e il decreto sicurezza
sulle Ong
-
di
Giuseppe Savagnone
*
Al
di là delle polemiche, cosa dice questo decreto?
Il
nuovo “decreto sicurezza” varato in questi giorni dal governo è stato oggetto
di vivaci e opposte prese di posizione. «Finalmente è lotta alle Ong», titolava
in prima pagina «Il Giornale» del 29 dicembre scorso, riferendo la notizia.
«L’umanità annegata», era invece il gioco di parole contenuto nel titolo della
«Stampa».
La
prima cosa da fare, in questi casi, è capire di che cosa si sta parlando. Siamo
davanti a un codice di comportamento a cui le Ong (Organizzazioni non
governative), impegnate da anni nei Mediterraneo per soccorrere i migranti a
rischio di naufragio, dovranno da ora in poi sottostare.
Le
operazioni di soccorso devono essere immediatamente comunicate alle autorità
italiane e allo Stato di bandiera, ed effettuate nel rispetto delle indicazioni
delle predette autorità. Appena effettuato il soccorso, deve essere richiesta
l’assegnazione del porto di sbarco. E quest’ultimo, indicato dalle competenti
autorità, deve essere raggiunto senza ritardi. Da quel momento i soccorritori
non potranno effettuare altre soste, ad esempio per effettuare un altro
soccorso – tranne se espressamente autorizzati – , fino allo sbarco nel porto
assegnato.
Una
normativa che complica ed ostacola
Si
tratta, chiaramente, di una normativa volta a restringere e ostacolare
l’attività delle navi che in questi anni hanno pattugliato il Mediterraneo alla
ricerca di migranti in difficoltà, spesso raccogliendoli in momenti e
circostanze diverse, fino al completo riempimento degli spazi disponibili a
bordo. Da ora in poi sarà esercitato su ogni salvataggio un controllo rigoroso,
obbligando la nave soccorritrice a recarsi immediatamente nel porto assegnatole
dall’autorità italiana.
Riguardo
a questo punto, bisogna anche notare che, negli ultimi tempi, è diventata
frequente l’indicazione alle navi delle Ong di porti di sbarco diversi da
quelli usuali e più vicini, in Sicilia e in Calabria. È successo alla «Rise
Above 2», a cui è stato assegnato il porto di Gioia Tauro, e alla «Sea-Eye »,
mandata a Livorno. Secondo il Viminale, allo scopo di alleggerire quelle
regioni, per i critici, allo scopo di allontanare le navi dall’area di ricerca
e soccorso per limitare i salvataggi.
Al
comandante della nave che non rispetti le prescrizioni del decreto sono
applicate sanzioni amministrative da 10mila a 50mila euro. In solido ne
rispondono anche l’armatore e il proprietario della nave. Alla multa si
aggiunge il fermo per due mesi dell’imbarcazione. La confisca del mezzo scatta
invece in caso di “recidiva”. Sanzioni severe, ma solo di ordine
economico-amministrativo e non penale, come al tempo di Salvini.
Il
significato del testo secondo i suoi fautori
Questo
dice il testo del decreto. Ma quale ne è il significato? Per i suoi fautori, si
tratta un provvedimento necessario per regolamentare un flusso indiscriminato
di clandestini che incombe sui nostri confini nazionali e minaccia la sicurezza
del nostro paese. Di questo flusso le navi delle Ong sarebbero in buona parte
responsabili, con un comportamento ambiguo che le spinge a girovagare per le
acque del Mediterraneo andando, come ha scritto un giornale di destra, «a
pesca» di migranti e rendendo così più facile il compito degli scafisti, che
sanno di poter contare su questo sostegno esterno per svolgere il loro traffico
criminale di esseri umani.
Secondo
questa lettura, gli appelli umanitari a favore delle Ong che si appellano alla
necessità di salvare delle vite in pericolo, nascondono, consapevolmente o no,
il fatto che, al contrario, le vite dei migranti sono messe in pericolo proprio
da questo sistema perverso di oggettiva (e forse in taluni casi volontaria)
complicità tra scafisti e soccorritori. Senza l’“appuntamento”, più o meno
concordato, con le navi di questi ultimi, verrebbe meno il fenomeno dei viaggi
della disperazione e ci sarebbero molti meno morti.
Il
vero aiuto alle popolazioni svantaggiate, come anche papa Francesco ha
recentemente ricordato, non è comunque in queste misure di emergenza, ma in un
aiuto internazionale che le aiuti a risolvere il problema della povertà “a casa
loro”, senza doverne fuggire.
In
ogni caso, l’Italia non si può permettere di ospitare un numero potenzialmente
illimitato di migranti che vengono ad appesantire la nostra economia e a
togliere posti di lavoro agli italiani, oltre che a minacciare la nostra
identità nazionale sul piano culturale e religioso. Dev’essere l’Europa che si
fa carico del problema dei flussi migratori e, finché non lo fa, l’Italia deve
provvedere a difendersi.
Ma
il problema erano le Ong?
Queste
argomentazioni non vanno misconosciute e respinte a priori – come spesso si fa
da parte dei difensori della linea “umanitaria”, che per questo a volte
appaiono, una parte consistente dell’opinione pubblica, prigionieri di una
facile retorica “buonista” – , ma devono essere vagliate seriamente,
riconoscendone sia l’anima di verità, sia i limiti.
Perché
è verissimo che il problema dei flussi migratori è molto grave e non può essere
risolto con l’accoglienza indiscriminata. Meno vero, anzi falso, è che le Ong
ne siano all’origine e che per fronteggiarlo sia stato necessario prendere
provvedimenti nei loro confronti.
Intanto
perché le loro navi nel 2022 hanno soccorso appena l’11,2% delle poco più di
centomila persone approdate sulle coste italiane. Gli altri o arrivano con i
propri mezzi, i famosi “barconi”, oppure sono soccorsi da altre navi, con la
Guardia costiera e la Marina militare in prima fila. Il «Giornale», commentando
il decreto sicurezza, parlava di «decreto anti-sbarchi». Sarebbe stato più
onesto spiegare ai lettori che la misura del governo riguarda poco più del 10%
di questo fenomeno e perciò non solo non è risolutiva, ma risulta ben poco
rilevante per i fini che vengono ufficialmente indicati.
E
soprattutto, se è vero che non sono le migrazioni la soluzione ai problemi
dell’Africa, è tuttavia chiarissimo che attualmente il progetto di “aiutarli a
casa loro” è reso impraticabile dalla difficoltà di trovare nei governi locali
– si pensi a quello libico! – degli interlocutori credibili e dalla scarsa
volontà dei governi europei (a cominciare dal nostro) di investire le proprie
risorse per favorire il decollo di quelle economie. Perciò, allo stato attuale
delle cose, continueranno in ogni caso ad esserci migliaia di persone che
fuggono dai loro territori resi invivibili dalle guerre, dalla desertificazione
o anche semplicemente da una povertà endemica.
La
domanda, allora, non è se questa è una situazione accettabile, ma come noi
dobbiamo fronteggiarla. Lasciando annegare i migranti – o rendendo comunque più
difficile il loro salvataggio da parte di chi, come le navi delle Ong, cerca di
evitare che muoiano?
Davanti
a questo interrogativo tutti gli argomenti a favore del decreto sicurezza
diventano relativi. Certo che bisogna accordarsi con gli altri paesi europei,
ma, finché il nostro governo – come del resto quelli precedenti – non riesce a
coinvolgerli, la soluzione è di sperare che la minore efficienza dei soccorsi,
causando un numero sempre maggiore di tragedie di cui sono vittime degli
innocenti, scoraggi dal partire?
È
la scelta adottata dal nostro governo. Ma essa, oltre ad essere cinica, finora
non ha funzionato. Pur di sfuggire alle persecuzioni, alla miseria, ai lager
libici, le persone si sono imbarcate egualmente su mezzi di fortuna,
affrontando il pericolo. La “stretta sulle Ong” di cui hanno parlato i giornali
è in realtà solo una stretta sulle possibilità di sopravvivenza dei migranti.
Certo,
nel decreto non c’è un divieto assoluto alle navi delle Ong di svolgere la loro
missione. Ma, ha osservato «Avvenire», in esso «il governo comunica una visione
dei salvataggi in mare come un’attività dannosa, da circoscrivere, scrutare,
penalizzare». Come se si trattasse di un traffico di rifiuti altamente
inquinanti.
Non
era un’esigenza economica, ma ideologica
Perché
il governo Meloni ha fatto questo? Perché ha dovuto tener conto delle esigenze
della nostra economia, soprattutto in questo tempo di crisi?
I
dati lo smentiscono. A livello internazionale, il rapporto Ocse 2021 ha già
evidenziato che «i migranti contribuiscono in tasse più di quanto ricevono in
prestazioni assistenziali, salute e istruzione». Ma anche guardando al nostro
paese, i numeri dicono che, sommando il gettito fiscale e i contributi
previdenziali e sociali, i contribuenti stranieri in questi anni hanno
assicurato entrate per le casse dello Stato di diversi miliardi di euro. Che
sono serviti per pagare le nostre pensioni, in un momento in cui la gravissima
crisi demografica che attraversiamo rende impossibile contare sui contributi
versati dai soli lavoratori italiani per mantenere i loro genitori.
Pochi
giorni fa Giorgia Meloni si è visibilmente commossa parlando delle vittime
delle persecuzioni razziali durante la cerimonia per la festa ebraica Hannukkah
al museo ebraico. Il suo intervento è iniziato asciugandosi le lacrime: «Noi
femmine ogni tanto facciamo questa cosa un po’ così… Di essere troppo
sensibili… Noi mamme in particolare…». Calorosi applausi di simpatia. Chi sa,
però, se, nell’approvare il decreto sicurezza, la Meloni ha pensato a tutte le
mamme che annegheranno, insieme ai loro bambini, per la sua tenace volontà di
dimostrare di “essere Giorgia”.
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