UNA TEMPESTA PERFETTA
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di PAOLO M. ALFIERI
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C’è una
tempesta perfetta all’orizzonte di un’Africa che si interroga
sul suo futuro. Tramontata, o almeno
momentaneamente accantonata, la narrativa dell’«Africa rising»
di qualche anno fa – quell’ottimismo diffuso di inizio
millennio che poggiava su tassi di crescita del Pil a doppia
cifra per molti Paesi africani e sull’emergere, finalmente, anche di
una nuova classe media – il continente nero frena ora più del
previsto. E non solo a causa di sue debolezze. Ogni volta che un
nuovo rapporto esce, ogni volta che si snocciolano numeri,
tabelle, grafici su una fame che è già lì solo a
volerla osservare con sguardo attento e lucido, ci si chiede
quale sia la novità rispetto al passato, cosa va meglio, cosa
peggio, su quale aspetto si possa concretamente intervenire. Le
Ong lanciano appelli, le agenzie Onu raccolgono fondi, le fondazioni
benefiche, anche quelle nate in ambito religioso, provano a
far sentire le voci «dal basso». Eppure, tutto questo sembra non
bastare mai, la malnutrizione sempre dieci passi più avanti. Fame
zero, è l’obiettivo che si è data l’Onu, un obiettivo che oggi scopriamo
ancora più lontano, e non solo per l’Africa, con 20 milioni di persone in più
rispetto al 2019 in stato di «insicurezza alimentare acuta» stando al rapporto
Cesvi presentato ieri. A luglio, già lo studio annuale Sofi della Fao non aveva
lasciato spazio a interpretazioni: la fame, sottolineava il documento, continua
a crescere per il quinto anno consecutivo: nel mondo ne soffrono 811 milioni di
persone.
L’incidenza
della pandemia di Covid-19, il riscaldamento climatico di cui l’Africa soffre
le maggiori conseguenze pur inquinando molto meno degli altri continenti, i
conflitti che nel continente continuano a imperversare, senza contare la crescente
penetrazione del terrorismo islamico, formano nubi micidiali sul futuro di
intere regioni africane che già hanno a che fare con corruzione e cattivi
modelli di governance. Il triangolo Mali-Niger-Burkina Faso, da questo punto di
vista, è il perfetto emblema di una situazione allo sbando. La debolezza delle
istituzioni, unita agli appetiti delle formazioni armate locali, ha favorito i
crescenti conflitti per un bene sempre più prezioso e sempre meno coltivato, la
terra.
L’insicurezza
ha portato 1,5 milioni di persone a scappare dai
propri villaggi, la crisi ambientale si è fatta alimentare,
poi sociale
ed economica, etnico-religiosa, e infine umanitaria, compiendosi così in una
grave forma di degrado umano. Un territorio in cui non vince il dialogo, ma
vede regnare i potentati e i giochi di parte, è destinato a veder fallita in
partenza la sfida contro la fame, pure complicata dalla volatilità dei prezzi
delle materie prime, dall’energia ai beni agricoli. Il Sud Sudan, ultimo nato
tra gli Stati africani, non ha fatto in tempo a esultare nel 2011 per la sua
indipendenza che già all’orizzonte risuonavano tamburi di guerra.
Risultato: 7
milioni di persone, il 60% della popolazione, lottano ancora ogni giorno per
riuscire a mangiare. È giusto, è necessario affrontare il nodo della mancanza
di vaccini anti-Covid in Africa. Ma di pari passo va vinta la sfida della fame,
quella del clima, quella dei conflitti, restituendo dignità umana a chi oggi
fatica anche a reclamare i suoi più elementari diritti.
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