- di CARLA COLLICELLI -
La ripresa del turismo che abbiamo visto quest’estate e un periodo vacanziero che possiamo considerare 'quasi normale', ci inducono a riflettere in modo rinnovato sul senso della nostra esistenza al di là delle emergenze di questa fase storica, dalla guerra tra Russia e Ucraina – con le ricadute che avrà anche sulle nostre vite – alla pandemia, che ci ha tenuti in scacco per ben due anni. L’imminenza elettorale, inattesa quanto cruciale, rende questo tipo di riflessione ancora più importante e strategica. Due aspetti in particolare saltano agli occhi. Il primo: la crescente consapevolezza dei rischi provocati dal disastro climatico in termini di eventi naturali catastrofici, che ne sono una delle conseguenze più evidenti e che rendono la ripresa della normalità difficile. Il secondo: i comportamenti di consumo e di uso del tempo, che riprendono il loro corso naturale dopo la pandemia, e che esprimono più di ogni altra cosa i desideri e le aspettative delle persone. S u questo secondo aspetto viene spontaneo chiedersi se le limitazioni subite nel periodo di lotta alla pandemia ci abbiano insegnato qualcosa, sia per quanto riguarda l’uso delle risorse naturali, alimentari ed energetiche, sia per ciò che attiene ai rapporti con gli altri e alla nostra vita di relazione. In una situazione nella quale da ormai molti anni non esiste più una chiara strutturazione della società in classi, le poche ricerche che indagano sui comportamenti e gli atteggiamenti individuali e collettivi, in Occidente e in Italia, indicano tuttavia l’esistenza di una chiara ripartizione tra una parte della società che è in affanno, da vari punti di vista economici e sociali, e un’altra parte che, pur tra le difficoltà, persevera in uno stile di vita basato quasi esclusivamente sulla auto-soddisfazione e su un principio di felicità e di benessere di tipo sostanzialmente individualistico. Per cui, mentre per chi si trova in una condizione economica e sociale precaria, o in situazioni di emarginazione, lo stato di necessità ed il disagio limitano le sue possibilità e dunque anche le sue scelte di vita – quando addirittura non provocano forme patologiche di rabbia o depressione – per il resto della società, quella meno stressata, sembra prevalere ancora oggi, nonostante guerra e pandemia, una sorta di edonismo spicciolo, che in periodi di vacanza si manifesta in modo ancora più nitido agli occhi di chi osserva. E mentre gli addetti ai lavori si sforzano di indicare le criticità dello sviluppo, i fattori di crisi e le possibili soluzioni, ecco che da parte della società si perpetuano da un lato atteggiamenti come il disamore nei confronti della politica, frutto di sentimenti di delusione e disagio, e dall’altro quel fenomeno che più volte è stato catalogato come 'sciopero delle élite', in altre parole il disimpegno dei ceti sociali più acculturati e benestanti, che deriva dalla predisposizione a concentrarsi sul proprio particolare interesse. Disintermediazione e mancanza di dialogo tra diverse parti della società completano il quadro di una frammentazione sociale nella quale disagio, da un lato, e interessi e piacere personale, dall’altro, sembrano essere gli unici elementi caratterizzanti. I n realtà esistono segnali di un ribaltamento di questo schema, cui bisognerebbe che la riflessione sociale e politica prestasse maggiore attenzione. Segnali che vanno osservati soprattutto a due livelli: la crescita di ruolo del cosiddetto Terzo settore e i comportamenti e atteggiamenti giovanili.
È da tempo che gli osservatori più attenti cercano di mettere in luce il peso e il ruolo del volontariato, anche giovanile, ad esempio richiamando l’attenzione sul fatto che, se abbiamo, secondo le statistiche, tra 2 e 3 milioni di giovani che non lavorano e non studiano (i cosiddetti Neet), ne esistono almeno altrettanti che si impegnano in forme varie di volontariato (più di 1 milione nella sola fascia più giovane, secondo i dati ufficiali). Il recente Rapporto sulla Sussidiarietà 2021-2022 ci conferma che il Terzo settore conta ormai oltre 375.000 istituzioni (circa 60 ogni 10mila abitanti), ed è cresciuto del 25% in 10 anni. La schiera di chi se ne occupa ha quasi raggiunto il milione di unità, cui si aggiungono 4 milioni di volontari. M a al di là degli aspetti quantitativi, particolarmente interessante è l’analisi effettuata dall’Istat e contenuta nel Rapporto sulla Sussidiarietà, secondo cui è statisticamente evidente la correlazione positiva tra quello che i ricercatori chiamano 'sentimento di sé relazionale' (che comprende la soddisfazione per le proprie relazioni sociali ed il benessere soggettivo ed ambientale), la partecipazione civica (le attività di condivisione, l’attivismo sociale ed il volontariato), e lo sviluppo sociale (misurato attraverso indicatori di salute, benessere economico, innovazione e cultura). In altre parole, se il panorama che intravediamo attraverso un’osservazione superficiale della realtà sembra limitarsi ai due fenomeni indicati, il consumismo edonistico e il disagio economico e sociale, in realtà quello cui si assiste è anche la crescita della partecipazione civica, mentre diventa sempre più evidente il valore delle 'passioni positive', quelle in grado di dare valore e significato all’esistenza in un’ottica relazionale e comunitaria.
E d è da qui che occorre ripartire. Da questi valori e da questi comportamenti. E soprattutto dai segnali che provengono da quella parte del mondo giovanile che si impegna per l’ambiente e la crisi climatica, (potremmo dire la punta di diamante di quella consapevolezza che abbiamo indicato in apertura come il primo dei fenomeni emergenti), che persegue comportamenti di consumo eticamente motivati, o che compie scelte anche difficili nella formazione e nel lavoro alla ricerca di un’occupazione che alimenti la soddisfazione relazionale, il benessere individuale e quello della comunità di appartenenza. E occorre che la politica e le istituzioni diano priorità a questi valori, sostenendo le spinte sociali dal basso che è possibile identificare – e che, come abbiamo visto, esistono, e sono tutt’altro che irrilevanti – che vanno nella direzione della sostenibilità e della sussidiarietà, e mettendo in campo azioni di supporto che rafforzino il ruolo dei singoli e delle comunità a tutti i livelli, decisionali ed operativi.
Nessun commento:
Posta un commento