*IL GRAN BALLO DEGLI OPEN DAYS*
È vero che l’open day è la carta di identità della scuola, perché dice qual è il trend. E c’è da preoccuparsi: una miriade di attività dove la lezione è una perfetta estranea.
- di Corrado Bagnoli
C’era
una volta, nell’industriosa, fiorente Brianza una giovane insegnante di nome
Alice. Detta così sembrerebbe una fiaba. Ma Alice, che abita davvero nella
laboriosa Brianza, è la mia giovane collega, mica un personaggio da fiaba.
Anche se, ascoltando il suo racconto, verrebbe proprio da pensare che la
realtà, oggi, è più fantasiosa delle fiabe.
Alice,
come ho già scritto altrove, ogni santissimo giorno, entrando a scuola sospira
una frase – come una specie di mantra – in cui esprime il suo desiderio:
“vorrei insegnare”, magari con in mezzo ai due verbi un anche, a rendere meno pretenziosa
la sua richiesta.
Ma
ad Alice capita anche di avere un figlio che deve andare alla scuola primaria.
E così per qualche settimana si trova catapultata dall’altra parte della
barricata. Mamma giustamente interessata al futuro scolastico del figlio,
frequenta open day dalle 10 del mattino alla mezzanotte – perché qualche scuola
si è inventata l’open night: vuoi mettere? Tutti organizzano open day, ma di
open night nemmeno l’ombra. E forse un motivo c’è.
Fatto
sta che la mia giovane collega più che essere Alice nel paese delle meraviglie,
rischia di diventare Cenerentola al ballo del principe. Non demorde, lascia i
quaderni con i compiti dei suoi alunni da correggere, i piatti dentro il
lavandino – che tanto poi li laviamo domani – i figli dalla mamma, e con il
marito ne gira un po’ di queste feste sciagurate. In scuole pubbliche paritarie
con motto in latino, scuole cooperative bilingue con pulmino con stemma
fintomedievale, scuole statali con bandiere arcobaleno alle finestre.
Lei
e il marito vengono accolti da maestre e dirigenti scolastici; qualche volta
dagli alunni che con piglio sicuro illustrano la loro scuola; talvolta da file
di sedie in ordine davanti a uno schermo su cui proiettano slide, video,
interviste, tutto abilmente montato su pc e asetticamente mostrato ai genitori
entusiasti.
Loro
lo sono un po’ meno di fronte a questo scintillio di moderna tecnologia,
all’elencazione di laboratori, progetti, attività extracurricolari. Del resto,
Alice vorrebbe anche insegnare nella sua scuola e in fondo ne cerca una per suo
figlio dove possa accadere che lui impari, perché qualcuno insegna.
Comincia
a essere delusa, guarda sconsolata il marito, quasi le viene da tirare i remi
in barca. Ma c’è ancora qualche scuola da visitare e prende coraggio, si
iscrive all’ennesimo open day, come ci si iscrive appunto al gran ballo del
principe ereditario.
Così
entra in una scuola statale piccola, inquadrata dentro un comprensivo con tutte
le sue carte in regola, ma con pochi lustrini e una signora cordiale e bonaria
che dice di essere la dirigente scolastica e presenta la sua collega di religione
che aprirà la serata di presentazione: niente pc, niente megaschermi, niente
musiche d’accoglienza. E poi un’insegnante di religione – cosa piuttosto
insolita – un sorriso e una voce: che sia questa la scuola giusta?
L’insegnante
di religione si avvicina cordiale ai genitori presenti e innanzitutto li
rassicura: “Sì, lo so, si chiama religione cattolica la materia che insegno. Ma
non dovete temere: noi in questa scuola mica insegniamo a pregare. C’è anche
l’ora alternativa alla religione cattolica, ma in verità chiunque di voi può
tranquillamente iscriversi all’ora di religione. Che è, come tutta la nostra
scuola, totalmente inclusiva: niente dogmi, e se qualche volta ci capita di
parlare di Dio è perché magari la storia o l’arte ci costringono a farlo. Del
resto, abbiamo su tutto un approccio metodologico altamente inclusivo: quello a
cui vogliamo portare i nostri ragazzi è una seria coscienza civile, quello a
cui vogliamo indirizzarli è il rispetto di valori condivisi – che poi sono
anche alla base del cristianesimo – come il rispetto della natura, degli
animali e delle cose. Per questo abbiamo, soprattutto per i bimbi portatori di
bisogni speciali, aree dedicate con orti e giardini in cui le parole diventano
buone pratiche quotidiane”.
Alice,
sconcertata, guarda suo marito: lavora anche lei in un comprensivo e sa che
l’insegnamento della religione cattolica è regolamentato da un concordato, da
accordi tra istituzioni, indicazioni didattiche condivise tra scuola e autorità
ecclesiastiche. Possibile che si sia persa qualcosa?
In
realtà la questione della religione non era neanche la prima delle sue
preoccupazioni. Ma se in una scuola sono capaci di insegnare una cosa che in
realtà è un’altra, che cosa potrebbe capitare al suo bambino? In quale buca è
caduta Alice? Quale Regina di cuori ha riscritto la storia? Il Papa e i vescovi
che chiedono coraggio alla Chiesa lo sanno che gli insegnanti di religione
hanno il culto del cavolfiore e del pomodoro?
Alice
non aspetta mica il coniglio che grida e ripete “Presto, che è tardi”. Viene
via sconsolata. Le rimangono ancora due open day e una notte di mezzo. E spera
che il suo brutto sogno finisca.
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