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sabato 23 aprile 2022

NON COSI' SI COSTRUISCE LA PACE


L’esclusione dei tennisti russi 

e bielorussi da Wiblendon-

-         di Giuseppe Savagnone*

          

-Ha fatto rumore, in questi giorni, la decisione senza precedenti dell’All England Club – organizzatore del torneo di tennis di Wimbledon, il più antico del mondo – di escludere dalla prossima edizione i giocatori russi e bielorussi. I responsabili, la cui scelta è stata fatta d’intesa col il governo inglese, hanno spiegato «con profondo rammarico» di essere ricorsi a questo passo per «limitare l’influenza della Russia» dopo l’invasione dell’Ucraina. «In questo modo Putin non potrà usare il più iconico dei tornei dello Slam per cercare di legittimare gli orrori che sta infliggendo al popolo ucraino», ha spiegato il ministro dello Sport britannico, Nigel Huddleston.

Tra gli esclusi ci sono i russi Daniil Medvedev, numero due del mondo, e Andrej Rublëv, numero otto, e la bielorussa Aryna Sabalenka, numero quattro del mondo. La decisione inglese ha suscitato una dura reazione da parte del numero uno del mondo, il serbo Novak Djokovic: «Condannerò sempre la guerra, non la sosterrò mai essendo io stesso figlio della guerra», ha detto, «so il trauma emotivo che lascia, tutti sappiamo cosa è successo in Serbia nel 1999. Nella storia recente nei Balcani abbiamo avuto molte guerre. Tuttavia, non posso sostenere la decisione di Wimbledon, penso sia folle. Quando la politica interferisce con lo sport, il risultato non è mai buono».

Tra i critici, anche una gloria del tennis italiano come Adriano Panatta: «Quando si parla di squadre nazionali l’esclusione è giusta, ma per sanzionare un Paese non si dovrebbero colpire individualmente gli atleti», ha dichiarato l’anziano campione. Contro gli organizzatori di Wimbledon si sono schierate anche la WTA e l’ATP, le due associazioni che riuniscono tenniste e tennisti di tutto il pianeta.

La loro posizione è praticamente identica a quella di Djokovic: «La discriminazione basata sulla nazionalità costituisce una violazione del nostro accordo con Wimbledon, che prevede che ogni giocatore entra nel torneo sulla base esclusiva della classifica». Non sembra, però, che queste critiche abbiano scosso il fronte degli “esclusionisti”. È recentissima la notizia che anche il governo italiano sta pressando perché i tennisti russi vengano esclusi dagli Internazionali d’Italia che si terranno a Roma a inizio maggio.

La decisione del Comitato Olimpico Internazionale e gli effetti a cascata

In realtà non si tratta di una novità. Fin dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il Comitato Olimpico Internazionale ha «vivamente raccomandato» a tutte le federazioni mondiali di «non invitare atleti russi e bielorussi» nelle competizioni sportive internazionali. Nel suo comunicato il Comitato sottolineava che «il movimento olimpico è unito nella sua missione di contribuire alla pace attraverso lo sport e di unire il mondo in una competizione pacifica al di là di ogni disputa politica. I Giochi Olimpici, le Paralimpiadi, i Campionati Mondiali e le Coppe del Mondo e molti altri eventi sportivi uniscono atleti di paesi in conflitto e talvolta anche in guerra».

 Tuttavia, aggiungeva, «l’attuale guerra in Ucraina pone il movimento olimpico di fronte a un dilemma. Mentre gli atleti provenienti da Russia e Bielorussia potrebbero continuare a partecipare a eventi sportivi, a molti atleti ucraini è impedito di farlo a causa dell’attacco al loro paese». Per questo, «al fine di proteggere l’integrità delle competizioni sportive globali e per la sicurezza di tutti i partecipanti, il comitato esecutivo del Cio raccomanda che le federazioni sportive internazionali e gli organizzatori di eventi sportivi non invitino o consentano la partecipazione di atleti e funzionari russi e bielorussi alle competizioni internazionali».

Solo nell’ipotesi che «ciò non sia possibile con breve preavviso per motivi organizzativi o legali», ci si limitava a chiedere di «garantire che nessun atleta o funzionario sportivo russo o bielorusso possa prendere parte sotto il nome di Russia o Bielorussia». Ma era solo un ripiego rispetto alla decisione di fondo, che era quella di escludere da ogni competizione sportiva, in base alla loro nazionalità, non solo le squadre ufficiali, ma i singoli. Su questa direttiva si sono mossi gli organismi internazionali responsabili dei diversi tipi di sport.

Il 1 marzo scorso era stata la Federazione internazionale di sci a prendere una analoga decisione: «Per garantire la sicurezza e la protezione di tutti gli atleti nelle competizioni Fis, il Consiglio Fis ha deciso all’unanimità, in linea con la raccomandazione del Cio, che con effetto immediato nessun atleta russo o bielorusso potrà partecipare ad alcuna competizione Fis a qualsiasi livello, sino alla fine della stagione 2021-2022». Il 3 marzo il Cda del Comitato paralimpico internazionale ha deciso che gli atleti di Russia e Bielorussia non avrebbero potuto partecipare alle imminenti Paralimpiadi invernali di Pechino. In un primo momento si era ipotizzato che lo facessero da “neutrali”, senza essere inquadrati ufficialmente nelle squadre dei loro rispettivi Paesi, ma poi questa misura era sembrata troppo blanda e si era definitivamente optato per una esclusione non solo delle squadre, ma dei singoli atleti in base alla loro nazionalità.

Andrew Parsons, presidente del Comitato Paralimpico internazionale, ha dichiarato: «All’IPC siamo fermamente convinti che sport e politica non debbano mescolarsi. Tuttavia, non per colpa sua, la guerra è ora arrivata a questi Giochi e dietro le quinte molti governi stanno avendo un’influenza sul nostro amato evento (…). Numerosi comitati paralimpici, alcuni dei quali sono stati contattati dai loro governi, squadre e atleti, stanno minacciando di non competere». Così, per non far fallire l’evento, è stato necessario escludere russi e bielorussi.

Il messaggio del Comitato Olimpico internazionale è stato recepito subito dal calcio che ha escluso la Nazionale russa dai Mondiali e i club russi dai tornei internazionali. Ma sono tante le discipline che a cascata stanno adottando la linea della fermezza. Dall’hockey su ghiaccio fino alla dama: russi e bielorussi sono fuori da tutte le competizioni mondiali ed europee. Nessuno sconto anche dall’EuroLega di basket che ha deciso di sospendere le squadre russe. Non solo. Se la situazione non si normalizzerà i risultati già ottenuti da questi club saranno cancellati e la classifica delle competizioni aggiornata.

Questa linea di esclusione, peraltro, prescinde dalle posizioni personali degli atleti. Daniil Medvedev sui social ha lanciato un toccante appello alla pace pensando soprattutto ai più piccoli: «I bambini nascono con una fiducia innata nel mondo, credono in tutto: nelle persone, nell’amore, nella sicurezza e nella giustizia, nelle loro possibilità nella vita. Restiamo uniti e mostriamo loro che è vero: perché ogni bambino non dovrebbe smettere di sognare».

Anche più esplicito il collega Andrey Rublev che da giorni chiede a Putin di fermare questa guerra. E sulla stessa linea anche il pallavolista Ivan Zaytsev, italiano di origini russe: «Quello che stanno vivendo i nostri fratelli in Ucraina è terrificante e ingiustificato. Sono addolorato, non è questa la Russia che conosco io».

La politica e la morale

Siamo davanti a uno degli effetti della giusta indignazione del mondo occidentale di fronte a un’aggressione violenta e ingiustificabile, che sta causando un esodo di massa di uomini, donne e bambini – cinque milioni! – , la distruzione delle loro case e, ancora più atroce, il massacro di innocenti civili. In questo drammatico contesto, la politica – a dispetto di Machiavelli – rivendica il suo inscindibile legame con l’etica e rifiuta di valutare gli eventi in base unicamente alla logica dell’utile e del successo.

Non è vero che essa sia il campo, autonomo rispetto alla morale, in cui «il fine giustifica i mezzi». Da qui l’appassionata mobilitazione dell’Occidente – in ambito economico e politico – per far pesare sulla Russia un isolamento internazionale che sanzioni le sue scelte. L’etica, però, ha le sue logiche, che la politica deve rispettare. Altrimenti il rischio è che, invece di essere la morale a ispirare la politica, sia quest’ultima a servirsi della morale per i suoi scopi. E questo sarebbe, dietro la sua apparente sconfitta, il più subdolo trionfo del machiavellismo.

Ora, in una logica morale non c’è posto per una discriminazione puramente etnica. Tutti gli schematismi pregiudiziali che appioppano ai singoli un’etichetta, in base a comportamenti di cui non sono personalmente responsabili – il caso più tragico è stato l’antisemitismo – , possono essere funzionali a una battaglia politica, ma sono in contrasto con il preteso primato dell’etica. E invocare quest’ultima per giustificarli è un pretesto inaccettabile.

Essere sostenitori di Putin, come gli oligarchi russi, giustamente penalizzati con il sequestro dei loro beni per il loro ruolo nel sostenere una dittatura sanguinaria – è una colpa. Essere russi no. A maggior ragione questo vale in un ambito, come lo sport, dove – come contraddittoriamente ammettono gli organizzatori dei rispettivi comitati – le logiche divisive della politica non possono essere ammesse.

Fin dai tempi dei Greci le Olimpiadi erano il momento in cui le ostilità e le discriminazioni venivano superate in nome di una comune esperienza di umanità. Il caso del tennis sta facendo rumore. Ma forse fa più pena pensare che a Pechino, nelle paralimpiadi, dei poveri disabili, che si erano a lungo allenati nella speranza di avere anche loro un momento di pienezza, siano stati discriminati ed esclusi per il luogo in cui erano nati e cresciuti.

No, non è così che si costruisce una pace degna di questo nome.

 *Pastorale Scolastica Diocesi di Palermo

 www.tuttavia.eu

 

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