«E ora riscopriamo il mondo del possibile»
«La modernità è l’epoca del possibile,
ma per consentirgli di fare il suo gioco occorre un limite»
«Quando
Dostoevskij dice che, se Dio non c’è, tutto è possibile, lo fa perché si sente
orfano di una religione particolare. Un cinese non lo sosterrebbe mai. Per lui
l’uomo vive in un flusso, in un ordine in cui è evidente che tutto non è
possibile», racconta Paolo Jedlowski, docente di Sociologia all’Università di
Calabria e autore dei recenti Memorie del futuro. Un percorso tra sociologia e studi
culturali (Carocci, pagine 116, euro 11) e Intanto (Mesogea,
pagine 154, euro 13) scritto proprio nel corso del recente lockdown. Nel corso
del Festival di Sociologia di Narni, Jedlowski ha affrontato un problema
fondamentale per tornare a interrogare la realtà che ci circonda. “Ripensare il
possibile” si intitola, infatti, la lectio magistralis che
ha pronunciato al Teatro comunale.
Che cos’è il possibile,
professore?
Darne
una definizione è difficile ma forse un modo per descriverlo si trova. Il
possibile è qualcosa che non sappiamo se è o non è. Anzi il possibile è
qualcosa che è e, simultaneamente, non è. Pensiamo al futuro: al tempo stesso
esso è, perché lo immagino, ma anche non è, perché non ha ancora avuto modo di
dispiegarsi, se mai lo avrà. Al possibile si contrappone invece il concetto di
necessario che è determinato, è o non è.
Tertium non datur. Non può essere e
non essere simultaneamente come invece avviene per il possibile.
Come ha scoperto
l’esperienza del possibile?
Come
tutti, nella vita di ogni giorno, mi imbatto in un ventaglio di possibilità. Di
solito do per scontata una certa opinione, accetto dei comportamenti anche
senza interrogarli ma capita che in certi momenti ci si chieda che cosa sia
possibile e cosa no, che cosa accadrà nel mio gruppo, nel mondo o a me. E
questo porta a immaginare altri possibili oltre a quello realizzato che vivo.
Invece dal punto di vista intellettuale il tema del possibile è apparso
lavorando al mio libro Memorie del futuro. Allora mi chiedevo
cosa facciamo dei futuri che abbiamo immaginato in passato ma che non si sono
realizzati. Malgrado non siano diventate realtà esse non sono scomparse del
tutto. Rimangono nel ricordo e questo vale per l’esperienza personale ma anche
per la storia collettiva.
Che cosa consente
l’imporsi di un possibile piuttosto di un altro?
La sua
forza. Il realizzarsi di un possibile piuttosto di un altro avviene con il
conflitto. Nella storia collettiva ma anche in quella personale. Anzi il
ricordo dei possibili non realizzati consente di pensare alla pugna interiore
che ha portato al prevalere di uno sull’altro e quindi di riflettere su di
sé.
E che conseguenze può
avere?
Il
ricordo dei possibili mancati può diventare uno slancio di entusiasmo.
Ritornare sulle possibilità irrealizzate permette di riconsiderare quello che
non è stato per rielaborarlo e realizzarlo ad un altro livello. Per esempio se
accarezzo il ricordo di quando andavo in motocicletta non è per rimpiangere il
passato, ma per ridare linfa alla vitalità, rinverdire la voglia di vivere che
si esprime nel desiderio di muoversi, allora su una due ruote e oggi
in modo diverso.
Che rapporto c’è tra il
possibile e la modernità?
La
modernità è l’epoca del possibile, che si manifesta attraverso la ricerca
scientifica e tecnologica ma anche attraverso l’emancipazione dai vincoli che
legavano l’uomo e limitavano il ventaglio delle possibilità. Il rapporto tra
modernità e il possibile lo scorgiamo nel capolavoro di Robert Musil, L’uomo senza
qualità: all’uomo è proprio il senso del possibile ma il
protagonista, Ulrich, di possibili da coltivare ne ha troppi. Infatti la
modernità rappresenta il loro eccesso e questo disorienta l’uomo, lo paralizza.
Per consentire al possibile di fare il suo gioco occorre la presenza di un
limite, perché per realizzarsi il possibile necessita della realtà che solo
all’apparenza lo frena.
Che relazione c’è tra il
possibile e la libertà?
È
strettissima ma per capirlo bisogna considerare il ruolo recitato
dall’abitudine, dal senso comune. Essi permettono di risparmiare energie, di
mettere tra parentesi i troppi possibili che potrebbero distrarci e bloccarci.
Per esempio l’urgenza in cui spesso sprofondiamo in questi tempi forse non è
altro che una maniera per mettere tra parentesi altri modi di vita che solo
apparentemente desideriamo. Se viviamo di fretta magari c’è una ragione, vale a
dire non vogliamo essere scavalcati dagli eventi...
Il recente lockdown che
ruolo ha giocato nell’economia del possibile?
È stato
un momento-soglia. Di solito si vive senza porsi tante domande, ma
all’improvviso fanno capolino dei momenti che squarciano il velo. Può essere il
lockdown, ma anche un lutto o la lettura di una poesia che spinge a
reinterrogare lo scontato e a fare emergere altri possibili. Col lockdown ci si
è chiesti, per la prima volta dopo tanto tempo coralmente, se volevamo tornare
a vivere come prima oppure no.
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