuno
deve sentirsi “a casa” – scrive il Papa – Per questo, la pace è un
“artigianato” che coinvolge e riguarda tutti e in cui ciascuno deve fare la sua
parte. Il compito della pace non dà tregua e non ha mai fine, continua il
Pontefice, ed occorre quindi porre al centro di ogni azione la persona umana,
la sua dignità ed il bene comune (230-232). Legato alla pace c’è il perdono:
bisogna amare tutti, senza eccezioni – si legge nell’Enciclica – ma amare un
oppressore significa aiutarlo a cambiare e non permettergli di continuare ad
opprimere il prossimo. Anzi: chi patisce un’ingiustizia deve difendere con
forza i propri diritti per custodire la propria dignità, dono di Dio (241-242).
Perdono non vuol dire impunità, bensì giustizia e memoria, perché perdonare non
significa dimenticare, ma rinunciare alla forza distruttiva del male ed al
desiderio di vendetta. Mai dimenticare “orrori” come la Shoah, i bombardamenti
atomici a Hiroshima e Nagasaki, le persecuzioni ed i massacri etnici – esorta
il Papa – Essi vanno ricordati sempre, nuovamente, per non anestetizzarci e
mantenere viva la fiamma della coscienza collettiva. Altrettanto importante è
fare memoria del bene, di chi ha scelto il perdono e la fraternità (246-252).
Mai più la guerra, fallimento
dell’umanità!
Una parte del settimo capitolo si
sofferma, poi, sulla guerra: essa non è “un fantasma del passato” – sottolinea
Francesco – bensì “una minaccia costante” e rappresenta la “negazione di tutti
i diritti”, “il fallimento della politica e dell’umanità”, “la resa vergognosa
alle forze del male” ed al loro “abisso”. Inoltre, a causa delle armi nucleari,
chimiche e biologiche che colpiscono molti civili innocenti, oggi non si può
più pensare, come in passato, ad una possibile “guerra giusta”, ma bisogna
riaffermare con forza “Mai più la guerra!” E considerando che viviamo “una
terza guerra mondiale a pezzi”, perché tutti i conflitti sono connessi tra
loro, l’eliminazione totale delle armi nucleari è “un imperativo morale ed
umanitario”. Piuttosto – suggerisce il Papa – con il denaro che si investe
negli armamenti, si costituisca un Fondo mondiale per eliminare la fame
(255-262).
Pena di morte è inammissibile,
abolirla in tutto il mondo
Una posizione altrettanto netta
Francesco la esprime a proposito della pena di morte: è inammissibile e deve
essere abolita in tutto il mondo. “L’omicida non perde la sua dignità personale
– scrive il Papa – Dio ne è garante”. Di qui, due esortazioni: non vedere la
pena come una vendetta, bensì come parte di un processo di guarigione e di
reinserimento sociale, e migliorare le condizioni delle carceri, nel rispetto
della dignità umana dei detenuti, pensando anche che l’ergastolo “è una pena di
morte nascosta” (263-269). Viene ribadita la necessità di rispettare “la
sacralità della vita” (283) laddove oggi “certe parti dell’umanità sembrano
sacrificabili”, come i nascituri, i poveri, i disabili, gli anziani (18).
Garantire libertà religiosa, diritto
umano fondamentale
Nell’ottavo e ultimo capitolo, il
Pontefice si sofferma su “Le religioni al servizio della fraternità nel
mondo” e ribadisce che la violenza non trova base alcuna nelle convinzioni
religiose, bensì nelle loro deformazioni. Atti “esecrabili” come quelli
terroristici, dunque, non sono dovuti alla religione, ma ad interpretazioni
errate dei testi religiosi, nonché a politiche di fame, povertà, ingiustizia,
oppressione. Il terrorismo non va sostenuto né con il denaro, né con le armi,
né tantomeno con la copertura mediatica perché è un crimine internazionale
contro la sicurezza e la pace mondiale e come tale va condannato (282-283). Al
contempo, il Papa sottolinea che un cammino di pace tra le religioni è
possibile e che è, dunque, necessario garantire la libertà religiosa, diritto
umano fondamentale per tutti i credenti (279). Una riflessione, in particolare,
l’Enciclica la fa sul ruolo della Chiesa: essa non relega la propria missione
nel privato – afferma – non sta ai margini della società e, pur non facendo
politica, tuttavia non rinuncia alla dimensione politica dell’esistenza.
L’attenzione al bene comune e la preoccupazione allo sviluppo umano integrale,
infatti, riguardano l’umanità e tutto ciò che è umano riguarda la Chiesa,
secondo i principî evangelici (276-278). Infine, richiamando i leader religiosi
al loro ruolo di “mediatori autentici” che si spendono per costruire la pace,
Francesco cita il “Documento sulla fratellanza umana per la pace
mondiale e la convivenza”, da lui stesso firmato il 4 febbraio 2019
ad Abu Dhabi, insieme al Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib: da tale
pietra miliare del dialogo interreligioso, il Pontefice riprende l’appello
affinché, in nome della fratellanza umana, si adotti il dialogo come via, la
collaborazione comune come condotta e la conoscenza reciproca come metodo e
criterio (285).
Il Beato Charles de Foucauld, “il
fratello universale”
L’Enciclica si conclude con il
ricordo di Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e soprattutto il
Beato Charles de Foucauld, un modello per tutti di cosa significhi
identificarsi con gli ultimi per divenire “il fratello universale” (286-287).
Le ultime righe del documento sono affidate a due preghiere: una “al Creatore”
e l’altra “cristiana ecumenica”, affinché nel cuore degli uomini alberghi “uno
spirito di fratelli”.
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