Imparare
il pensiero-cattedrale
per un agire capace di futuro
Intellettuali,
filosofi, politologi, scienziati: da più parti si levano appelli che invitano a
non inseguire il consenso immediato, per una prospettiva che vada oltre la
durata delle nostre vite.
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di Gerolamo Fazzini
Mai
come oggi occorrerebbe adottare una logica diversa: la mancanza di
lungimiranza, infatti, è alle origini di molti dei drammi con i quali l’umanità
si misura. La capacità di guardare all’orizzonte con uno sguardo sapiente è ciò
che fa la differenza in politica: del resto, già Alcide De Gasperi affermava
che «un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alla prossima
generazione». Nel suo recente 'Il potere della crisi. Come tre minacce e la
nostra risposta cambieranno il mondo' (Egea), il politologo Ian Bremmer scrive:
«Ora facciamo un salto di 25 anni nel futuro. Sono queste le prospettive che ci
servono per visualizzare il punto in cui ci troviamo, dove stiamo andando e a
quale velocità ci stiamo arrivando». Un appello quanto mai opportuno, dal
momento che in vari ambiti stiamo sperimentando la necessità di un pensiero a
lunga gittata, pena venire travolti dagli eventi. Basta guardare a quanto sta
accadendo sul fronte della demografia e sul versante dei cambiamenti climatici.
Roberto
Volpi, che ha da poco censito il sorpasso del numero dei single sulle famiglie,
nel volume Gli ultimi italiani. Come si estingue un popolo (pubblicato da poco
per Solferino), si addentra in una previsione che ha del catastrofico: nel 2070
la popolazione italiana potrebbe arrivare a contare 12 milioni di abitanti in
meno rispetto al 2020. Chi formula queste ipotesi è uno studioso affidabile, il
quale segnala che «già alla metà del secolo si avranno in Italia, in situazioni
del tutto ordinarie, due morti per ogni nato». Quanto alla questione
ambientale, gli ultimi dati dell’Osservatorio Cittàclima, dicono che da gennaio
a luglio 2022 in Italia si sono registrati 132 eventi climatici estremi. Il che
significa il numero più alto dell’ultimo decennio. Dal 2010 a luglio 2022 si
sono verificati 1318 eventi estremi con impatti rilevanti in ben 710 Comuni. In
entrambi i casi, declino demografico e peggioramento delle condizioni
ambientali, assistiamo a fenomeni tutt’altro che improvvisi e imprevedibili,
che hanno origine in scelte precise compiute nel passato.
Pure
la crisi economica del 2008 viene letta da molti esperti come figlia di quella
perversa logica 'breveterminista' che sta inquinando la finanza. Una logica
agli antipodi dell’economia civile, familiare ai lettori di 'Avvenire', che
invece è attenta ai tempi lunghi e, pure, ai cosiddetti 'stakeholders muti',
ossia le giovani generazioni e l’ambiente. «La questione – spiegava su
'Repubblica' il 6 agosto scorso un allarmato Francesco Piccolo – è che
bisognerebbe fare qualcosa, ma intanto noi attraverseremo le nostre vite senza
averne troppo danno. Il danno è per un tempo che non vedremo. Dovremmo
cominciare a costruire oggi le scuole, la sanità, l’equilibrio sociale di
domani. Ma noi oggi ci occupiamo di oggi».
Se
ci troviamo in questa situazione è perché non abbiamo adottato quello che gli
studiosi chiamano il 'pensiero cattedrale': quell’attitudine, tipica del
Medioevo (che ancora qualcuno si ostina a considerare un periodo buio), in cui
si erigevano chiese e palazzi avendo i decenni come unità di misura. Oggi anche
gli scienziati, come Helga Nowothyn, autrice de 'Le Macchine di Dio. Potere,
libertà e controllo nell’era degli algoritmi predittivi', sottolinea con forza
– l’ha fatto a maggio su 'La Lettura' del 'Corriere della Sera' – che «abbiamo
bisogno di guardare ancora più avanti e di avere un obiettivo che ci unisca. Il
pensiero della cattedrale può fornirci un punto di ancoraggio in futuro».
Il
paradosso è che anche i cattolici – imbevuti come sono (come siamo!) della
cultura efficientista che connota il nostro tempo, cultura che chiede risultati
a breve e profitti immediati, scordandosi del futuro – si sono accodati a una
visione miope e sterile quando, invece, per 'vocazione' dovrebbero essere
sentinelle che additano traguardi faticosi, ma significativi e duraturi. Eppure,
è nel Dna del cristiano pensare all’altro e all’altrove, sia in senso fisico
che temporale. In quest’ottica, Papa Francesco nel 2020 aveva additato la
figura di Enea come modello, in quanto capace di preservare il passato e il
presente e di tendere una mano ai fragili, facendosi carico del loro futuro.
In
questa direzione va anche Roman Krznaric, filosofo di origini australiane.
L’autore di 'The good ancestor' (che l’anno prossimo uscirà per Edizioni
Ambiente) propone un indicatore inedito, un 'Indice di solidarietà
intergenerazionale', che – integrando parametri come l’impronta ecologica, il
coefficiente di Gini e altri – si prefigge di misurare il grado di attenzione
che i diversi Paesi prestano, o meno, alle generazioni future. Sulla medesima
lunghezza d’onda il futurologo Ari Wallach, da pochi giorni in libreria con un
testo eloquente fin dal titolo 'Longpath: Becoming the Great Ancestors Our
Future Needs. An Antidote for Short-Termism'. Come ha scritto Anna Maria Testa
su Internazionale, Wallach propone di ragionare in termini transgenerazionali,
di abbandonare la prospettiva tecnocentrica e, infine, di imparare nuovamente a
pensare in termini teleologici, «relativi ai fini ultimi che perseguiamo
attraverso le decisioni che prendiamo, e in una prospettiva che va oltre la
durata stessa delle nostre vite».
Nel
mondo della cultura e nella società civile è forte e crescente la domanda di
una politica 'altra' e 'alta', capace di futuro. L’esempio più convincente è il
manifesto, promosso da Leonardo Becchetti, cui hanno aderito molte sigle della
società civile: «Ciascuno porti il proprio mattone per costruire la casa
comune. La classe politica ha bisogno di nuove persone competenti e coraggiose,
capaci di liberare speranza e sogni». All’indomani del 25 settembre sapremo se
elette ed eletti al Parlamento sapranno raccogliere una sfida che non è
esagerato definire epocale.
www.avvenire.it
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