Il
bivio: divisioni o fraternità
L’occasione
che ispira a Francesco la sua lunga lettera è un intreccio di anniversari e di
relativi appuntamenti celebrativi che vedranno impegnato il segretario di
Stato, dai 50 anni di collaborazione tra Santa Sede e istituzioni europee, ai
40 dalla nascita della COMECE,
la Commissione degli Episcopati delle Comunità Europee. Due ricorrenze inserite
nella più ampia cornice dei 70 anni dalla Dichiarazione Schuman, con la quale
l’Europa voltava le spalle alle divisioni della guerra. E sono proprio le
divisioni oggi possibili, in un frangente storico che chiede invece
compattezza, a spingere il Papa a ripetere un concetto molto sentito. “La
pandemia – scrive – costituisce come uno spartiacque che costringe ad operare
una scelta: o si procede sulla via intrapresa nell’ultimo decennio, animata
dalla tentazione all’autonomia, andando incontro a crescenti incomprensioni,
contrapposizioni e conflitti; oppure si riscopre quella “strada della
fraternità”.
“Europa
ritrova te stessa”
Proprio
la crisi del Covid, osserva Francesco, “ha posto in evidenza tutto questo: la
tentazione di fare da sé, cercando soluzioni unilaterali ad un problema che
travalica i confini degli Stati”, mentre sin dalle origini l’Europa postbellica
“nasce dalla consapevolezza che insieme ed uniti si è più forti, che – come affermato nell’Evangelii
gaudium – ‘l’unità è superiore al conflitto’ e che
la solidarietà può essere ‘uno stile di costruzione della storia’”. Nel cuore
di Francesco risuona l’eco di quanto Giovanni Paolo II esclamò il 9
novembre 1982 da Santiago de Compostela, alla fine del
suo pellegrinaggio in Spagna.
Radici
profonde
Quel
celebre “Europa ritrova te stessa, sii te stessa” viene reinterpretato da
Francesco con analoga energia e allora, scrive, all’Europa “vorrei dire: tu,
che sei stata nei secoli fucina di ideali e ora sembri perdere il tuo slancio,
non fermarti a guardare al tuo passato come ad un album dei ricordi”, giacché
“nel tempo, anche le memorie più belle si sbiadiscono e si finisce per non
ricordare più”. Ritrovare se stessa equivale, asserisce, a ritrovare gli
“ideali che hanno radici profonde”. Vuol dire, per il Papa, “non avere paura”
della propria “storia millenaria che è una finestra sul futuro più che sul
passato”. E dunque non temere il “bisogno di verità” stimolato dagli
interrogativi del pensiero greco antico, il “bisogno di giustizia” sviluppato
dal diritto romano, il “bisogno di eternità, arricchito dall’incontro con la
tradizione giudeo-cristiana”.
Europa,
una famiglia
Da
questi valori Francesco fa scaturire le sue quattro visioni. “Sogno allora –
sottolinea per prima – un’Europa amica della persona e delle persone. Una terra
in cui la dignità di ognuno sia rispettata, in cui la persona sia un valore in
sé e non l’oggetto di un calcolo economico o un bene di commercio”. Un’Europa
con questa sensibilità è quindi, per il Papa, una terra che “tutela la vita”,
il lavoro, l’istruzione, la cultura, che sa proteggere “chi è più fragile e
debole, specialmente gli anziani, i malati che necessitano cure costose e i
disabili”. E per naturale conseguenza in certo modo questa prima visione porta
alla seconda, che fa dire a Francesco: “Sogno un’Europa che sia una famiglia e
una comunità”, in altre parole una “famiglia di popoli” capace di “vivere in
unità, facendo tesoro delle differenze, a partire da quella fondamentale tra
uomo e donna”. E qui Francesco sintetizza il sogno parlando di “Europa
comunità”, solidale e fraterna, l’opposto di una terra scomposta in “realtà
solitarie ed indipendenti”, che facilmente si troverà “incapace di affrontare
le sfide del futuro”.
Europa
che apre sguardo e porte
Il
terzo sogno del Papa è quello di “un’Europa solidale e generosa”, un “luogo
accogliente ed ospitale, in cui la carità – che è somma virtù cristiana – vinca
ogni forma di indifferenza ed egoismo”. E dal momento che, nota, “essere
solidali implica farsi prossimi”, questo “per l’Europa significa
particolarmente rendersi disponibile, vicina e volenterosa nel sostenere,
attraverso la cooperazione internazionale, gli altri continenti, penso – dice
il Papa – specialmente all’Africa”, aiutata a ricomporre i tanti conflitti che
la dilaniano. E sollecita anche verso i migranti,
non solo assistiti nei bisogni immediati ma accompagnati lungo la strada
dell’integrazione. Insomma, insiste Francesco, “un’Europa che sia ‘comunità
solidale’”, la sola in grado di “fare fronte a questa sfida in modo proficuo,
mentre – evidenzia – ogni soluzione parziale ha già dimostrato la propria
inadeguatezza”.
Oltre
confessionalismi e laicismo
E
poi il quarto sogno, che il Papa esprime così: “Un’Europa sanamente laica, in
cui Dio e Cesare siano distinti ma non contrapposti”. Il che per Francesco vuol
dire una terra “aperta alla trascendenza, in cui chi è credente sia libero di
professare pubblicamente la fede e di proporre il proprio punto di vista nella
società”. Un’Europa per la quale, il Papa riconosce che “sono finiti i tempi
dei confessionalismi, ma si spera – è il suo augurio – anche quello di un certo
laicismo che chiude le porte verso gli altri e
soprattutto verso Dio, poiché è evidente che una cultura o un
sistema politico che non rispetti l’apertura alla trascendenza, non rispetta
adeguatamente la persona umana”.
Un
futuro da scrivere
Le
ultime considerazioni sono per la “grande responsabilità” dei cristiani
nell’animare il cambiamento in tutti gli ambiti “in cui vivono e operano” e per
l’affidamento della “cara Europa” ai suoi santi patroni, Benedetto, Cirillo e
Metodio, Brigida, Caterina, Teresa Benedetta della Croce. Nella “certezza – che
Francesco coltiva – che l’Europa abbia ancora molto da donare al mondo”.
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