In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i
pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano
dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro
questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le
novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?
Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa,
chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho
trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà
gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove
giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha
dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca
accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le
vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo
perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo
peccatore che si converte».
La
pecora
Chi
di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel
deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Nessuno, Signore,
fidati.
Nessuno
corre il rischio di lasciare le novantanove pecore per sbattersi e faticare
andando a cercare il ribelle o la svampita. Nessuno lo fa. Non la società, che
ormai ha smarrito la quasi totalità delle pecore, fabbricando marginalità. A
volte nemmeno la Chiesa, più preoccupata di salvare il salvabile che di trovare
atteggiamenti e linguaggi nuovi per dire Cristo agli smarriti.
Preferiamo
le nostre certezze. Il danno minore. L’assenza del rischio. Preferiamo non mettere in discussione le cose
acquisite, anche nella fede.
Invece
tu vai.
E
se la trovi, annota Matteo, dando per scontato che è in gioco la libertà. Con
la sottile distinzione fra smarrita e perduta. Perché ci possiamo smarrire, sì,
e spesso, ma perderci è un’altra cosa. E tu ci provi. Ti stanchi per cercare
quella pecore, per cercare noi, per cercare me. E quando la trovi non sfoghi su
di lei la stanchezza e la rabbia per una giornata passata inutilmente a correre
sulle colline. Non la bastoni, irritato, coma avrei fatto io. La prendi sulle
spalle. Le eviti ulteriore stanchezza. Una pecora, non un agnellino. Un bel
peso. Un’ulteriore fatica.
Così
è Dio. Il Dio di Gesù, che continuamente cerca. Mi cerca, ovunque io mi sia
perso.
La
moneta
Ma
certamente faremmo come la massaia distratta che ha perso una delle dieci
monete lasciatagli dal marito per fare la spesa grande. Sa bene, lei come noi,
il valore del denaro, la fatica nel guadagnarselo. Allora cerca, come
cercheremmo noi.
Ribalta
casa finché non trova quel benedetto biglietto di carta moneta scivolato dietro
il divano. E, lei come noi, sospira piena di sollievo. Solo che, dopo, fa una cosa assurda. Chiama
le vicine, racconta la vicenda. Prepara un caffè e un dolce, poi apre una
bottiglia di liquore. Spende più della moneta ritrovata. Perché, dice Gesù, Dio è così. Esagerato.
Sempre. Non ci ama col bilancino, mai.
I
figli
Figli
tristi, quelli della parabola del Padre misericordioso, così simili a noi. Che
stravolgono e tradiscono il volto del Padre. Lo annientano, lo umiliano. Pensano
che sia un despota da sfruttare, da cui fuggire, da obbedire per averne un
tornaconto. Idioti.
La
fame spinge in primo a rimpiangere le carrube di cui si nutrono i maiali che
pascola, come l’ultimo dei servi. Nessuno gliene dava. A nessuno sta a cuore la
sua morte.
Non
i presunti amici. Non i compagni di sballo. A nessuno.
Solo
al Padre.
La
gelosia spinge il secondo ad accorgersi che non aveva bisogno di elemosinare un
capretto per far festa con gli amici. Tutto ciò che è del Padre è giù suo. Chissà
se, alla fine capiranno chi è il Padre. Chissà se lo capiremo.
Le
parabole ascoltate gettano una spallata definitiva alla nostra mediocre visione
di Dio per spalancare la nostra fede alla dimensione del cuore di Dio.
Convertirsi significa passare dalla nostra prospettiva a quella inaudita di Dio
e questo significa fare come Lui. Noi
diciamo: “Ti amo perché sei amabile, te lo meriti, perché sei buono”. Dio dice: “Ti amo con ostinazione e senza
scoraggiarmi perché so che il mio amore ti renderà buono”. C’è una bella differenza! In fondo in fondo
costruiamo una vita di fede orientata intorno ai nostri meriti. Nessuno si
merita l’amore di Dio. Il suo amore è assolutamente gratuito, libero, pieno. Dio
non ci ama perché siamo buoni, ma amandoci senza misura ci rende buoni,
aprendoci alla speranza e alla conversione. Siamo amati, a prescindere, siamo
agapetoi.
L’esperienza
del peccato diventa occasione per un incontro più duraturo e autentico con
questo Dio che ci perseguita con il suo amore. Ben lontano dall’avere una
visione poetica o approssimativa del peccato, Luca sa che l’esperienza di
sofferenza interiore che è il peccato, lo smarrimento, la lontananza da Dio e
da noi stessi, può diventare un incontro che salva, che ci aiuta a ripartire
con maggiore autenticità e coraggio. La nostra fede non si fonda sulle nostre
capacità, sulle nostre devozioni, sui nostri sforzi, ma sull’ostinazione di Dio
che ci cerca. Questo Dio mi ha donato la
Chiesa. Di questo Dio voglio continuare a parlare.
Questo
Dio amo. Il Dio di Gesù.
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