- di Giuseppe Savagnone*
Pochi
sanno che il 10 settembre in tutto il mondo si celebra la giornata per la
prevenzione del suicidio, istituita nel 2003. Secondo l’International
Association for Suicide Prevention (IASP), associazione internazionale –
affiliata all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, in inglese WHO) – ,
che si occupa di questo problema, ogni anno nel mondo i suicidi sono
responsabili di oltre 800.000 morti: un suicidio ogni 40 secondi, e sono la
terza causa di morte tra i ragazzi di 15-19 anni.
Va
tenuto anche presente che, per ogni morte per suicidio, si stima che siano più
di 20 le persone che hanno tentato di togliersi la vita senza riuscirci e
ancora di più quelle che almeno una volta nella vita hanno pensato seriamente
di farlo.
Per
quanto riguarda il nostro Paese, secondo gli ultimi dati disponibili in Italia
si tolgono la vita ogni anno circa 4.000 persone, in gran parte (quasi l’80 per
cento) uomini. In generale i tassi di mortalità per suicidio sono più elevati
nelle regioni del Nord e in quelle del Nord Est, mentre i valori più bassi si
registrano nelle regioni meridionali, sia per gli uomini che per le donne.
È
impressionante il fatto che il suicidio, in Italia, rappresenti la seconda
causa di morte più frequente tra gli uomini tra i 15 e i 29 anni, con un numero
di vittime analogo a quello causato dai tumori (13% del totale) e inferiore
solo a quello causato dagli incidenti stradali (35% del totale); per le donne
della stessa età invece, la mortalità per suicidio si colloca al terzo posto
nella graduatoria delle cause di decesso, con una proporzione analoga a quella
delle malattie cardiovascolari (8% del totale) e preceduta soltanto dai decessi
per tumori (26%) e per incidenti stradali (24%).
Gli
effetti della pandemia
Il
fenomeno, pur nella difficoltà di disporre di dati sicuri e aggiornati, sembra
essersi ulteriormente aggravato con la pandemia e con il disagio profondo
causato dalle limitazioni ad essa connesse. Così è stato anche in altri Paesi.
Il 44% dei teenager, secondo i Centri statunitensi per la prevenzione e il
controllo
delle
malattie, all’inizio del 2021, si sentiva senza speranza e continuamente
triste.
Secondo
l’Istat, in questo stesso anno in Italia erano 220mila i ragazzi tra i 14 e i
19 anni insoddisfatti della propria vita e, più in generale, in una condizione
di scarso benessere psicologico. Se, infatti, i giovanissimi sono stati i meno
toccati dagli effetti fisici della pandemia, sono stati però profondamente
colpiti dai lockdown e dalle limitazioni che questi hanno comportato sul piano
delle relazioni sociali.
Basti
pensare alle modalità della DAD, in cui a lungo si è svolta l’attività
scolastica – normalmente una delle principali occasioni di rapporti personali
tra bambini e adolescenti – , per rendersi conto del prezzo che i nostri
ragazzi e le nostre ragazze hanno dovuto pagare in questi ultimi due anni.
Senza parlare degli ostacoli alle attività più propriamente legate al tempo
libero e allo svago.
Si
capisce perché le sole richieste d’aiuto arrivate lo scorso anno a Telefono
Amico Italia da persone attraversate dal pensiero del suicidio o preoccupate
per il possibile suicidio di un proprio caro siano cresciute del 55% rispetto
al 2020 e si siano quasi quadruplicate rispetto al 2019, prima della pandemia.
A preoccupare particolarmente, ancora una volta, il dato relativo ai giovani:
il 28% delle richieste d’aiuto è di under 26. E il 2022 non sembra portare
miglioramenti: nel primo semestre dell’anno le richieste d’aiuto sono state più
di 2.700, il 28% di giovani fino a 25 anni.
Il
moltiplicarsi dei mezzi e la perdita dei fini
Al
di là di questo aggravamento legato alla pandemia, le cause per cui una persona
– in particolare un giovane – si toglie la vita o cerca di farlo sono,
ovviamente, le più diverse. Come possono essere diversi i fattori concomitanti
che facilitano una simile scelta. In ogni caso, senza che si possa parlare di
vere e proprie malattie mentali – i dati a nostra disposizione questo lo
escludono – , è chiaro che chi compie questo gesto estremo vive di solito una
situazione psicologica di estremo disagio.
Da
qui una serie di consigli di buon senso forniti dagli esperti dell’Associazione
per la prevenzione dei suicidi a chi si trova accanto qualcuno che sembra
vivere questo problema. Eppure, c’è da chiedersi se, al di là delle motivazioni
particolari, non vi sia un più profondo collegamento fra questa diffusa
tendenza al suicidio e la più generale condizione degli uomini e delle donne
soprattutto dei giovani – del nostro tempo.
Colpisce
che il fenomeno riguardi soprattutto le società capitalisticamente più evolute
(fuori dell’area occidentale, esso investe fortemente anche il Giappone), e, in
Italia, le regioni economicamente più sviluppate. L’esperienza quotidiana ci
mostra, soprattutto nel mondo giovanile, che l’enorme accrescersi delle
opportunità – computer, cellulari, viaggi – favorisce una sempre maggiore
precocità delle nuove generazioni rispetto alle precedenti, ma al tempo stesso
si accompagna a una altrettanto evidente fragilità.
È
come se l’aumento esponenziale dei mezzi a disposizione generasse una crescente
incertezza sui fini per cui vale la pena di usarli. La nostra società offre
tutto, tranne un senso che valga a dare valore e significato a ciò che ormai si
ha a portata di mano. Il dilagare di un consumismo selvaggio, che, con il
declino della pandemia, ha ripreso la sua corsa inarrestabile, è probabilmente
una risposta a questa intima situazione di disagio. Si cerca di riempire con
gli oggetti, o con i cibi (i ristoranti sono stati primi a tornare ad essere
affollati, dopo il lockdown) il vuoto senza nome che accompagna le persone fin
dalla più tenera età.
Il
posto che una volta era occupato dalla religione è ormai vacante (a differenza
dei locali di ristoro fisico, le chiese sono rimaste semi-deserte), ma non
sembra profilarsi un sostituto. Non certo la politica: sono sideralmente
lontani i tempi in cui i giovani contestavano il sistema in nome delle teorie
di Marcuse.
Oggi
la maggior parte di loro se ne infischia della politica, e anche quelli che
vanno a votare lo fanno spesso sotto la spinta di motivazioni contingenti.
Nessuno pensa più di volere o potere fare saltare il banco del mondo
capitalistico e ci si accontenta di sedersi al tavolo da gioco nella speranza
di ricevere buone carte. Quando addirittura non si cerca di garantire le
proprie chance di successo a spese dei giocatori più deboli, impedendo loro di
venire a giocare con noi o comunque mantenendoli in una situazione di
inferiorità.
Neppure
gli obiettivi tradizionali della vita privata, legati alla famiglia, sembrano
essere sopravvissuti a questa grande crisi di senso. Di amore si continua a
parlare nelle canzonette, ma si stenta sempre di più a concepirlo nei termini
di quella responsabilità reciproca che un tempo andava sotto il nome di
“fedeltà”.
Stare
insieme
Oggi
nella maggior parte di casi, “si sta insieme finché si sta bene insieme”.
Questo spinge molti a preferire la convivenza al matrimonio. Ma anche se ci si
sposa, c’è ormai il divorzio “rapido”. In entrambi i casi, se uno dei due
cambia idea, peggio per l’altro.
Questo
spiega perché, in Italia, si facciano sempre meno figli. Dal presente si
possono prendere le distanze, relativizzando i legami; dal futuro sarebbe più
difficile farlo. A un figlio non si può dire che si sta con lui finché ci si
sta bene. Resta da vivere “l’attimo fuggente”, che però è esposto a tutte le
contraddizioni e le frustrazioni a cui siamo esposti nella quotidianità.
Da
qui la corsa a stordirsi come si può nelle serate in discoteca o nei pub e a
correre dietro all’ultimo prodotto di moda, aggrappati al cellulare per
scambiarsi parole che spesso sono vuoto chiacchiericcio. Questo radicale
disagio esistenziale nei confronti della vita può assumere la forma estrema di
una scelta di morte. Ma forse già una vita consegnata a questi meccanismi la
adombra, rendendola quasi superflua.
Come
si dice, con amarissima ironia, in una canzone di Battiato, significativamente
intitolata “Breve invito a rinviare il suicidio”: «Va bene, hai ragione,/ se ti
vuoi ammazzare./ Vivere è un’offesa/ che desta indignazione…/ Ma per ora
rimanda…/ E’ solo un breve invito, rinvialo./ (…) Questa parvenza di vita/ ha
reso antiquato il suicidio./ Questa parvenza di vita, signore,/ non lo merita…/
Solo una migliore».
Purtroppo,
sono migliaia quelli che non ascoltano questo consiglio e ogni anno si
uccidono. Ma il problema di fondo rimane anche per gli altri. Fin quando
riusciremo a mascherare la crisi di fini e di senso che sta divorando non le
società più povere, ma le più ricche, le nostre?
Eppure,
si parla di tutto – della pandemia e dei vaccini, della guerra in Ucraina,
delle sanzioni, della crisi del gas e dell’aumento delle bollette della luce,
delle prossime elezioni – ma mai di questa crisi. Non che quei temi non siano
importanti e urgenti. Ma non sono loro che possono dare o togliere senso alle
nostre vite e a quelle dei nostri figli.
E
allora?
E
allora, in questa giornata dedicata alla prevenzione, torniamo a parlare anche
di questo. Forse i primi a farlo dovrebbero essere i credenti, preti o laici,
cattolici o no. Ma l’appuntamento con il senso della vita non riguarda solo chi
segue una religione. Tutti siamo chiamati a cercarlo. Consapevoli che il maggior
dono che possiamo fare ai più giovani, oggi, è già la testimonianza di questa
ricerca.
Scrittore
ed Editorialista.
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