OMELIA NATALIZIA DI PAPA FRANCESCO
Questa
notte, che cosa dice ancora alle nostre vite? Dopo due millenni dalla nascita
di Gesù, dopo molti Natali festeggiati tra addobbi e regali, dopo tanto
consumismo che ha avvolto il mistero che celebriamo, c’è un rischio: sappiamo
tante cose sul Natale, ma ne scordiamo il significato. E allora, come ritrovare
il senso del Natale? E soprattutto, dove andare a cercarlo? Il Vangelo della
nascita di Gesù sembra scritto proprio per questo: per prenderci per mano e
riportarci lì dove Dio vuole. Seguiamo il Vangelo.
Inizia
infatti con una situazione simile alla nostra: tutti sono presi e indaffarati
per un importante evento da celebrare, il grande censimento, che richiedeva molti
preparativi. In tal senso, il clima di allora era simile a quello che ci
avvolge oggi a Natale. Ma da quello scenario mondano il racconto del Vangelo
prende le distanze: “stacca” presto l’immagine per andare a inquadrare un’altra
realtà, su cui insiste. Si sofferma su un piccolo oggetto, apparentemente
insignificante, che menziona per ben tre volte e sul quale i protagonisti del
racconto convergono: dapprima Maria, che pone Gesù «in una mangiatoia» (Lc
2,7); poi gli angeli, che annunciano ai pastori «un bambino avvolto in fasce,
adagiato in una mangiatoia» (v. 12); quindi i pastori, che trovano «il bambino,
adagiato nella mangiatoia» (v. 16). La mangiatoia: per ritrovare il senso del
Natale bisogna guardare lì. Ma perché la mangiatoia è così importante? Perché è
il segno, non casuale, con cui Cristo entra nella scena del mondo. È il
manifesto con cui si presenta, il modo in cui Dio nasce nella storia per far
rinascere la storia. Che cosa ci vuole dire dunque attraverso la mangiatoia? Ci
vuole dire almeno tre cose: vicinanza, povertà e concretezza.
Vicinanza.
1.
La mangiatoia serve a portare il cibo vicino alla bocca e a
consumarlo più in fretta. Essa può così simboleggiare un aspetto dell’umanità:
la voracità nel consumare. Perché, mentre gli animali nella stalla consumano
cibo, gli uomini nel mondo, affamati di potere e di denaro, consumano pure i
loro vicini, i loro fratelli. Quante guerre! E in quanti luoghi, ancora oggi,
la dignità e la libertà vengono calpestate! E sempre le principali vittime
della voracità umana sono i fragili, i deboli. Anche in questo Natale
un’umanità insaziabile di soldi, insaziabile di potere e insaziabile di piacere
non fa posto, come fu per Gesù (cfr v. 7), ai più piccoli, a tanti nascituri,
poveri, dimenticati. Penso soprattutto ai bambini divorati da guerre, povertà e
ingiustizia. Ma Gesù viene proprio lì, bambino nella mangiatoia dello scarto e
del rifiuto. In Lui, bambino di Betlemme, c’è ogni bambino. E c’è l’invito a
guardare la vita, la politica e la storia con gli occhi dei bambini.
Nella
mangiatoia del rifiuto e della scomodità, Dio si accomoda: viene lì, perché lì
c’è il problema dell’umanità, l’indifferenza generata dalla fretta vorace di
possedere e consumare. Cristo nasce lì e in quella mangiatoia lo scopriamo
vicino. Viene dove si divora il cibo per farsi nostro cibo. Dio non è un padre
che divora i suoi figli, ma il Padre che in Gesù ci fa suoi figli e ci nutre di
tenerezza. Viene a toccarci il cuore e a dirci che l’unica forza che muta il
corso della storia è l’amore. Non resta distante, non resta potente, ma si fa
prossimo e umile; Lui, che sedeva in cielo, si lascia adagiare in una
mangiatoia.
Fratello,
sorella, Dio stanotte si fa vicino a te perché gli importa di te. Dalla
mangiatoia, come cibo per la tua vita, ti dice: “Se ti senti consumato dagli
eventi, se il tuo senso di colpa e la tua inadeguatezza ti divorano, se hai
fame di giustizia, io, Dio, sono con te. So quello che tu vivi, l’ho provato in
quella mangiatoia. Conosco le tue miserie e la tua storia. Sono nato per dirti
che ti sono e ti sarò sempre vicino”. La mangiatoia del Natale, primo messaggio
di un Dio infante, ci dice che Lui è con noi, ci ama, ci cerca. Coraggio, non
lasciarti vincere dalla paura, dalla rassegnazione, dallo sconforto. Dio nasce
in una mangiatoia per farti rinascere proprio lì, dove pensavi di aver toccato
il fondo. Non c’è male, non c’è peccato da cui Gesù non voglia e non possa
salvarti. Natale vuol dire che Dio è vicino: rinasca la fiducia!
Povertà
2.
La mangiatoia di Betlemme, oltre che di vicinanza, ci parla anche di povertà.
Attorno a una mangiatoia, infatti, non c’è molto: sterpaglie e qualche animale
e poco altro. Le persone stavano al caldo negli alberghi, non nella fredda
stalla di un alloggio. Ma Gesù nasce lì e la mangiatoia ci ricorda che non ha
avuto altro intorno, se non chi gli ha voluto bene: Maria, Giuseppe e dei
pastori; tutta gente povera, accomunata da affetto e stupore, non da ricchezze
e grandi possibilità. La povera mangiatoia fa dunque emergere le vere ricchezze
della vita: non il denaro e il potere, ma le relazioni e le persone.
E
la prima persona, la prima ricchezza, è proprio Gesù. Ma noi vogliamo stare al
suo fianco? Ci avviciniamo a Lui, amiamo la sua povertà? O preferiamo rimanere
comodi nei nostri interessi? Soprattutto, lo visitiamo dove Lui si trova, cioè
nelle povere mangiatoie del nostro mondo? Lì Egli è presente. E noi siamo
chiamati a essere una Chiesa che adora Gesù povero e serve Gesù nei poveri.
Come disse un vescovo santo: «La Chiesa appoggia e benedice gli sforzi per
trasformare le strutture di ingiustizia e mette soltanto una condizione: che le
trasformazioni sociali, economiche e politiche ridondino in autentico beneficio
per i poveri» (O.A. Romero, Messaggio pastorale per il nuovo anno, 1° gennaio
1980). Certo, non è facile lasciare il caldo tepore della mondanità per
abbracciare la bellezza spoglia della grotta di Betlemme, ma ricordiamo che non
è veramente Natale senza i poveri. Senza di loro si festeggia il Natale, ma non
quello di Gesù. Fratelli, sorelle, a Natale Dio è povero: rinasca la carità!
Concretezza
3. Arriviamo così all’ultimo punto: la mangiatoia ci parla di concretezza.
Infatti, un bimbo in una mangiatoia rappresenta una scena che colpisce, persino
cruda. Ci ricorda che Dio si è fatto davvero carne. E allora su di Lui non
bastano più le teorie, i bei pensieri e i pii sentimenti. Gesù, che nasce
povero, vivrà povero e morirà povero, non ha fatto tanti discorsi sulla
povertà, ma l’ha vissuta fino in fondo per noi. Dalla mangiatoia alla croce, il
suo amore per noi è stato tangibile, concreto: dalla nascita alla morte il
figlio del falegname ha abbracciato le ruvidità del legno, le asperità della
nostra esistenza. Non ci ha amato a parole, non ci ha amato per scherzo!
E
dunque, non si accontenta di apparenze. Non vuole solo buoni propositi, Lui che
si è fatto carne. Lui che è nato nella mangiatoia, cerca una fede concreta,
fatta di adorazione e carità, non di chiacchiere ed esteriorità. Lui, che si
mette a nudo nella mangiatoia e si metterà a nudo sulla croce, ci chiede
verità, di andare alla nuda realtà delle cose, di deporre ai piedi della
mangiatoia scuse, giustificazioni e ipocrisie. Lui, che è stato teneramente
avvolto in fasce da Maria, vuole che ci rivestiamo di amore. Dio non vuole
apparenza, ma concretezza. Non lasciamo passare questo Natale, fratelli e sorelle,
senza fare qualcosa di buono. Visto che è la sua festa, il suo compleanno,
facciamogli regali a Lui graditi! A Natale Dio è concreto: nel suo nome
facciamo rinascere un po’ di speranza in chi l’ha smarrita!
Gesù,
guardiamo a Te, adagiato nella mangiatoia. Ti vediamo così vicino, vicino a noi
per sempre: grazie, Signore. Ti vediamo povero, a insegnarci che la vera
ricchezza non sta nelle cose, ma nelle persone, soprattutto nei poveri:
scusaci, se non ti abbiamo riconosciuto e servito in loro. Ti vediamo concreto,
perché concreto è il tuo amore per noi: Gesù, aiutaci a dare carne e vita alla
nostra fede. Amen.
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