sabato 13 settembre 2025

UN ASSASSINIO PREMEDITATO

Immagine che contiene Viso umano, persona, vestiti, uomo

Il contenuto generato dall'IA potrebbe non essere corretto.    L’assassinio di Kirk e la perversa alternativa dell’Occidente






-di Giuseppe Savagnone 


Un atto di violenza che ferisce la democrazia

La morte di un essere umano è sempre una tragedia, soprattutto se si tratta di un giovane di 31 anni con una graziosa moglie e due figli. Ma il brutale assassinio di Charlie Kirk assume un significato particolarmente drammatico agli occhi di chiunque abbia a cuore la democrazia, perché è l’indice di un clima esasperato di conflittualità che la avvelena, e non solo negli Stati Uniti.

Da questo punto di vista, appare appropriato il commento del nostro ministro degli Esteri, Tajani: «La violenza verbale e la criminalizzazione del pensiero altrui possono accendere lugubri pensieri in menti malate che, all’insegna dell’odio, possono compiere gesti criminali come quelli che hanno provocato morte del blogger americano Charlie Kirk. Chi la pensa diversamente da noi non è mai un nemico, ma un avversario con cui confrontarsi».

Kirk è stato ucciso mentre dialogava con gli studenti di un campus universitario, proseguendo la missione a cui si era consacrato con grande successo, che era di rimettere in discussione la cultura “woke” dominante, spesso in forme intolleranti, nelle università americane. Era un uomo vicinissimo a Donald Trump, e costituiva quasi una “cinghia di trasmissione” tra il Tycoon e il mondo giovanile.

Ma questo non giustifica le accuse isteriche che sono state immediatamente rivolte alla sinistra da politici e giornalisti della destra. Come quelle urlate a Capitol Hill, ai democratici presenti, dalla deputata repubblicana Anna Paulina Luna, secondo cui «sono stati loro a causare tutto questo». Altri sono andati ancora oltre. Jesse Watters, conduttore di Fox News (emittente molto vicina a Trump), ha dichiarato: «Vendicheremo la morte di Charlie nel modo in cui lui avrebbe voluto». E il giornalista Matt Forney si è spinto fino a scrivere: «È tempo di una repressione totale contro la sinistra. Ogni politico democratico deve essere arrestato e il partito va bandito».

In realtà gli esponenti democratici sono stati unanimi nel condannare l’omicidio. «Non c’è posto nel nostro Paese per questo tipo di violenza. Deve cessare immediatamente», ha dichiarato l’ex presidente democratico Joe Biden su X. E sulla stessa linea si sono pronunziati tutti gli altri leader dell’opposizione.

Ma chi non è sembrato tenerne conto è stato soprattutto Trump. Il presidente ha definito Kirk una «vittima delle retorica della sinistra radicale», che «da anni paragona meravigliosi americani come Charlie ai peggiori criminali della storia», creando un clima d’odio: «Questa retorica è direttamente responsabile per il terrorismo che stiamo vedendo nel Paese e deve cessare ora».

Trump ha anche chiamato in causa la libertà di pensiero e di espressione: «La violenza e l’omicidio», ha detto, «sono le tragiche conseguenze della demonizzazione di coloro con cui non si è d’accordo», ha detto, accusando ancora una volta la «sinistra radicale» di incitare all’odio e al caos.

Non si può evitare l’impressione che il capo della Casa Bianca stia approfittando dell’uccisione di Kirk per ribadire e potenziare la sua politica di militarizzazione del paese, già in atto con il dispiegamento della Guardia nazionale nelle principali città americane, per lo più amministrate dai democratici. Una politica giustificata dal presidente come necessaria a contrastare un preteso aumento della criminalità, smentito però nettamente dalle statistiche, che parlano, invece, di una sua riduzione.

Peraltro Trump, richiamando precedenti casi di violenza politica, non ha detto una parola proprio sul più grave e recente di questi episodi, quello dell’assassinio, nello scorso giugno, di Melissa Hortman, figura di spicco del partito democratico in Minnesota, ritrovata uccisa con suo marito nella loro abitazione.

Secondo le prime indagini, un uomo armato, travestito da agente di polizia, avrebbe compiuto quello che il governatore del Minnesota Tim Walz ha definito «un omicidio politico deliberato», che però ha avuto sui media e nell’opinione pubblica una risonanza immensamente inferiore a quello di Kirk e ora non è stato neppure menzionato nella ricostruzione di Trump.

La gratitudine a Dio dell’on. Bignami

Anche in Italia – paese ormai strettamente legato agli Stati Uniti dalla sintonia fra Trump e la nostra presidente del Consiglio – l’assassinio di Kirk ha scatenato una  campagna di demonizzazione degli esponenti della sinistra. Il capogruppo di FdI,  Galeazzo Bignami, in questa occasione, li ha definiti «impregnati di odio, livore, rancore. Ringrazio Dio di non avermi creato come loro».

«Morto a destra, festa a sinistra», è il titolo di «Libero» sull’accaduto. In prima pagina il quotidiano riporta anche un’immagine, apparsa sui social, in cui Kirk è rappresentato a testa in giù, con sovrimpressa l’indicazione «-1». E «Il Giornale», sotto il titolo «Uccisa la libertà di parola», mette: «La sinistra giustifica l’assassino. Meloni: non ci intimidiscono».

In realtà, i commenti della sinistra politica sono stati unanimemente di netta condanna. Valga per tutti quello di Elly Schlein: «L’uccisione di Charlie Kirk è drammatica e scioccante. In una democrazia non può e non deve trovare alcuno spazio la violenza politica, che va sempre condannata in modo netto a prescindere dalle idee di chi colpisce».

Il principale bersaglio delle accuse della destra, però, sono stati gli intellettuali, in particolare Roberto Saviano, che ha accostato l’assassinio di Charlie Kirk all’incendio del Reichstag, nel 1933, strumentalizzato da Hitler di proclamare lo stato di emergenza e reprimere i diritti civili, aprendo la strada alla dittatura nazista. Preoccupazione legittima, alla luce di quanto prima abbiamo visto.

«Ma» – ha subito sottolineato lo scrittore – «le parole sono parole e la violenza è violenza (…) Non esistono omicidi che difendono idee: il sangue versato indebolisce sempre la democrazia». Precisazione che, in verità, smentisce inequivocabilmente la tesi di una sua compiacente connivenza con l’accaduto. Con buona pace di Meloni, a quanto pare nessuno vuole intimidirla.

Anzi, se di violenza si deve parlare…

Ritorna la domanda: ma è davvero la sinistra – o, almeno, solo la sinistra – ad essere responsabile del clima di violenza che ha reso la democrazia-simbolo dell’Occidente «una polveriera» – secondo la definizione di Robert Pape, professore di scienze politiche all’Università di Chicago – , portandola a quella che Newt Gingrich, ex speaker repubblicano della Camera, ha chiamato una «guerra civile culturale»?

Forse, se si parla di violenza, bisognerebbe tenere conto del ruolo che nei suoi effetti, spesso drammatici, ha il libero commercio delle armi, sancito dal Secondo emendamento della Costituzione americana, fortemente voluto dalle industrie belliche e sostenuto a spada tratta dai repubblicani contro la “sinistra” democratica.

Non può non impressionare, a questo proposito, che lo stesso Charlie Kirk abbia sostenuto, poco tempo prima della sua uccisione, che «alcune morti causate dalle armi da fuoco sono un costo accettabile da pagare per poter mantenere il Secondo emendamento».

Ma soprattutto è inevitabile confrontare le parole di Trump, riguardo alla violenza del linguaggio e alla demonizzazione degli avversari politici, con il suo stile abituale. A cominciare dal minaccioso avvertimento lanciato, già prima della sua rielezione, il 17 marzo 2024, dal palco dell’Ohio: «Se perdo, sarà un bagno di sangue».

Per proseguire con le promesse di vendetta e punizione dei suoi “nemici”,  più volte ripetute durante le ultime settimane della campagna elettorale, col giuramento di estirpare «il nemico interno», precisando che avrebbe persino usato l’esercito per dare la caccia ai suoi avversari politici.

E ha mantenuto la parola. Abbiamo appena detto dell’uso sproporzionato e allarmate dell’esercito. Ma è tutto il comportamento del nuovo presidente che conferma le sue minacce.

«Stiamo certamente assistendo a un’ondata di vendette da parte di Trump che non avevamo mai visto prima» ha constatato un osservatore. Andando ben al di là del fisiologico uso dello Spoils system, ha epurato il governo federale e l’esercito, ha tagliato i fondi a università, media, istituzioni culturali e persino squadre sportive. Ha insultato pubblicamente il suo immediato precessore, Biden e, a luglio, in un post sul suo social «Truth», ha condiviso un video generato dall’intelligenza artificiale, in cui era rappresentato l’altro presidente democratico, Barack Obama, ammanettato da agenti dell’FBI e trascinato fuori dallo Studio Ovale.

Per non parlare della promessa campagna di «deportazione» di undici milioni di latinos immigrati (in gran parte, peraltro, ormai inseriti nella società americana), fatti oggetto di una vera e propria caccia all’uomo strada per strada, di cui il Tycoon ha ogni tanto voluto dare prova postando compiaciuto le immagini di gruppi di loro in catene e in ginocchio.

La crisi più profonda

A questa causa Charlie Kirk ha consacrato senza riserve le sue grandi doti di intellettuale e di comunicatore, sostenendone efficacemente le ragioni in innumerevoli dibattiti. E sposando, così, anche le scelte del presidente americano in politica estera, a cominciare dal sostegno incondizionato a Israele in quello che ormai molti, anche ebrei israeliani, definiscono un genocidio.  

Da qui le addolorate condoglianze del premier Netanyahu, che ha dichiarato: «Charlie Kirk è stato assassinato per aver detto la verità e difeso la libertà. Un amico coraggioso di Israele, ha combattuto le menzogne e si è eretto a difesa della civiltà giudeo-cristiana». Condoglianze a cui si è unito il ministro estremista Ben Gvir, che ha commentato: «La collusione tra la sinistra globale e l’Islam radicale è il più grande pericolo per l’umanità oggi».

Forse è proprio in questi ultimi riferimenti la chiave ultima per capire la posizione di Charlie Kirk. Come ha sottolineato Antonio Socci, su «Libero», in un editoriale dal titolo «La lezione cristiana del trumpiano ucciso», Kirk era «un devoto cristiano evangelico». È noto che le sette evangeliche sono tra le principali sostenitrici di Trump, che vedono in lui la sola alternativa alla cultura “woke”, sostenuta da molti democratici, e alla crescente influenza dell’islam attraverso i movimenti migratori. Anche molti cattolici – emblematico il caso del vicepresidente Vance – si sono schierati dalla sua parte.

Non è un caso che i due successi elettorali di Trump siano stati ottenuti rispettivamente nei confronti di Hillary Clinton e di Kamala Harris, entrambe esplicite e accanite sostenitrici della liberalizzazione totale dell’aborto, in linea con la cultura assolutizzata dei diritti e in radicale contrasto con la visione cristiana della persona. 

Purtroppo, per quanto lontana sia dal vangelo la visione individualista e libertaria   della sinistra, nulla può autorizzare a definire quella di Kirk, per usare le parole di Socci, una «lezione cristiana». Come non lo è quella dei politici che anche in Italia amano sventolare il vangelo ed esibire la loro adesione alla prospettiva cattolica.

Interrogato dai giornalisti, alla vigilia delle ultime elezioni americane, su quale dei due candidati preferisse, papa Francesco ha risposto semplicemente: «Ambedue sono contro la vita, sia quello che butta via i migranti sia quello che uccide i bambini». Senza parlare delle povere vittime di Gaza…

L’assassinio di Charlie Kirk, per la sua violenza, è certamente il sintomo allarmante di una crisi della civiltà e della democrazia dell’Occidente. Ma forse ancora più grave, perché più profondo e meno percepito dall’opinione pubblica e dagli osservatori, è il ridursi di destra e sinistra – negli Stati Uniti e da noi  – a questa perversa alternativa, che esclude non solo il vangelo, ma la nostra stessa umanità.

www.tuttavia.eu

Photo Gage Skidmore from Flickr


 

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