PER USARLA MEGLIO
La
crisi climatica in questi ultimi anni ci ha portato a rivedere il nostro
rapporto col territorio?
Nell’ultimo
secolo la transizione verso l’urbanizzazione ha portato la maggioranza delle
persone a lavorare e vivere in città e pochi oggi hanno a che fare col
territorio, a differenza di anni fa. Quindi oggi il territorio è solo una
scenografia. Le esperienze col territorio erano più normali un tempo perché le
infrastrutture erano limitate, ma questo momento ci sta chiedendo un ritorno al
territorio. Per via del riscaldamento globale stiamo sostituendo i combustibili
fossili con le rinnovabili e questa transizione avrà un grosso impatto. Il
lavoro da fare sarà soprattutto di infrastrutture, ma bisogna tenere conto che
oggi abbiamo anche aspettative che prima non avevamo, e al tempo stesso
dobbiamo pensare alla gestione delle emergenze.
La
politica come dovrebbe intervenire?
Contribuendo alla costruzione di cittadini informati. Con la recente approvazione della modifica all’articolo 9 della Costituzione, l’Italia fa un passo importante verso la tutela dell’ambiente. In particolare, il testo introduce il riconoscimento della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Il concetto di biodiversità non è univoco, parte dalla partecipazione e può essere compreso al meglio nella collettività. Perciò credo che la politica dovrebbe prima di tutto fare divulgazione sul linguaggio e sui ruoli dei vari attori, formando e rendendo trasparenti dati e informazioni.
Qualche
anno fa si parlava di acqua virtuale e impronta idrica, ora se ne parla meno,
ma quello era un tema politico oltre che ecologico, perché l’acqua impiegata
nella produzione di alimenti, spostandosi comporta cambiamenti nell’equilibrio
dei Paesi.
Quello
dell’impronta idrica è un concetto molto valido in letteratura, ma si ferma più
o meno lì. Il punto è che i litri d’acqua utilizzati sono un problema in base
al luogo da cui provengono, non lo sono a prescindere, inoltre dipende dalle
quantità di cui si parla. In generale l’acqua c’è nel mondo, ma il vero
problema è che non sempre c’è in un posto quando serve, quindi dipende dalla
situazione specifica locale, oltre che dal contesto. Quello dell’impronta
idrica è però un concetto molto utile per illustrare quanto e come siamo
dipendenti dall’idrologia di altri luoghi.
Secondo
una mappatura del World resources institute di qualche anno fa i Paesi più a
rischio in relazione ai più alti livelli di stress idrico sono oltre trenta e
ci sono altri luoghi nel mondo che affrontano carenze idriche tutto l’anno.
Anche
in questo caso le mappature sono utili soprattutto per illustrare alcune
questioni, come ad esempio sapere dove sono i problemi per poter intervenire in
modo mirato. Ci sono parti del mondo storicamente aride, ma quello che è
davvero importante è il modo in cui la società gestisce il problema per operare
in un contesto arido. Ci sono esempi di posti aridi che hanno creato
infrastrutture efficaci, ma il problema rispetto a questo argomento è che per
farlo si possono calcolare solo le statistiche passate, dove però è difficile
calcolare le variabili dei cambiamenti climatici.
L’Italia
in che situazione si trova?
L’Italia
è un Paese ricco d’acqua, ma anche un Paese fortemente agricolo e non uniforme.
Quello che è successo quest’anno col Po in secca è dato dal contesto, ma anche
dalla povertà di infrastrutture.
Il
rapporto tra società e acqua è al centro del suo libro.
Il
mio è un libro fondamentalmente storico. Rivela come la nostra società abbia
nel proprio codice la stratificazione di generazioni che nel tempo hanno
risposto a tutte le domande sull’acqua. Credo sia utile per meglio comprendere
come si muove l’acqua intorno a noi.
In
questi mesi spesso si è parlato di guerra per l’acqua. È un rischio?
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