Lc 14,25-33
- In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Un
po’ per convinzione, un po’ per abitudine, un po’ perché non si sa mai e, tutto
sommato, il cristianesimo porta in sé una discreta dose di credibilità. E poi
che tenero è Gesù. E un po’ ci hanno sempre insegnato così. E poi è comodo, in
fondo.
È
difficile pensare alle cose di Dio, come già fa notare l’autore del testo della
Sapienza, unico libro della Bibbia che cerca di usare linguaggio e ragionamenti
che occhieggino ai greci, i cittadini del mondo dell’epoca.
Difficile
perché, immagine magnifica usata dall’autore alessandrino, il corpo
appesantisce l’anima.
Quindi
evviva se qualcuno ci fa il riassunto. Se altri hanno riflettuto prima di noi.
Se non dobbiamo sbatterci troppo a cercare Dio e ci viene proposto già precotto
e masticato. Evviva!
È simpatico Gesù. Poi guarisce, d’ogni tanto. E tutto sommato poco esigente, vuoi mettere col mese di digiuno (fatto seriamente) dei musulmani? Insomma, ci sta. Siamo cristiani. Abbastanza, insomma.
Poi.
Poi
Gesù si volta verso la folla numerosa. E parla. Spiega cosa intende quanto dice
di essere venuto a portare il fuoco sulla terra. Cosa significa diventare
discepolo di uno come lui. Vabbè.
Di
più
Seguire
il fuoco significa incendiarsi d’amore. Seguire uno come lui, disposto a
donarsi totalmente, a percorrere i quattro confini della terra per raccontare
con le parole e con la vita chi è davvero Dio, significa voltare pagina, salire
una vetta. Allora chiede, Gesù, osa. Chiede di essere amato di più. Chiede di essere amato perché esiste l’amore,
che tutti conosciamo, che è epifania divina, che è esperienza totalizzante e
struggente di Dio riflesso nelle persone e nelle situazioni. Ed esiste un amore
più grande, quello del dare vita. Quello che Gesù ci ha svelato. E che in lui
possiamo sperimentare.
È
esigente, sì, e finanche presuntuoso, il Signore. Ma perché può mantenere ciò
che promette. Lui può amare di più. Può donare un amore più grande.
Più
grande del più grande amore che abbiamo vissuto o che mai potremo sperimentare.
Chiede
perché lui per primo dona.
Non
c’è spazio per i tiepidi. O per i superficiali. O per i calcolatori. Niente
bilancino per pesare quanto diamo per poter esigere da Dio in controparte, col
Signore.
Ecco,
qualcuno, fra i molti che lo seguono, abbassa lo sguardo, si ferma. Non
scherziamo.
La
propria croce
Seguire
Gesù significa portare la propria croce. E qui ci rassicuriamo. Vittime come
siamo di ogni disgrazia, silenziosi penitenti reietti, santi in pectore
rassegnati a soffrire come Gesù ci chiede… Figli di una spiritualità
crocefissa, autolesionista, piangente. Così felicemente fermi al Venerdì Santo
che quasi ci scordiamo della Pasqua. Figli della croce più che del crocefisso
risorto. Solo che non abbiamo capito nulla di quanto Gesù dice. Nulla. Nada.
Nothing.
Ha appena parlato d’amore. Di un amore più grande. Da ricevere e da restituire. L’amore ha a che fare con la croce. Cioè col dono totale di sé.
Il
primo a parlarne è Marco (Mc 8.34-35) quando, a Cafarnao, Gesù spiega in che
modo sarà Messia. È disposto a morire pur di non rinnegare il volto del Padre.
Pur di non cambiare idea. E così sarà. Allora chiede ai discepoli di essere
disposti anch’essi a seguirlo in questo compito così impegnativo, anche a costo
della propria morte.
Questa
è la croce da prendere: la testimonianza del volto del Padre anche a costo
della stessa vita. Seguire il fuoco, l’Amato significa avvicinarsi alla
testimonianza radicale del dono di sé.
Quindi
(e mi sgolo nel ripeterlo): Dio non manda le croci. Mai.
E,
potendolo, Gesù stesso avrebbe volentieri evitato quella testimonianza
definitiva e tragica. Noi ci diamo le croci, gli uni gli altri, con i nostri
giri di testa, le nostre paranoie, i nostri vittimismi. La croce non è una
disgrazia accolta che rende felice Dio. Dio non ama la sofferenza. Mai. Se la
vita ci mette davanti ad una testimonianza di dolore, questi va superato, non
idolatrato. Non alziamoci ogni mattina felici di carteggiare la croce pensando
di rallegrare Dio!
Il
nostro è un Dio felice che ci vuole felici. E che ci lascia liberi. E l’amore,
donandosi, si scorda di sé, diventa sacrificio, cioè sacum facere, rende sacro
qualcosa. Ti amo anche quando mi ignori o mi disprezzi, amo mio figlio neonato
anche se non mi fa dormire. E quel biberon che preparo nel cuore della notte mi
pesa, mi costa, ma lo faccio ugualmente, diventa un fare sacro.
Fatti
due conti
Ecco,
i patti sono chiari, evidenti. Fatti due conti. Una religiosità che si
esaurisce in quattro buone parole, in qualche distratta celebrazione, in un
atteggiamento religioso che si esaurisce alla prima difficoltà, non è il fuoco
di cui parla Cristo.
Fatti due conti, perché seguire uno così significa ribaltare la vita, convertirsi sul serio o, almeno, desiderarlo. E questi tempi amari stanno setacciando i nostri cuori. Facendoci capire se stiamo seguendo la rissosa logica del mondo o la rivoluzione mite portata da Cristo. Siate realisti, chiedete l’Impossibile, come scriveva Camus. Osa Gesù, folle presuntuoso.
È
bellissimo amare, essere riamati, avere degli affetti e godere delle gioie
legittime. Eppure, lui è di più. Più della più grande gioia che abbiamo vissuto
e che mai vivremo.
Cambiamenti
Così
facendo la nostra vita, da ora, cambia di prospettiva. Mettere la ricerca del
tutto, la ricerca di Dio al centro della nostra vita, ci fa divenire persone
nuove. Ne sa qualcosa Filemone, simpatico cristiano delle origini, cui Paolo
indirizza un biglietto di accompagnamento rimandandogli uno schiavo che si era
rifugiato presso l’apostolo.
Cerchiamo
Dio, allora.
Non
quello piccino delle nostre paure, dei nostri deliri, delle nostre ossessioni. Del
buon senso, della religiosità popolare che non cambia la vita, quello che
benedice le nostre idee. Quello magnifico del Signore Gesù. Più grande della più
grande gioia che siamo in grado di vivere.
Scoprendoci
amati.
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