Il
fattore umano fa sempre la differenza: lo dimostrano le esperienze didattiche
ed educative della scuola italiana “Aldo Moro” di Bucarest
-
di Giulia Sponza
Sono
sempre più numerosi i ragazzi, madrelingua rumena, che scelgono di iscriversi
alla scuola internazionale italiana “Aldo Moro” di Bucarest dove mi trovo ad
insegnare anch’io per il secondo anno consecutivo.
Il
fenomeno in effetti è strano e merita di essere indagato.
Senza
dubbio va detto che il sistema scolastico rumeno ha la fama di essere molto
rigido e rigorosamente improntato alla valutazione. Per converso, in Italia,
anche di recente, si è acceso il dibattito sull’opportunità o meno di “dare
voti” agli studenti durante il loro percorso di studio, tanto che alcune scuole
della penisola hanno già avviato questo processo di innovazione sostenendo che
valutare rischia di spegnere ogni passione per lo studio e, più in generale,
per la conoscenza ed il sapere.
Qui
in Romania siamo ben lontani da questo tipo di sensibilità: pur avendo infatti
abolito le cosiddette “scuole speciali”, non è tuttavia contemplata quella che,
nel nostro Paese e non solo, viene definita cultura dell’inclusione: alunni
Bes, Dsa, Dva, Adhd eccetera. Queste “categorie”, che comunque rientrano nella
normativa vigente, mancano di un reale supporto rappresentato in Italia da
insegnanti di sostegno ministeriali. Esiste insomma una significativa distanza
tra il corpo docente e gli studenti sia per quanto attiene alla didattica in
senso stretto, sia per quanto concerne il rapporto educativo che la scuola
dovrebbe, almeno in parte, garantire.
Fatta
questa doverosa premessa, risulterà forse più chiaro l’incrementarsi delle
iscrizioni di alunni rumeni alla scuola italiana. Si tratta ahimè di ragazzi
con un vissuto non sempre lineare: approdano quindi al nostro istituto con una
serie di disagi cui si aggiunge la difficoltà di impattarsi da subito con una
lingua complessa come la nostra.
C’è
da chiedersi allora perché mai studenti rumeni decidano di frequentare la
scuola italiana e non invece quella americana o francese o inglese. L’inglese
poi, ormai da tempo lingua veicolare, è conosciuto discretamente da quasi tutti
i rumeni che mostrano di possedere una certa dimestichezza con le lingue
straniere molto più di noi italiani, notoriamente refrattari ad apprenderle.
Un’altra
ragione per cui sempre più famiglie si rivolgono alla scuola italiana è legata
indubbiamente ai costi: le rette di altri istituti sono esorbitanti e pertanto
inaccessibili alle possibilità finanziarie di un cittadino rumeno della classe
media.
C’è
tuttavia un altro elemento niente affatto trascurabile che va dunque
considerato: lo chiamerei “fattore umano”. Mi limiterò a due esempi per
documentarlo.
Lo
scorso anno arrivò, a fine aprile, nella nostra seconda media, Francesco (nome
di fantasia): rifiutato in Italia dalla madre, il padre rumeno decise di
portarlo in Romania ospite dei nonni e di una zia. Situazione scolastica
sottozero. Contattata la scuola italiana di provenienza del ragazzo, ci
confermano il livello molto scarso. A fine anno scolastico ci mancano gli
elementi minimi per una valutazione adeguata che gli consenta di passare in
terza. Se lo avessimo fermato in seconda, ci sarebbe stato il rischio, a detta
del padre, di doverlo riportare in Italia contro la volontà stessa del ragazzo.
Davanti a questo impasse, con il consiglio di classe e la preside, si decide di
lasciarlo in seconda durante il primo quadrimestre del nuovo anno scolastico e
di portarlo in terza durante il secondo quadrimestre per consentirgli di
sostenere comunque la prova d’esame. Forse in Italia non sarebbe stata
possibile una simile scelta; e tuttavia questa opzione è destinata ad
alimentare la speranza del ragazzo, oltre che puntare alla persona nel
tentativo coraggioso di restituirla a sé stessa.
Un
altro esempio riguarda Luigi (nome di fantasia) che a settembre si iscrive alla
Aldo Moro nella classe terza media. Non sa una parola di italiano e vive un
forte disagio comportamentale. Da subito convochiamo la madre e cerchiamo di
capire perché Luigi sia approdato alla nostra scuola non essendoci motivi
chiari che lo giustifichino. La tensione si fa sempre più alta: Luigi rifiuta
qualsiasi proposta, disturba in classe, non accetta di lavorare nemmeno
utilizzando la lingua inglese con quei docenti che, conoscendola, sono disposti
ad usarla con lui. Nonostante la situazione sembri irrimediabile, alla fine una
soluzione si trova: c’è in Italia una docente di lingue, laureata anche in
rumeno, che accetta di trasferirsi a Bucarest e di lavorare nella nostra scuola
facendosi carico di Luigi: escono insieme dalla classe per alcune ore, per
altre invece alunno e docente partecipano alle lezioni e pare se ne possa
venire fuori con dignità. A confermarlo un colloquio della madre di Luigi che,
rivolgendosi alla preside della scuola, le dice senza mezzi termini: “Nessuno
ci ha mai trattati così!”.
Nell’incipit
del podcast uscito lo scorso 6 dicembre e dedicato alle sue lezioni sul Senso
Religioso, Giussani rileva che “con il reale si vive, con l’ideale si esiste”.
La differenza, prosegue, sta nel fatto che “gli animali vivono, l’uomo solo,
esiste, dove la parola esistenza dice di una dignità per cui il vivere diventa
cosciente di uno scopo, cosciente di un senso”.
Ben
descrivono, queste affermazioni, l’ideale che intendiamo perseguire alla scuola
Aldo Moro di Bucarest. Tentativi ironici, i nostri, ma destinati a permettere
che tutti gli studenti provino essi pure ad esistere invece di limitarsi a
vivere.
Nessun commento:
Posta un commento