Nelle classi italiane è in corso una pandemia di disturbi del neurosviluppo
«La scuola non influisce solo sulla
preparazione dei nostri bambini, ma sulle persone che sono e diventeranno: li
nutre, li cambia, li plasma. Per questo è importantissimo che gli adulti che
affiancano i bambini nel loro percorso di crescita e di apprendimento siano ben
consci dell’enorme potere che è nelle loro mani». Le parole sono di Daniela
Lucangeli, Prorettrice dell'Università degli Studi di Padova, professoressa di
Psicologia dello sviluppo ed esperta di psicologia dell'apprendimento. Da
tanti anni si occupa di bimbi con vulnerabilità, con disturbi
dell’apprendimento e del neurosviluppo. Sono bimbi che soffrono, che faticano.
Il suo lavoro consiste nell’aiutarli a individuare il percorso migliore, sulla
loro specifica «mappa», per arrivare a un risultato: che si tratti di contare,
di leggere, oppure di guardare un’altra persona negli occhi e di stabilire con
lei una connessione. Attraverso un’energica e capillare opera di divulgazione,
Lucangeli aiuta anche gli adulti - insegnanti e genitori- condividendo con loro
i risultati delle più recenti ricerche in campo psicologico, neurobiologico,
neuropsicologico.
Nel suo ultimo libro, “A Mente
Accesa” (Mondadori) scrive che in Italia, in una classe di 25 bambini, in media
4 o 5 presentano vulnerabilità. Cosa sta succedendo?
Negli ultimi anni stiamo assistendo a una pandemia silente di disturbi del
neuro sviluppo: i più comuni sono ritardo mentale, disturbo dello spettro
autistico, dsa o disturbi della memoria e dell’attenzione, del comportamento e
dell’iperattività. Per non parlare delle vulnerabilità della sfera emozionale e
affettiva.
Come si spiegano questi numeri?
Gli scienziati stanno formulando
nuove ipotesi: alcuni fattori ambientali sembrano interferire con
l’organizzazione del cervello proprio nel momento in cui esso si forma,
«confondendo» i segnali che i neuroni ricevono. Se il segnale è disturbato, i
neuroni non possono migrare correttamente verso le sedi alle quali sono
destinati. Per frenare questa epidemia dobbiamo fare un grosso lavoro di
prevenzione.
In che modo?
Il primo passo è la prevenzione
primaria. Talvolta può non essere semplice, ma per me è assolutamente
necessario desiderare e lottare per un mondo in cui le madri siano consapevoli
e informate; mangino cibi sani (coltivati senza pesticidi) e seguano una dieta
equilibrata; evitino di passare la giornata attaccate al cellulare, al tablet,
appoggiando il pc sulla pancia; riducano lo stress o, quanto meno, cerchino di
dominarlo, ove possibile. E poi bisogna essere consapevoli del fatto che se il
disturbo c’è, non si guarisce, però lo si può compensare, ma occorre fare in
fretta. Le ricerche sono chiare: entro i due anni di vita del bambino (i primi
mille giorni), quando la neuroplasticità è massima, è possibile ottenere il
meglio dalla traiettoria evolutiva delle funzioni cerebrali. Perciò il mio
obiettivo, ma potrei dire anche il mio sogno, è arrivare prima che il tempo
giochi a sfavore.
Suo figlio una volta scrisse che lei
«fa la maestra alle maestra». Perché la scuola è così importante per lei?
Per me la scuola è speranza allo
stato puro perché nulla è altrettanto potente nel forgiare la forma mentis
delle persone. A scuola, come nella vita di ogni giorno, non è indifferente la
fonte dalla quale attingiamo le informazioni, non è indifferente chi aiuta. E
non filosoficamente, ma, per così dire, «neuropsicologicamente».
Ci può spiegare?
La scienza contemporanea ci insegna
che ciò che leggiamo o ascoltiamo, i sapori che gustiamo, le strade che
percorriamo, le persone che incontriamo, le emozioni che ci attraversano, tutto
interferisce con il nostro epigenoma, inducendo trasformazioni nel funzionamento
del nostro cervello. Non è romanticismo, ma scienza. Quando un insegnante
supporta un bambino induce una trasformazione nelle sue reti neuronali, nel suo
connettoma.
Perciò anche gli insegnanti hanno
un’influenza enorme...
Più che enorme. Un’influenza che non
si esaurisce nella trasmissione di nozioni o insegnamenti ma che, impattando
sulle reti neuronali dell’altro, impatta sulla maturazione della sua
individualità. Per questo è importantissimo che gli adulti che affiancano i
bambini nel loro percorso di crescita e di apprendimento siano ben consci
dell’enorme potere che è nelle loro mani.
La scuola di oggi come le sembra?
Accanto a punti di luce, ci sono
punti non risolti, laddove ad esempio la didattica ingozza bambini e ragazzi,
dimenticando che non sono vasi da riempire di informazioni. La mia esperienza
mi ha portato ad osservare che spesso gli studenti sono in alert costante a
causa dei giudizi che accompagnano la valutazione, delle continue verifiche,
delle scadenze che si accavallano e per l’impossibilità di dedicare tempo a ciò
che amano.
Da anni lei insiste
sull’interdipendenza di emozioni e apprendimento
Emozioni e apprendimento sono
collegati: se mentre apprendiamo proviamo un’emozione, ogni volta che
recuperiamo dal magazzino della nostra memoria l’informazione, inevitabilmente,
riattiviamo anche l’emozione stessa. Questo perché nelle situazioni emotive
amigdala e ippocampo lavorano in sinergia, influenzandosi a vicenda e rendendo
possibile l’incontro tra emozione e memoria.
Nel concreto cosa significa?
Se un insegnante ci fa sorridere,
nella nostra memoria si imprimerà questa informazione: «ti fa bene, cercalo
ancora». Se, invece, mentre studiamo sperimentiamo ansia, stress, paura, noia,
la nostra memoria immagazzinerà questa informazione: «ti duole, scappa. E il
mattino dopo, quando il professore ci interrogherà, ci ritroveremo a fare i
conti con quelle emozioni.
È possibile sconfiggere le emozioni
negative?
Certamente, Bastano trenta secondi di
abbraccio. E se ora, in epoca Covid-19, non ci si può toccare, va bene un
sorriso, un «ci sono…» detto con una voce gentile e premurosa che mostri
all’altro che gode della nostra considerazione e della nostra attenzione. Anche
davanti ad un errore è importante che gli allievi sentano che i loro insegnanti
sono lì per accompagnarli, per supportarli nell’apprendimento, per fornire loro
ciò di cui hanno bisogno. Incoraggiare l’altro guardandolo negli occhi corregge
più di novantotto rimproveri.
Sembra difficile…
Moltissimo. Ma ne vale la pena.
Ricordiamoci che la scuola non influisce solo sulla preparazione dei nostri
bambini, ma sulle persone che sono e diventeranno: li nutre, li cambia, li
plasma.
Un’ultima domanda personale: nel
libro racconta di una Lucangeli piccina, «ipersensibile», che «guardando la schiuma
di un’onda si domandava cosa ci fosse sotto l’oceano». Oggi cosa è rimasto di
quella bambina?
Mi accompagna la stessa curiosità
epistemica di allora: continuo ancora a domandarmi «Cosa c’è sotto?» Oggi
quella bambina crede in una scienza servizievole, che non rimane chiusa nelle
università, che non circola solo tra specialisti, ma che esce nelle strade e
mette i suoi strumenti a disposizione di tutti coloro che possono, vogliono e
dovrebbero usarli. Per questo sono uscita dalle aule universitarie e dalle sale
congressuali e parlo in pubblico, e scrivo, e pubblico video sui social, con un
linguaggio che cerco di modellare su chi ascolta, perché sia il più
comprensibile a tutti.
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