Evitando
formule precostituite, l’autore torna all’origine della parola felicità,
analizzandola in quattro diversi contesti culturali nei quali si è sviluppata e
ha preso forma: il mondo, greco, quello latino, quello giudaico-cristiano e
quello anglosassone. Spaziando dalla filosofia alla politica alle Sacre
scritture, Balzano è riuscito a far dialogare il presente e il passato,
conducendo un’indagine etimologica che senza mai annoiare appassiona il lettore
alla storia che questa parola porta con sé.
Heudaimonìa
Il
primo capitolo è interamente dedicato all’analisi del concetto di felicità
presso i greci. Dai due volti della felicità più arcaici che racchiude la
lingua greca, ólbios e eutykés, legati all’ineluttabilità e al caso, si giunge,
attorno al VI secolo a.C., con l’avvento delle città-Stato, a coniare una nuova
parola: eudaimonía. Legata alla necessità di conoscenza di sé, attraverso la
ricerca del proprio demone e il conseguimento della virtù, ovvero la capacità
di svolgere in modo eccellente il proprio lavoro, questa vita felice diviene
per la prima volta accessibile a tutti e spendibile al servizio della comunità.
Felicitas
Il
secondo capitolo è dedicato invece alla felicitas latina, che ha a che fare con
l’abbondanza e la fortuna e si compie come un duplice atto. L’etimologia del
suo nome, infatti, deriva dal verbo felo, che vuol dire “succhiare il seno”,
“allattare”. La felicità è un continuo trasferimento di nutrimento verso il
proprio figlio da parte della madre, la quale è felice nel vederlo trarre giovamento
e crescere; è una dimensione in cui domina la cura dell’altro e chiede un
superamento della propria individualità.
Ashrè
Il
terzo capitolo è dedicato all’ashrè (“colui
che è detto felice”) che a sua volta deriva dal verbo ashar, “camminare”,
“andare avanti”. L’individuo per essere felice deve “procedere” e imboccare la
strada giusta che lo condurrà a Dio, “alla sola vita autentica dove la felicità
diventa beatitudine”.
L’autore
si sofferma sulla portata rivoluzionaria del discorso evangelico che ribalta le
precedenti visioni della felicità. Gesù, infatti, proclama beati coloro che noi
siamo portati a considerare infelici: i sofferenti, gli affamati, coloro che
soffrono… Una felicità che può cominciare già su questa terra, ma, come scrive
sant’Agostino, non si è veramente felici che nell’attesa, perché grande è la
certezza della beatitudine che verrà. Ed è sempre sant’Agostino a ricordarci
che ciascun uomo ne avverte il desiderio perché l’ha conosciuta, prima di
nascere, in Dio, che ha lasciato la sua impronta in ognuno di noi.
Happiness
Infine,
l’ultima strada è quella della happiness, da to happen (“cadere”, “accadere” o
“capitare”), che è diventata codice universale del nostro tempo. Per gli
anglosassoni la felicità è semplicemente qualcosa che accade, è legata dunque
al destino e all’idea antica che ne avevano i greci o a quella medievale, che la
rappresenta come la Dame Fortune, una signora che gira la ruota a suo piacere.
La
felicità in questa visione dura un attimo e pertanto bisogna saperla cogliere.
Balzano mette in relazione questo tipo di felicità con l’aneddoto della caduta
della mela in testa a Isaac Newton; un evento casuale che lo ha portato però a
scoprire e formulare la legge di gravitazione universale. È proprio
nell’occasione della caduta accidentale della fortuna su di noi che possiamo
giocare lo spazio della libertà d’azione, sottolinea l’autore, riuscendo a
coglierne il senso per farne un dono di condivisione.
Si
tratta di un saggio che non vuole tanto dare delle risposte quanto piuttosto
suscitare delle domande e offrirci una pluralità di senso e possibilità
alternative di fruizione, per sfuggire all’idea riduttiva offertaci dalla
società odierna che lega la felicità principalmente al possesso di qualcosa di
materiale o al raggiungimento dei propri obiettivi.
Scholé
Un
libro interessante anche da proporre in un contesto scolastico. Gli studenti
scopriranno con sorpresa che la prima tappa verso la felicità è la scuola:
scholé significa “vacanza”, “ozio”, perché indica il tempo necessario a
conoscere noi stessi e a coltivare il nostro demone, ma anche perché come la
polis è il luogo dello scambio, dell’incontro, del dialogo che ci e-duca,
facendoci maturare. Alumnus (“alunno”) deriva, infatti, da alĕre, che vuol dire
proprio “allevare”, “nutrire”.
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