- Docenti, libertà di scelta e autonomia:
tre temi in “soccorso” dei partiti -
-di
Luisa Ribolzi
I
programmi elettorali di tutti i partiti, da destra a sinistra e centro, sono
semplici cerotti applicati su ferite molto più grandi. Ma una soluzione c’è.
Per
migliorare la scuola, e non solo per cambiarla, sarebbe opportuno avere chiare
in mente poche cose, e realizzarle secondo la metodologia della ricerca:
analisi del problema, progettazione, realizzazione, valutazione,
ri-progettazione. Gli inglesi la chiamano rolling reform, riforma capace di
modificarsi senza rimettere tutto in discussione, ma in Italia si preferisce
procedere con grandi enunciazioni teoriche, o con “contentini” che non portano da nessuna
parte.
Un’ipotesi
di intervento nella scuola deve avere una vision e una mission: in altre
parole, deve partire da un’idea del ruolo della scuola nella società, e deve
avere un’immagine precisa non solo di dove andare, ma di come andarci e con
quali mezzi. Altrimenti, come diceva Seneca duemila anni fa, “non esiste vento
favorevole per il marinaio che non sa dove andare”.
Vediamo
comunque qualche proposta, a partire dal sito di Tuttoscuola che descrive
minutamente le circa quaranta proposte presentate dai vari partiti, che per la
loro genericità costituiscono un vero e proprio “libro dei sogni”: nei
programmi dell’intero arco costituzionale si proclama la centralità della
scuola, ma si mette al massimo un
cerotto sulle ferite più gravi (vi ricordate la toppa nuova su di un
vestito vecchio?), così che la scuola non pare messa in grado di far fronte
alle richieste di una società in sempre più rapida trasformazione, e alle prese
con problemi gravi e imprevedibili; ma nemmeno a problemi altrettanto gravi e
prevedibilissimi, come l’insuccesso scolastico, la diffusione
dell’analfabetismo funzionale, lo scollamento fra competenze richieste e
offerte e l’esistenza di una profonda spaccatura fra le diverse zone del Paese.
Per
esemplificare che cosa intendiamo per “assenza di un progetto” prendiamo ad
esempio la proposta del Pd di estendere l’obbligo scolastico gratuito dai 3 ai
d18 anni, che comporterebbe l’entrata nella scuola dell’infanzia di circa
150mila bambini in più, l’istituzione di nuove sezioni, il reclutamento di
almeno 9mila insegnanti, la costruzione di nuove aule, la mensa, i servizi
integrativi. Tuttoscuola stima che “l’introduzione dell’obbligo scolastico
interamente gratuito comporterebbe un onere complessivo di 3 miliardi e 616
milioni di euro all’anno”, e non si è parlato di quel 12% circa di ragazzi di
15 e di 18 anni che hanno abbandonato la scuola o la formazione professionale. Quanto ai tempi di
attuazione, gli insegnanti in più non sono certamente disponibili sul mercato,
e andranno formati; le strutture edilizie, anche incrementate con i fondi Pon,
richiedono tempi di realizzazione, e via dicendo. Considerazioni simili valgono
per riforme onerose come la realizzazione del tempo pieno per tutti nella
scuola primaria, la riduzione del numero di studenti per classe (che si attuerà
automaticamente, visto che stiamo perdendo circa 80mila studenti ogni anno),
l’aumento degli stipendi a livello europeo. Forse i nostri politici potrebbero
incominciare a ragionare in termini di qualità, e non solo quantità, degli
insegnanti.
L’inversione
di tendenza per la riduzione dei fondi stanziati per l’istruzione in
percentuale del Pil è certamente auspicabile, ma dove verrebbero reperiti questi
fondi, tagliando che cosa? Le pensioni? La sanità? La risposta non è semplice e
richiederebbe di individuare le priorità non con un approccio ideologico, ma
per rispondere ai gravi e sempre uguali problemi della scuola italiana. Nelle
promesse elettorali, lo schieramento di sinistra tende più a misure di
accrescimento dell’equità (non a caso il paragrafo si intitola “conoscenza è
potere”) come l’estensione dell’obbligo e del tempo pieno, misura questa
auspicata anche da Azione-Italia viva, mentre la coalizione di destra punta
piuttosto a valorizzare il merito.
Quasi
tutti propongono la soppressione del precariato – impossibile finché saranno in
vigore gli attuali metodi di reclutamento –, anche se con un certo buon senso
Azione-Italia viva pensa di ridurlo ai livelli fisiologici; l’aumento degli stipendi; l’estensione
generalizzata o selettiva (al Sud) del tempo pieno. A parte i costi, ci sono
problemi supplementari, per esempio se si ipotizza l’entrata in ruolo degli
attuali supplenti, nessuno fa cenno a come valutare la loro preparazione, e
questo in una situazione in cui molti posti restano scoperti perché i candidati
non riescono a superare le prove di esame. Le proposte, oltre a essere
generiche, non tengono conto di quel che viene considerato urgente e necessario
da chi nella scuola lavora, cioè la modifica del soffocante apparato
burocratico, la realizzazione della piena autonomia, una valorizzazione del
merito che consenta anche di differenziare compiti e retribuzioni.
Tutti
intendono investire in formazione e aggiornamento degli insegnanti: il
centrodestra mira a valorizzare le
scuole tecniche e professionali, sostenere gli studenti meritevoli o
“incapienti” (forse per metterli in grado di capire che cosa significa
“incapienti”), sviluppare l’edilizia scolastica e generalizzare il buono scuola
per favorire la scelta educativa. Compare un modesto interesse per la scelta
famigliare e per gli 800mila studenti e 60mila insegnanti circa delle scuole
paritarie e nel programma del Pd si accenna al costo standard di sostenibilità
per promuovere il pluralismo educativo, senza rinvii diretti alle scuole
paritarie, ma solo a una generica “offerta formativa per il diritto allo
studio”.
Il
terzo polo propone di elevare l’obbligo a 18 anni, riducendo la durata degli
studi da 13 a 12 anni, allineandosi così alla maggior parte dei Paesi europei,
e recuperando una parte dei costi. Estensione del tempo pieno nelle scuole
primarie, creazione di una carriera docente con differenziazione delle funzioni
e dei salari, accresciuti forse in collegamento alla funzione, riforma degli
Its con una maggiore integrazione delle imprese e presenza di docenti
qualificati nelle aree di crisi. Si parla esplicitamente di misure per
accrescere la libertà di scelta delle famiglie (misure fiscali, buono scuola,
costo standard). Il M5s esprime la sua creatività aggiungendo alle richieste
standard quella dell’introduzione dell’educazione sessuale e affettiva, di una
“scuola dei mestieri” per supportare l’artigianato, e di un maggior numero di
psicologi e pedagogisti.
Le
misure proposte non si esauriscono in quelle che ho portato ad esempio: credo
però che chiunque vinca le elezioni dovrebbe accantonare tutte le
promesse/proposte su cui ha basato la campagna elettorale, e lavorare
seriamente su tre temi: gli insegnanti, la libertà di scelta e l’autonomia. Se
le scuole saranno veramente e seriamente autonome, e valutate in base ai
risultati, se gli insegnanti saranno veramente e seriamente professionisti, se
le famiglie potranno scegliere la scuola dei figli in un sistema veramente e
seriamente pubblico, non ci sarà bisogno di grandi riforme, perché sarà la
scuola stessa a cambiare per rispondere ai bisogni della società.
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