Tutto
il periodo iniziale dell’anno liturgico con le celebrazioni dell’Avvento e del
Natale è caratterizzato dall’attesa e dalla gioia dell’incontro con il Signore
Gesù.
Se
le prime parola della Bibbia sono “In principio Dio creò il cielo e la terra”
(Gen.1, 1), le ultime parole, prima del saluto conclusivo, sono “Sì, verrò
presto! Amen. Vieni Signore Gesù!” (Ap. 22,20).
Per la nostra fede tra l’inizio della creazione ed il ritorno di Gesù
Crocifisso e Risorto è racchiusa la storia dell’universo, dell’umanità, della
Chiesa, di ogni persona credente o non credente.
Siamo
davvero cristiani se attendiamo Qualcuno, aspettiamo un incontro e viviamo
nell’attesa per cogliere il Suo passaggio e la Sua presenza nelle vicende della
vita quotidiana. La vigilanza è la virtù tipica di chi vive di fede, di chi ha
il presentimento e la certezza che il Signore davvero incrocia le strade della
vita; essa si fonde con l’attesa, con la leggerezza e la giusta valutazione delle
cose, con l’audacia ed il coraggio, con la preghiera ed una positiva tensione
interiore.
Nell’Avvento
riviviamo in particolare l’attesa della venuta storica di Gesù. Modello di
questa attesa è sopra tutti la Vergine Maria: in Lei rivive tutta la storia di
Israele che aspetta il suo Salvatore, rivivono la speranza di Abramo e dei
Patriarchi, il cammino di Mosè che guida il popolo alla terra promessa,
l’ardore e la certezza dei profeti, la pietà dei poveri fiduciosi nel Signore.
E’ Lei il fiore più bello di Israele, il giglio delle nostre vallate, l’aurora
che annuncia il giorno di Dio, la stella del mare che indica una meta ed un
porto a quanti sono smarriti nella tempesta.
Oltre
alla venuta storica di Cristo, nato a Betlemme nell’umiltà della nostra carne, morto
e risorto a Gerusalemme quando era governatore della Giudea Ponzio Pilato, vi è
una venuta intermedia del Signore nella ordinarietà della vita quotidiana:
“Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la
porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap. 3, 20). Cristo viene a noi nell’oggi della salvezza
attraverso i sacramenti, in particolare l’Eucaristia, preludio del banchetto
messianico della fine dei tempi, viene a noi nella Sacra Scrittura e
nell’ascolto della sua Parola, ci raggiunge e ci scuote anche negli imprevisti
delle nostre vicende terrene. Ogni giorno attendiamo il Signore, come si
attende il ritorno di un figlio o il passaggio ospitale di una persona amica.
Gesù,
il figlio di Dio verrà anche alla fine dei tempi: prima di tutto alla fine del
nostro tempo terreno, chiamati ad un incontro con Lui, quando valuteremo alla
luce della Sua misericordia e del Suo perdono tutta la nostra personale vicenda
terrena; verrà poi con la sua Parusia, con il suo avvento glorioso alla fine di
questo mondo terreno, per instaurare definitivamente il Suo regno, perché è Lui
l’alfa e l’omega, il principio, il centro e la fine di tutta la storia.
Vorrei
illustrare questa attesa di Gesù che è venuto nella storia, che viene con la
sua grazia nella vita quotidiana per prepararci alla sua definitiva venuta alla
fine del nostro tempo, con una vibrante poesia di Clemente Rebora (1885-1957),
posta al termine della sua raccolta poetica “Canti anonimi”, pubblicata nel
1922, anni prima della sua conversione per così dire ufficiale alla fede
cristiana nel 1929, e del suo ingresso nella congregazione fondata da Antonio
Rosmini (1930) e della sua ordinazione sacerdotale (1936).
La
poesia è ritenuta uno dei più alti canti religiosi della letteratura del
Novecento. L’autore è chiuso in una stanza pressoché buia, ma tutto il suo
corpo è in tensione interiore (teso è un aggettivo particolarmente caro a
Rebora) per un evento, per l’arrivo misterioso di Qualcuno. Egli pertanto, come
le vergini sagge del Vangelo che attendono lo sposo, “vigila l’istante”. Nel
buio della stanza, simbolo della sua inquietudine interiore, balena una luce
(“nell’ombra accesa”); gli pare che il campanello della porta emetta un suono
impercettibile, ma profumato e fecondo come il polline, creatore di vita (“un
polline di suono”); lo spazio della sua stanza si dilata con stupore come un
deserto senza confini. Eppure – e lo ripete tre volte – non aspetta nessuno di
questo mondo, ma ha il presentimento che Qualcuno verrà davvero nella sua vita.
L’Ospite
verrà (lo ripete sei volte nella seconda parte della poesia), se egli sarà
capace di resistere nell’attesa e sboccerà come un fiore nella sua anima: era
dunque Lui che spandeva un polline di suono. Sarà un incontro misterioso ed
improvviso, che porterà il perdono e la vittoria sul peccato e sulla morte, il
tesoro della grazia e dello Spirito, il ristoro umanamente impensabile della
sua sofferenza e di quella di Cristo stesso crocifisso.
Verrà
dunque, ma forse è già lì con il suo “bisbiglio”, con il suo invito a captare
la sua leggerissima voce con il raccoglimento ed il silenzio interiore.
Dall’immagine
tesa
vigilo
l’istante
con
imminenza di attesa –
e
non aspetto nessuno:
nell’ombra
accesa
spio
il campanello
che
impercettibile spande
un
polline di suono –
e
non aspetto nessuno:
fra
quattro mura
stupefatte
di spazio
più
che un deserto
non
aspetto nessuno.
Ma
deve venire,
verrà,
se resisto
a
sbocciare non visto,
verrà
d’improvviso,
quando
meno l’avverto.
Verrà
quasi perdono
di
quanto fa morire,
verrà
a farmi certo
del
suo e mio tesoro,
verrà
come ristoro
delle
mie e sue pene,
verrà,
forse già viene
il
suo bisbiglio.
E’
davvero una bella poesia che stimola a “vigilare l’istante”, ossia ad una
intensa vita interiore, perché il Signore viene realmente.
Ma
senza questo atteggiamento spirituale la venuta storica di Gesù nel Natale, la
sua venuta nella Grazia e nell’imprevisto lieto o triste della vita quotidiana,
la sua venuta gloriosa alla fine del nostro tempo e della storia non vengono
avvertite e rimangono solo un avvenimento esterno che non commuove e non
interessa. Non avvenga per noi che la porta del nostro cuore rimanga chiusa per
l’Ospite che tocca il campanello della nostra anima e spande un “polline di
suono” invitandoci ad accoglierLo!
*Assistente Ecclesiastico Nazionale AIMC
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