Quale conoscenza oltre le tecnoscienze?
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di ROBERTO RIGHETTO
Che
la nostra sia l’epoca della tecnoscienza è difficile negarlo. Sulla scia del
positivismo di ottocentesca memoria e dopo le grandi trasformazioni
tecnologiche del ’900 e la grande rivoluzione cibernetica in cui siamo immersi,
alla scienza è stato affidato il monopolio della conoscenza, tanto che alla
filosofia, cui solitamente spettava il compito di dare un significato e un
valore alla vita umana, sembrano rimaste solo le briciole. Eppure, gli eventi
più recenti che sono accaduti, spesso imprevisti e forse imprevedibili, dalla
pandemia alla guerra che si è ripresentata in Europa ai disastri ambientali,
rilanciano la necessità di una ricerca del fondamento e del senso. È questo il
tentativo compiuto da Evandro Agazzi, l’allievo di Gustavo
Bontadini autore di una novantina di opere e di un lungo magistero in filosofia
della scienza dall’Europa all’America Centrale, nel suo ultimo saggio, La
conoscenza dell’invisibile, pubblicato da Mimesis (pagine 370, euro 28).
«La
filosofia – spiega Agazzi – da sempre si è presentata, almeno in Occidente,
come un sapere inteso a offrire una conoscenza della realtà considerata in
generale». Per questi motivi il dominio della tecnoscienza non può mai
escludere, anzi rende ancor più necessaria, la questione della conoscibilità
dell’invisibile. A partire da alcune domande essenziali: «L’Universo è solo
un’Idea? Dio è solo un’Idea? L’anima spirituale dell’uomo è solo un’Idea? Il
dovere, la giustizia, la rettitudine morale e tanti altri valori per i quali
gli uomini molto spesso ritengono che valga la pena di vivere e anche di morire
sono soltanto Idee? Oppure a esse corrispondono altrettanto Realtà che pur
essendo invisibili è possibile conoscere in forme e modalità adatte?». Se non
ci si lascia imbrigliare da una teoria della conoscenza angusta, quale quella
espressa da Kant, che «ha assunto la conoscenza delle scienze esatte come unica
forma di autentica conoscenza», e ci si rivolge alle arti, alla letteratura e
alla religione, si possono aprire nuovi orizzonti. Da filosofo della scienza,
Agazzi non demonizza affatto la conoscenza scientifica, ma non può non rilevare
un paradosso proprio dei nostri tempi: da un lato, la cultura oggi insiste
sulla necessità di accentuare lo sviluppo di conoscenze scientifiche e
tecnologiche, in termini di investimenti, programmi di ricerca, curricoli
educativi, considerate l’unico motore dell’innovazione e della crescita
economica; dall’altro emerge la tendenza a sottolineare gli accenti
apocalittici e i pericoli che incombono sull’umanità proprio a causa dello
sviluppo incontrollato della tecnoscienza. Un’ambivalenza che rispecchia un
altro paradosso secondo Agazzi: se scienza e tecnologia dominano la nostra
esistenza concreta, al contempo assistiamo a un loro scarso peso culturale. Ci
stupiamo per le continue scoperte e realizzazioni, ma esse non danno un senso
più pieno alla vita. «Non per nulla – rileva il filosofo – l’immagine corrente
che si ha della scienza e della tecnologia è quella di un sapere e di un
operare capaci di attingere certezze indiscutibili e risultati pratici
strepitosi, di un qualcosa che ci stupisce, ci rassicura e ci inquieta, ben più
che farci riflettere, pensare, giudicare». Per questi motivi occorre certamente
promuovere una cultura scientifica e tecnologica ma al tempo stesso incentivare
una riflessione epistemologica sul suo significato e non penalizzare le
discipline umanistiche, il cui «valore culturale e formativo risulta dal fatto
che esse consentono di riflettere sulla vita dell’uomo, di comprendere quella
complessità di significati, problemi, scelte, valori che caratterizza-no la
condizione e la situazione umana». Tutto ciò vale ancor di più in una società
dominata dal caso e dall’imprevedibilità, manifestatisi nelle varie crisi che
hanno colpito questi due decenni del XXI secolo con eventi e modalità (dall’11
settembre alle catastrofi economiche e ambientali, dal Covid alla guerra in
Ucraina) che hanno messo ancor più sotto scacco l’idea di progresso, già
sgretolata dalle tragedie delle guerre mondiali e dei totalitarismi del secolo
scorso. Commenta Agazzi: 'Considerando questi esempi, appare del tutto ingenuo
pensare che ormai siamo riusciti ad eliminare radicalmente l’imprevedibilità
del futuro'. Come immaginare allora il futuro? E come costruirlo? Riscoprendo
le categorie filosofiche della prudenza e della saggezza, dato che «le sfide
del nuovo e dell’imprevisto esigono risposte basate su una creatività, una
plasticità, un’adattabilità che non possono scaturire da un vuoto relativista o
agnostico, bensì da una ricchezza di convinzioni che ci spinge a cercare, in
qualunque circostanza, ciò che è meglio e che dipende da noi». Solo ritrovando
valori e ideali forti potremo guardare ancora al futuro con speranza.
L’idolatria
tecnologica finisce per creare paure e visioni apocalittiche È molto diffusa,
eppure incide relativamente poco sulla cultura «Bisogna riscoprire prudenza e
saggezza»
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