Per
l’essere umano
il metaverso sarà come
la fissione nucleare
Il
web è la nuova gleba a cui siamo asserviti e di fronte agli universi digitali
il compito è salvare la presenza. Un processo che va governato contro il
rischio di spaesamento
Nelle
librerie il saggio del filosofo napoletano dedicato ai mondi virtuali
-
di EUGENIO MAZZARELLA
Se
“il peccato di Facebook” fosse solo quello […] di aver messo in pericolo la
democrazia americana il 6 gennaio 2021 con l’assalto al Congresso, sobillato e
organizzato sul social web, […] la situazione sarebbe grave. Gravissima. Ma non
ai limiti del sostenibile nel complessivo “shock antropologico”, sospinto da
tecnica e globalizzazione, della “modernità del rischio” in cui viviamo ai
tempi, già molto avanzati, del digitale e della intelligenza artificiale. Se
nell’operato di Facebook, connivente con la tossicità sociale degli algoritmi
di propagazione delle interazioni sulla sua piattaforma, ci fosse solo un
peccato di lesa democrazia, si potrebbe rispondere […] con “algoritmi di
polizia”, simmetrici per altro alla logica di controllo della rete in mano ai
suoi padroni digitali. […] Purtroppo, le cose stanno peggio. E lo si può vedere
con l’annuncio che da Facebook nascerà Metaverso. Dopo il disastro del 6
gennaio, l’immagine dell’azienda viene rilanciata usando il “verbo” con cui il
giovane Zuckerberg aveva definito la “missione” di Facebook: la creazione di “un’infrastruttura
sociale per dare alle persone il potere di costruire una comunità globale che
funzioni per tutti noi”. Una mission che divenne ben presto, per la
comunicazione pubblica dell’azienda, il “verbo” di Facebook: con una
prostituzione delle parole – “comunità”, “per noi” – che da sola meriterebbe
uno studio sulla “retorica” del digitale. La community, la “comunità per tutti
noi”: l’apriti sesamo della caverna in cui, millantando il ritrovamento della
comunità perduta, inghiottire la solitudine di massa, lo spaesamento dei
miliardi di sradicati – dalle comunità locali, dalle culture tradizionali –
della globalizzazione.
Questa
community in cui tutti hanno potuto entrare con un click, l’annuncio della
comunità a venire sul web a chi l’aveva persa, a fronte della nuova creatura di
Zuckerberg, e poco piu di un protovangelo rispetto al nuovo vangelo che si
annuncia con Metaverso. E qual e questo vangelo? Il trascendere oggi a
disposizione, grazie al digitale e all’IA, del mondo reale nel mondo virtuale
per il tramite della transitività tra i due mondi. Il nostro essere entrati
nell’epoca dell’onlife, dove la dimensione vitale, relazionale, sociale e
comunicativa, lavorativa ed economica, è vista, agita e proposta come frutto di
una continua interazione tra la realtà materiale e analogica e la realtà
virtuale è interattiva. Dove l’effetto gorgo, il buco nero dell’online fagocita
sempre più la realtà offline, la vita come tale. Almeno fin qui come tale. Un
peccato di “lesa vita” che è il vero shock antropologico in cui siamo immersi,
e di cui abbiamo segni consistenti, ma forse non piena consapevolezza.
Uno
shock la cui sostanza è una ri-ontologizzazione digitale, agita dalle ICT e
dalla AI, della realtà, trasformata in “infosfera” […] nella quale, gestita
dagli algoritmi dell’IA, noi stiamo sradicando la nostra vita, il nostro
esserci, dall’essere-nel-mondo di presenza fin qui abitato, promettendo un
ampliamento degli spazi “vitali” accessibili all’esperienza individuale. Ancora
una volta “l’individuo e i suoi diritti”, senza nessun dovere neanche verso sé
stesso, che è il mantra sempre più nichilistico della razionalizzazione
strumentale della modernità occidentale. Ed è in questa direzione che si sta
muovendo Zuckerberg con Metaverso. […] dove sarà possibile tramite il
funzionamento della sua tecnologia (visori, sensori e quant’altro) – analogico
al nostro sistema percettivo – traslare la propria esperienza nel digitale
tramite avatar (le nostre repliche digitali) ritenendola ancora la “propria”
esperienza. […] Quel che è in gioco è l’enfatizzazione già in campo nel mondo
del social web, che si avvia a transitare nell’onlife, di concretissimi
processi di alienazione sociale, esistenziali e
finanche percettivi in obbedienza a un’esse est percipi ormai declinato
sempre più grazie al web in senso mediale-passivo come un essere percepiti che
rimbalza e costruisce non solo il nostro percepire ma il nostro stesso
percepirci. Il web essendo per comune ammissione la più potente tecnologia di
manipolazione del sé sociale – individuale e collettivo – che si sia mai
conosciuta. Non ci si rende conto che il web è la nuova gleba a cui siamo
asserviti, paradossalmente ancora più stanziale della vecchia gleba, perché e
racchiusa nel fazzoletto di terra di uno schermo che ci viene fornito a “casa”,
senza neppure necessità che si esca “in campagna”. […] La grande dismissione
del reale nel virtuale, questa è la posta in gioco dell’infosfera, la nuova
parola- mondo con cui una filosofia troppo integrata al suo tempo, troppo poco
inattuale, descrive e promuove oggi questa deriva dell’antropologia della
tecnica. La forma- mondo della nostra realtà oggi, di un tempo-spazio in cui si
trascendono l’uno nell’altro online e offline della vita, l’onlife, appunto,
dove “ciò che e reale è informazionale e ciò che è informazionale è reale”
(Floridi), con l’estensione dell’esserci umano in un nuovo ambiente:
l’infosfera; un nuovo mondo a cui non ci si può sottrarre, come al reale
hegeliano che in una sua equivocata lezione è sempre razionale, ha cioè le sue
ragioni a cui non ci si può sottrarre e davanti a cui possiamo solo alzare le
mani. […] In questo scenario, che è realissimo, e non apocalittica distopia
narrativa, il compito è salvare la presenza come l’anima vitale, l’animazione vitale
che ci fa lo spirito che siamo: e cioè l’incarnazione come presenza a sé di
un’entità, un esserci – che è anche sempre un (eco)sistema di relazioni – che
si prende addosso la sua carne. […] Il dossier digitale è sul tavolo del
futuro. E non è semplicemente affare della pubblica amministrazione, ma della
pubblica vita. È inutile, e irresponsabile, rifiutarsi di sfogliarlo. E ha
almeno lo stesso peso dei dossier sul nucleare e l’ingegneria genetica che
abbiamo dovuto aprire dopo Hiroshima e Nagasaki e la scoperta della doppia
elica del Dna. Non governata, l’era digitale può davvero proporci un panorama
di massa post-umano. Ha effetti di rischio, di spaesamento dell’umano a rischio
di svellerlo da sé stesso e dal suo ambiente interno ed esterno non meno potenti
della fissione nucleare e biologica che il ’900 ha imposto all’ambiente esterno
e interno dell’umano. Non voltiamoci dall’altra parte, perché nobilitando con
le parole di Rilke quel che può capitarci, rispetto al mondo di prima della
presenza naturale, nella sintassi digitale della nuova realtà del suo mondo
iperconnesso, rischiamo paradossalmente che “Qui tutto è distanza / e là era
respiro. Dopo la prima patria / questa seconda gli è ibrida e ventosa” (Elegie
duinesi, Ottava Elegia).
La
grande dismissione del reale nel virtuale, questa è la posta in gioco
dell’infosfera, la nuova parola-mondo con cui una filosofia troppo integrata al
suo tempo, troppo poco inattuale, descrive e promuove oggi questa deriva
dell’antropologia della tecnica Se nell’operato di Facebook, connivente con la
tossicità sociale degli algoritmi di propagazione delle interazioni, ci fosse
solo un peccato di lesa democrazia, si potrebbe rispondere con “algoritmi di
polizia”
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