CARLO ACUTIS
MODELLO DI LEGGEREZZA
Giorgio Gusella
È
il 10 ottobre 2020, all’interno della Basilica di San Francesco d’Assisi, il
cardinale Agostino Vallini legge la lettera apostolica di Papa Francesco,
proclamando solennemente: “[…]Concediamo che il venerabile servo di Dio Carlo
Acutis, laico, che con l’entusiasmo della giovinezza coltivò l’amicizia con
Gesù, mettendo l’Eucarestia e la testimonianza della carità al centro della
propria vita, d’ora in poi sia chiamato beato”. Il coro e l’assemblea
intonano “Amen” e il drappo bianco lentamente disvela l’immagine del giovane
Carlo, che a soli 15 anni, a causa di una leucemia fulminante, nasceva al cielo
il 12 ottobre del 2006.
Tanto
è stato detto su Carlo Acutis, sulla sua ordinarietà e allo stesso tempo
straordinarietà. Mi piacerebbe però riflettessimo insieme sul significato di
questa beatificazione. Perché la Chiesa ha ufficialmente riconosciuto come
modello di fede il giovane Carlo?. Uno degli aspetti che credo possa essere d’ispirazione
per tanti giovani, e non, che vogliano lasciarsi guidare dall’esempio del beato
Carlo è sicuramente la fede vissuta come leggerezza. Per comprendere il
significato della leggerezza pensiamo alla danza, che, come ricorda il
professore Giuseppe Savagnone, è l’espressione di una serie di movimenti
armonici tra di loro, e quindi carichi di senso, frutto di impegno e
sacrificio. Un buon ballerino, scrive il professore in “Educare oggi alle
virtù”, è tanto più fedele al suo ruolo quanto più è capace di interpretarlo
con libertà e leggerezza. I suoi gesti – pur essendo stati appresi con
consapevole paziente esercizio, che richiede immensi sacrifici – appaiono del
tutto naturali, spontanei, irriducibili ad ogni regola prestabilita.
La
leggerezza: autenticità nella testimonianza
La
leggerezza del ballerino è la leggerezza di chi ha avvertito il senso più
profondo della sua danza, non è la leggerezza del nulla, della superficialità,
l’assenza di peso dei movimenti disarmonici. È qui che la vita di Carlo viene a
scuotere le coscienze di tanti credenti, ricordando che una vita di fede sarà
tanto più autentica quanto più sarà intrecciata con la vita così da diventare
una cosa sola, “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20) .
Così come i movimenti del buon ballerino appariranno agli altri naturali
e spontanei, non meccaniche riproduzioni di un copione, e ne gusteranno un
inevitabile senso di leggerezza, così il credente testimonierà realmente il
Vangelo quando la sua stessa carne sarà Vangelo. Carlo Acutis ci parla oggi di
una fede che è possibile vivere con leggerezza e con gioia.
La
relazione al centro della fede
La
lettera del Papa si esprime in questi termini: “ […] che con l’entusiasmo della
giovinezza coltivò l’amicizia con Gesù, mettendo l’Eucarestia e la
testimonianza della carità al centro della propria vita”. Carlo viene a
scardinare tanti atteggiamenti, a risvegliare tante “vite di fede” che hanno
adombrato il vero cuore della questione: l’amicizia con Gesù. Seppur in una
breve esistenza terrena Carlo ha compreso quello che tanti credenti faticano ad
accettare, la fede è un incontro! Si potranno scrivere valanghe di libri, si
potranno indire valanghe di Concili e documenti ma se noi credenti
dimentichiamo o non sperimentiamo l’incontro con Gesù Risorto, sempre vivo,
allora il nostro cuore non si potrà mai infiammare come avvenne ai discepoli di
Emmaus che ascoltavano Gesù lungo il cammino. Se la vita di fede non
esperimenta l’incontro personale con Dio, attraverso i suoi testimoni che
incontriamo lungo la nostra vita, allora potremo parlare di tutto ma non di una
storia d’amore. Diceva Carlo: “Essere sempre unito a Gesù, ecco il mio
programma di vita”.
Al
cuore della vita
Il
suo stretto rapporto con Gesù Eucarestia ci interroga non solo sull’immensa
ricchezza che il Signore ci ha donato e che ci dona ogni giorno tramite la
Chiesa, ma anche su un modo nuovo di guardare la vita. Carlo, come tutti i
santi, non era alienato dal mondo e dalle sue dinamiche. Basti conoscere la sua
storia per rendersi conto di quanti interessi e passioni orbitassero attorno a
lui, ma allo stesso tempo, l’Eucarestia, che Carlo definiva “la mia autostrada
per il cielo”, era in grado di far sì che quello sguardo si posasse sulle cose
del mondo, e non le sorvolasse distrattamente. L’adorazione eucaristica educa
lo sguardo a diventare “contemplativo”, a scendere più in profondità, a scavare
la superficie del reale. Mons. Bruno Forte, che al mistero trinitario dedica lo
splendido libro “Trinità come storia”, sottolinea: “[…] all’esigenza teologica di
conoscere Colui che per primo ci ha amati, si congiunge la domanda antropologica di
conoscere in Lui e nel Suo amore l’uomo, il senso della vita e della storia.
Questa seconda conoscenza si rivela pienamente possibile soltanto a condizione
della prima: le profondità dell’uomo, grazie alla rivelazione del mistero,
appaiono radicate nelle profondità di Dio! […] [Nel tabernacolo] ci si
approssima, in umiltà e povertà adorante, alla soglia del mistero, non per
catturare Dio, quanto piuttosto per lasciarsi fare prigionieri da Lui, non per
mortificare la nostra umanità, quanto piuttosto per vivere fino in fondo il
rischio di volersi veramente umani”. Ed è questo il rischio su cui siamo
chiamati a riflettere. Un rischio che Carlo non ebbe paura di correre perché
intuì che nel rapporto con Gesù si giocava sì la sua salvezza e quella degli
altri, ma allo stesso tempo tutta la sua umanità: “Tutti nascono come originali
– diceva – ma molti muoiono come fotocopie”. Il parroco della chiesa che
Carlo era solito frequentare ricorda queste sue parole: “ [l’adorazione
eucaristica] mi aiuta ad essere più leggero, Mi fermo qui per imparare a stare
con gli altri”. Non due mondi distanti, due universi separati, ma un’ amicizia
intima, “resta con noi perché si fa sera, e il giorno già volge al declino” (Lc
24, 29).
Profondità
e leggerezza
In
fondo, una vita vissuta alla luce del Vangelo, è una vita trasfigurata, una
vita vista con occhi diversi. “La conversione – diceva Carlo – non è altro che
lo spostare lo sguardo dal basso verso l’Alto, basta un semplice movimento
degli occhi”. Quando la leggerezza diventa connaturata in noi ecco che tutto si
fa più semplice e vero, più credibile. La leggerezza ha accompagnato la vita di
Carlo sino al momento della sua scomparsa avvenuta in soli tre giorni, dopo
avere offerto le sue sofferenze al Signore e alla Chiesa. Il beato Carlo Acutis
non ci ha lasciato una formula magica per una vita felice, ma una testimonianza
vera a cui possiamo guardare con speranza, ricordandoci che la santità non
appartiene a pochi eletti, ma a tutti! Vivere la profondità della vita e del
mondo con gli occhi di Cristo rende leggeri e non ci appesantisce, “Il mio
giogo è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,25-30). Il cristiano vive con
leggerezza non perché si sia lasciato alle spalle i problemi del mondo e
dell’uomo e cammini in un cielo di nuvole bianche, ma perché al contrario ha
sperimentato in Cristo il senso della vita e della storia, consapevole che la
morte non avrà mai l’ultima parola, “Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o
morte, il tuo pungiglione?” (1Cor 15, 55). La ricetta per una vita santa?
Diceva Carlo “Non io ma Dio!”
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