sabato 31 ottobre 2020

QUANDO LA FEDE RENDE LEGGERI

CARLO ACUTIS 

MODELLO DI LEGGEREZZA

Giorgio Gusella

È il 10 ottobre 2020, all’interno della Basilica di San Francesco d’Assisi, il cardinale Agostino Vallini legge la lettera apostolica di Papa Francesco, proclamando solennemente: “[…]Concediamo che il venerabile servo di Dio Carlo Acutis, laico, che con l’entusiasmo della giovinezza coltivò l’amicizia con Gesù, mettendo l’Eucarestia e la testimonianza della carità al centro della propria vita, d’ora in poi sia chiamato beato”. Il coro e l’assemblea intonano “Amen” e il drappo bianco lentamente disvela l’immagine del giovane Carlo, che a soli 15 anni, a causa di una leucemia fulminante, nasceva al cielo il 12 ottobre del 2006.

Tanto è stato detto su Carlo Acutis, sulla sua ordinarietà e allo stesso tempo straordinarietà. Mi piacerebbe però riflettessimo insieme sul significato di questa beatificazione. Perché la Chiesa ha ufficialmente riconosciuto come modello di fede il giovane Carlo?. Uno degli aspetti che credo possa essere d’ispirazione per tanti giovani, e non, che vogliano lasciarsi guidare dall’esempio del beato Carlo è sicuramente la fede vissuta come leggerezza. Per comprendere il significato della leggerezza pensiamo alla danza, che, come ricorda il professore Giuseppe Savagnone, è l’espressione di una serie di movimenti armonici tra di loro, e quindi carichi di senso, frutto di impegno e sacrificio. Un buon ballerino, scrive il professore in “Educare oggi alle virtù”, è tanto più fedele al suo ruolo quanto più è capace di interpretarlo con libertà e leggerezza. I suoi gesti – pur essendo stati appresi con consapevole paziente esercizio, che richiede immensi sacrifici – appaiono del tutto naturali, spontanei, irriducibili ad ogni regola prestabilita.

La leggerezza: autenticità nella testimonianza

La leggerezza del ballerino è la leggerezza di chi ha avvertito il senso più profondo della sua danza, non è la leggerezza del nulla, della superficialità, l’assenza di peso dei movimenti disarmonici. È qui che la vita di Carlo viene a scuotere le coscienze di tanti credenti, ricordando che una vita di fede sarà tanto più autentica quanto più sarà intrecciata con la vita così da diventare una cosa sola, “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20) . Così come  i movimenti del buon ballerino appariranno agli altri naturali e spontanei, non meccaniche riproduzioni di un copione, e ne gusteranno un inevitabile senso di leggerezza, così il credente testimonierà realmente il Vangelo quando la sua stessa carne sarà Vangelo. Carlo Acutis ci parla oggi di una fede che è possibile vivere con leggerezza e con gioia.

La relazione al centro della fede

La lettera del Papa si esprime in questi termini: “ […] che con l’entusiasmo della giovinezza coltivò l’amicizia con Gesù, mettendo l’Eucarestia e la testimonianza della carità al centro della propria vita”. Carlo viene a scardinare tanti atteggiamenti, a risvegliare tante “vite di fede” che hanno adombrato il vero cuore della questione: l’amicizia con Gesù. Seppur in una breve esistenza terrena Carlo ha compreso quello che tanti credenti faticano ad accettare, la fede è un incontro! Si potranno scrivere valanghe di libri, si potranno indire valanghe di Concili e documenti ma se noi credenti dimentichiamo o non sperimentiamo l’incontro con Gesù Risorto, sempre vivo, allora il nostro cuore non si potrà mai infiammare come avvenne ai discepoli di Emmaus che ascoltavano Gesù lungo il cammino. Se la vita di fede non esperimenta l’incontro personale con Dio, attraverso i suoi testimoni che incontriamo lungo la nostra vita, allora potremo parlare di tutto ma non di una storia d’amore. Diceva Carlo: “Essere sempre unito a Gesù, ecco il mio programma di vita”.

Al cuore della vita

Il suo stretto rapporto con Gesù Eucarestia ci interroga non solo sull’immensa ricchezza che il Signore ci ha donato e che ci dona ogni giorno tramite la Chiesa, ma anche su un modo nuovo di guardare la vita. Carlo, come tutti i santi, non era alienato dal mondo e dalle sue dinamiche. Basti conoscere la sua storia per rendersi conto di quanti interessi e passioni orbitassero attorno a lui, ma allo stesso tempo, l’Eucarestia, che Carlo definiva “la mia autostrada per il cielo”, era in grado di far sì che quello sguardo si posasse sulle cose del mondo, e non le sorvolasse distrattamente. L’adorazione eucaristica educa lo sguardo a diventare “contemplativo”, a scendere più in profondità, a scavare la superficie del reale. Mons. Bruno Forte, che al mistero trinitario dedica lo splendido libro “Trinità come storia”, sottolinea: “[…] all’esigenza teologica di conoscere Colui che per primo ci ha amati, si congiunge la domanda antropologica di conoscere in Lui e nel Suo amore l’uomo, il senso della vita e della storia. Questa seconda conoscenza si rivela pienamente possibile soltanto a condizione della prima: le profondità dell’uomo, grazie alla rivelazione del mistero, appaiono radicate nelle profondità di Dio! […] [Nel tabernacolo] ci si approssima, in umiltà e povertà adorante, alla soglia del mistero, non per catturare Dio, quanto piuttosto per lasciarsi fare prigionieri da Lui, non per mortificare la nostra umanità, quanto piuttosto per vivere fino in fondo il rischio di volersi veramente umani”. Ed è questo il rischio su cui siamo chiamati a riflettere. Un rischio che Carlo non ebbe paura di correre perché intuì che nel rapporto con Gesù si giocava sì la sua salvezza e quella degli altri, ma allo stesso tempo tutta la sua umanità: “Tutti nascono come originali – diceva – ma molti muoiono come fotocopie”. Il parroco della chiesa che Carlo era solito frequentare ricorda queste sue parole: “ [l’adorazione eucaristica] mi aiuta ad essere più leggero, Mi fermo qui per imparare a stare con gli altri”. Non due mondi distanti, due universi separati, ma un’ amicizia intima, “resta con noi perché si fa sera, e il giorno già volge al declino” (Lc 24, 29).

Profondità e leggerezza

In fondo, una vita vissuta alla luce del Vangelo, è una vita trasfigurata, una vita vista con occhi diversi. “La conversione – diceva Carlo – non è altro che lo spostare lo sguardo dal basso verso l’Alto, basta un semplice movimento degli occhi”. Quando la leggerezza diventa connaturata in noi ecco che tutto si fa più semplice e vero, più credibile. La leggerezza ha accompagnato la vita di Carlo sino al momento della sua scomparsa avvenuta in soli tre giorni, dopo avere offerto le sue sofferenze al Signore e alla Chiesa. Il beato Carlo Acutis non ci ha lasciato una formula magica per una vita felice, ma una testimonianza vera a cui possiamo guardare con speranza, ricordandoci che la santità non appartiene a pochi eletti, ma a tutti! Vivere la profondità della vita e del mondo con gli occhi di Cristo rende leggeri e non ci appesantisce, “Il mio giogo è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,25-30). Il cristiano vive con leggerezza non perché si sia lasciato alle spalle i problemi del mondo e dell’uomo e cammini in un cielo di nuvole bianche, ma perché al contrario ha sperimentato in Cristo il senso della vita e della storia, consapevole che la morte non avrà mai l’ultima parola, “Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?” (1Cor 15, 55).  La ricetta per una vita santa? Diceva Carlo “Non io ma Dio!”

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