Dispersione record al 12,7%, mentre chi non studia e non lavora è a quota 23,1%: primato europeo
Un'aula
vuota: così sarà la scuola italiana a causa dell'inverno demografico
«In
base alle previsioni demografiche – si legge nel Rapporto del Censis – si
prefigurano aule scolastiche desertificate e un bacino universitario
depauperato». Nel medio-lungo termine, le previsioni sono tutt’altro che
favorevoli. Già tra una decina d’anni, infatti, la popolazione tra i 3 e i 18
anni scenderà dagli attuali 8,5 milioni a 7,1 milioni e tra vent’anni, nel
2042, potrebbe ridursi a 6,8 milioni, con una perdita secca di 1,7 milioni di
individui rispetto ad oggi. Un vero e proprio «tsunami demografico» per i
ricercatori sociali del Censis, secondo cui nel 2032 la popolazione tra i 6 e i
13 anni (primaria e secondaria di primo grado), calerà di quasi 900mila
persone. Nel decennio successivo, l’inverno demografico aggredirà pesantemente
anche la scuola secondaria di secondo grado, con un taglio secco di 726mila
ragazzi tra i 14 e i 18 anni al 2042. Ancora più pesante sarà, tra vent’anni,
il bilancio demografico per la fascia d’età compresa tra i 19 e i 24 anni:
-760mila persone rispetto ad oggi. «A parità di propensione agli studi
universitari – avverte il Censis – si conterebbero 390mila iscritti e 78mila
immatricolati in meno rispetto ad oggi».
Nonostante
il calo delle nascite, il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe
Valditara, rassicura le famiglie: a fronte di un taglio di 700 scuole in quanto
“istituti giuridici”, i plessi rimarranno invariati. «Sono 40.466 e rimarranno
40.466 – ha sottolineato Valditara –. Gli studenti continueranno ad andare negli
stessi luoghi fisici con gli stessi laboratori, le stesse aule, le stesse
strutture».
La
scuola italiana, però, non è alle prese soltanto con il calo delle iscrizioni
provocato dalle nascite sempre più scarse, ma anche con un ancor elevato tasso
di dispersione. I giovani 18-24enni usciti precocemente dal sistema di
istruzione e formazione, si legge nel Rapporto, sono il 12,7% a livello
nazionale e il 16,6% nelle regioni del Sud, contro una media europea di
dispersione scolastica che si ferma al 9,7%. E ancora. Mediamente nei Paesi
dell’Unione europea la quota di 25-34enni con il diploma è pari all’85,2%, in
Italia al 76,8% e scende al 71,2% nel Mezzogiorno. È inferiore alla media
europea anche la percentuale di 30-34enni laureati o in possesso di un titolo
di studio terziario: il 26,8% in Italia e il 20,7% al Sud, contro una media Ue
del 41,6%.
«Il
nostro Paese – ricorda il Censis – detiene anche il primato europeo per il
numero di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano: il 23,1% dei
15-29enni a fronte di una media Ue del 13,1%. Ma nelle regioni del Mezzogiorno
l’incidenza sale al 32,2%».
Non
va meglio nemmeno sul versante dell’integrazione degli alunni di nazionalità
non italiana, che nell’anno scolastico 2021-2022 erano 872.360 (+0,8% rispetto
all’anno precedente). Secondo un’indagine effettuata su più di 1.400 dirigenti
scolastici, nelle scuole a elevata presenza di stranieri (oltre il 15%) solo il
19,5% dei presidi ritiene il livello di integrazione del tutto soddisfacente e
solo per il 35,5% negli ultimi tre anni non si è verificata alcuna criticità.
Questi
fenomeni sono strettamente legati alla scarsa «coesione sociale» osservata nei
territori. Quella italiana è una società «senza», come l’hanno ribattezzata i
ricercatori del Censis. In questo caso, una società senza coesione sociale con
una scuola e un’università senza studenti. Al fondamento di questo andamento
negativo c’è la «mappa delle nuove fragilità sociali» che, al primo posto,
vedono le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta: sono più di
1,9 milioni (il 7,5% del totale), cioè 5,6 milioni di persone (il 9,4% della
popolazione: 1 milione di persone in più rispetto al 2019). Di queste, il 44,1%
risiede nel Mezzogiorno. Si tratta, spiega il Censis, di individui
impossibilitati ad acquistare un paniere di bene e servizi giudicati essenziali
per uno standard di vita accettabile. Tra questi rientra, senz’altro, anche
garantire un percorso scolastico lineare ai figli.
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