CHE COS’È IL CAMMINO SINODALE?
IL PENSIERO DI PAPA FRANCESCO
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di Santiago
Madrigal
La Chiesa di Dio è convocata in Sinodo. Il cammino, dal titolo «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione», si aprirà solennemente il 9-10 ottobre 2021 a Roma e il 17 ottobre seguente in ogni Chiesa particolare. Il 7 marzo 2020 era stato dato l’annuncio che Francesco voleva tenere la XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi nell’ottobre 2022, sul tema «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione». A fine maggio scorso il card. Mario Grech aveva reso noto che l’Assemblea sarebbe stata rimandata di un anno, al 2023, in parte per ragioni sanitarie, ma soprattutto per favorire una modalità diversa e inedita. Essa è stata pensata in tre fasi, distribuite tra ottobre 2021 e ottobre 2023: la prima sarà diocesana, la seconda continentale e la terza universale. Tale metodologia, che prevede l’elaborazione di due Instrumentum laboris diversi, vuole coinvolgere tutto il popolo di Dio in questo processo sinodale, le cui chiavi sono partecipazione, ascolto e discernimento.
«La
storia che dobbiamo contemplare»
Ricordiamo
le prime parole del pontificato di papa Francesco, pronunciate dalla loggia di
San Pietro la sera del 13 marzo 2013, subito dopo l’elezione: «E adesso,
incominciamo questo cammino: vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di
Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di
fratellanza, di amore, di fiducia tra noi»[1]. Il Papa ha utilizzato per tre volte la
parola «cammino». Come ricorda la Commissione teologica internazionale,
«cammino» fa parte della radice della parola greca synodos, che,
composta dalla preposizione syn e dal sostantivo hodos,
indica il cammino che i membri del popolo di Dio percorrono assieme[2]. Mettendo in relazione queste due
considerazioni, ricaviamo che «cammino sinodale» significa discernimento e
ricerca della volontà di Dio, non soltanto a titolo personale, ma come comunità
cristiana, in coerenza con il suggerimento di san Giovanni Crisostomo: «Chiesa
è nome che sta per sinodo».
Abbiamo
voluto rievocare le parole iniziali del pontificato di Francesco, per
sottolineare che la sinodalità è la parola chiave della sua concezione del
ministero del vescovo di Roma ed è, allo stesso tempo, il fondamento della sua
prospettiva ecclesiologica, guidata da questa convinzione: «Il cammino della
sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio»[3].
Come
scrive il teologo Eloy Bueno, «la sinodalità è una categoria che nell’ambito
ecclesiale aveva già assunto diritto di cittadinanza, ma all’interno di un’innegabile
ambiguità concettuale e terminologica. Francesco vi introduce criteri di
discernimento e traccia la via da seguire»[4]. D’altra parte, l’accento posto sulla
sinodalità, associata all’idea di una riforma della «Chiesa in uscita»,
missionaria, ha introdotto nel corpo ecclesiale una dinamica di innovazione che
ha fatto parlare di una nuova fase di recezione del Vaticano II[5].
In
queste pagine, come suggerisce il titolo, vogliamo percorrere il «cammino
sinodale di Francesco» presentando i vari aspetti del suo modo di intendere la
sinodalità, a partire dai suoi discorsi e documenti e dai momenti cruciali del
suo pontificato[6].
Il
cammino della sinodalità di papa Bergoglio – «la storia che dobbiamo
contemplare», per dirla in termini ignaziani – viene definito da queste due
pietre miliari: al punto di partenza troviamo il suo documento programmatico,
l’esortazione apostolica Evangelii gaudium (EG) (24 novembre
2013) e all’altro estremo c’è la celebrazione del Sinodo per l’Amazzonia
(2019). Per l’ottobre 2023 è stata annunciata la prossima Assemblea generale
ordinaria del Sinodo dei vescovi, dedicata proprio alla sinodalità.
Nel
ripercorrere questo cammino procederemo per tappe. Anzitutto è necessario
risalire ai precedenti, ossia alla riscoperta della collegialità e della
sinodalità avvenuta nello sviluppo interno del Concilio Vaticano II. In secondo
luogo, si deve prestare attenzione all’esortazione apostolica Evangelii
gaudium alla luce dell’interrogativo: come la sinodalità è presente in
questo documento? In terzo luogo, dobbiamo osservare la prassi sinodale
promossa dal Papa, attirando l’attenzione su questo fatto: tra l’assemblea
straordinaria del Sinodo dei vescovi del 2014 e quella ordinaria del 2015,
entrambe dedicate al matrimonio e alla famiglia, si colloca il discorso che
Francesco ha pronunciato il 17 ottobre 2015 per commemorare il cinquantesimo
anniversario dell’ Apostolica sollicitudo, il «motu proprio» con
cui san Paolo VI dispose la creazione del Sinodo dei vescovi. Un ulteriore
apporto di Francesco a tale tema è venuto dalla costituzione apostolica Episcopalis
communio (EC), del 15 settembre 2018, che propone un rinnovamento del
funzionamento del Sinodo dei vescovi al servizio della riforma della Chiesa.
Il
Vaticano II e l’istituzione del Sinodo dei vescovi
Come
ricorda il documento della Commissione teologica internazionale, al n. 6,
benché il concetto di sinodalità non si ritrovi esplicitamente
nell’insegnamento del Concilio Vaticano II, esso è al centro dell’opera di
rinnovamento che il Concilio ha promosso. Nei testi conciliari la parola synodus viene
riferita al Concilio in corso, sicché quello ecumenico appare come
l’espressione più alta della sinodalità. In questo senso, il Vaticano II, in
quanto evento e nuovo inizio, ha riaperto il capitolo della conciliarità o
sinodalità essenziale della Chiesa e, ricordando la costituzione di Sinodi,
Concili provinciali, Concili plenari fin dai primi secoli, ha incoraggiato a
promuovere e a favorire questo tipo di istituzioni (cfr Christus
Dominus, n. 36).
In
questa cornice generale va inserita l’istituzione del Sinodo dei vescovi,
voluta da Paolo VI tramite il «motu proprio» Apostolica sollicitudo,
del 15 settembre 1965. Nel decreto Christus Dominus, al n. 5, ne
troviamo tratteggiate la natura e la funzione, che comportano un riconoscimento
del ruolo dei vescovi nel governo centrale della Chiesa: «Una più efficace
collaborazione al supremo pastore della Chiesa la possono prestare, nei modi
dallo stesso romano Pontefice stabiliti o da stabilirsi, i vescovi scelti da
diverse regioni del mondo, riuniti nel consiglio propriamente chiamato “Sinodo
dei vescovi”. Tale Sinodo, rappresentando tutto l’episcopato cattolico, è un
segno che tutti i vescovi sono partecipi in gerarchica comunione della
sollecitudine della Chiesa universale».
Nel
discorso del 18 novembre 1965 all’assemblea conciliare, Paolo VI annunciò
l’intenzione di convocare presto il Sinodo dei vescovi, una volta concluso il
Concilio. L’approvazione del regolamento del Sinodo avvenne l’8 dicembre 1966,
e la prima assemblea si tenne dal 29 settembre al 29 ottobre 1967. Fu dedicata
a La preservazione ed il rafforzamento della fede cattolica, la sua
integrità, il suo vigore, il suo sviluppo, la sua coerenza dottrinale e storica.
Due anni dopo si tenne la prima assemblea straordinaria, sulla cooperazione tra
la Santa Sede e le Conferenze episcopali. Nel 1971 ebbe luogo la seconda assemblea
ordinaria, che affrontò due temi: Il sacerdozio ministeriale e la
giustizia nel mondo. Paolo VI convocò altre due assemblee: nel 1974
su L’ evangelizzazione nel mondo moderno, e nel 1977
su La catechesi nel nostro tempo.
San
Giovanni Paolo II intese incentivare i Sinodi dei vescovi, che considerava uno
strumento privilegiato per l’esercizio del primato[7]. Egli volle dare impulso all’accoglienza
del Vaticano II e alla preparazione del Grande Giubileo del 2000 tramite «la
serie di Sinodi, iniziata dopo il Concilio Vaticano II: Sinodi generali e
Sinodi continentali, regionali, nazionali e diocesani». Così egli si esprimeva
nella lettera apostolica Tertio millennio adveniente (TMA)
(1994), mettendo in luce che «il tema di fondo è quello dell’evangelizzazione»,
le cui basi erano state poste dall’Esortazione apostolica Evangelii
nuntiandi di Paolo VI (cfr TMA 21). In quello stesso anno, in una
celebre intervista, aveva parlato di «metodo sinodale»[8]. Queste esperienze sinodali, nella loro
varietà e diversa ampiezza (assemblee ordinarie, straordinarie, speciali,
continentali e diocesane), aprirono la via alla visione della Chiesa in chiave
sinodale. Pertanto, sulla soglia del terzo millennio la sinodalità si era
trasformata «in una categoria chiave, nel punto di arrivo dell’ecclesiologia
postconciliare»[9].
Proseguendo
sulla stessa linea, Benedetto XVI convocò tre assemblee. Le prime due furono,
nel 2005, L’ Eucaristia fonte e culmine della vita e della
missione della Chiesa e, nel 2008, La Parola di Dio nella vita
e nella missione della Chiesa. La terza si svolse nell’ottobre 2012,
dedicata a La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede
cristiana.
Dopo
le storiche dimissioni del Papa tedesco, avvenute nel febbraio 2013, il suo
successore ha pubblicato la sua esortazione apostolica Evangelii
gaudium (EG). In questo modo Francesco entrava in azione con il suo
documento programmatico, incentrato sull’«annuncio del Vangelo nel mondo
attuale», che si poneva consapevolmente nella scia dell’esortazione
apostolica Evangelii nuntiandi (EN) (1975) di Paolo VI.
Da
ciò si può trarre la conclusione che il punto di inserzione di questo
pontificato nel processo di accoglienza del Vaticano II si colloca nella
sequenza dei Sinodi dei vescovi. Non per nulla il decreto Ad gentes (AG)
(7 dicembre 1965) ha stabilito la connessione tra l’attività missionaria e la
nuova istituzione avviata da Paolo VI: «Il compito di annunciare dappertutto
nel mondo il Vangelo riguarda primariamente il collegio episcopale (cfr LG 23),
il Sinodo dei vescovi, cioè “la commissione permanente dei vescovi per la
Chiesa universale”, tra gli affari di importanza generale deve seguire con
particolare sollecitudine l’attività missionaria, che è il dovere più alto e
più sacro della Chiesa» (AG 29). Come vedremo, il Papa argentino ha dato nuova
spinta a questa istituzione, che ha definito come «una delle più preziose
eredità del Concilio Vaticano II»[10].
D’altra
parte, è importante aggiungere un altro dato che ci avvicina alla biografia di
Francesco: la sinodalità latinoamericana. Bergoglio proviene da una tradizione
interpretativa del Vaticano II che scorre al ritmo della dinamica sinodale del
Consiglio episcopale latinoamericano (Celam) e delle sue conferenze generali di
Medellín (1968), Puebla (1979), Santo Domingo (1992) e Aparecida (2007). Come
presidente della Conferenza episcopale argentina, partecipò alla Conferenza di
Aparecida e vi fu eletto presidente della Commissione di redazione del
documento finale. Da Medellín ad Aparecida l’opzione per i poveri ha
contrassegnato la fisionomia della Chiesa latinoamericana e caraibica. Per la
teologia missionaria di Aparecida, l’evangelizzazione è la comunicazione della
vita piena in Cristo[11]. Le radici latinoamericane dell’Evangelii
gaudium e la novità di questo pontificato vanno ricercate nel
documento finale di quell’assemblea.
La
sinodalità nell’«Evangelii gaudium»
L’esortazione
apostolica Evangelii gaudium è un documento di teologia
pastorale, ovvero la disciplina che cerca di comprendere l’azione
evangelizzatrice della Chiesa alla luce della fede. Bergoglio l’aveva coltivata
in prima persona nei suoi anni di insegnamento[12]. In questo testo programmatico il Papa
ci rivolge «alcune linee che possano incoraggiare e orientare in tutta la
Chiesa una nuova tappa evangelizzatrice» (EG 17). Le ha tradotte nei seguenti
sette temi:
1. La
riforma della Chiesa in uscita missionaria.
2. Le
tentazioni degli operatori pastorali.
3. La
Chiesa intesa come la totalità del popolo di Dio che evangelizza.
4. L’omelia
e la sua preparazione.
5. L’inclusione
sociale dei poveri.
6. La
pace e il dialogo sociale.
7. Le
motivazioni spirituali per l’impegno missionario.
Francesco
segnalava immediatamente che questa scelta di temi era stata fatta «in base
alla dottrina della Costituzione dogmatica Lumen gentium». Come si
vede, in questo elenco di temi non compare la sinodalità.
In
realtà, nell’esortazione apostolica questa nozione appare expressis
verbis soltanto nel n. 246, là dove si parla dell’ecumenismo come
scambio di doni. Tuttavia la sinodalità, come una corrente sotterranea, ispira
sezioni molto importanti di questo documento[13]. Vanno in questa direzione le parole
pronunciate da Francesco nella prima intervista che concesse, nell’agosto 2013,
a p. Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica. In essa
appunto fece riferimento alla sinodalità. Riguardo alla cerimonia di
imposizione del pallio a 34 arcivescovi metropoliti, Francesco aveva definito
la «via della sinodalità» come la strada che porta la Chiesa unita a «crescere
in armonia con il servizio del primato». Alla domanda di p. Spadaro su quale
prospettiva ecumenica potesse avere questa considerazione, il Papa rispose: «Si
deve camminare insieme: la gente, i vescovi e il Papa. La sinodalità va vissuta
a vari livelli. Forse è il tempo di mutare la metodologia del Sinodo, perché
quella attuale mi sembra statica. Questo potrà anche avere valore ecumenico,
specialmente con i nostri fratelli ortodossi. Da loro si può imparare di più
sul senso della collegialità episcopale e sulla tradizione della sinodalità»[14].
Sulla
scorta di queste parole si comprende il già citato n. 246 dell’esortazione
apostolica e se ne può dedurre che non si tratta di affermazioni isolate: al
contrario, la sinodalità impregna la nozione della Chiesa espressa nel
documento programmatico di Francesco. In effetti, nel capitolo primo, che parla
della «trasformazione missionaria della Chiesa» (EG 19-49) e propone «un
improrogabile rinnovamento ecclesiale» (EG 27), ricorrono tutte quelle
strutture ecclesiali in cui si attua la comunità cristiana: la parrocchia (EG
28), le comunità di base, i movimenti e altre forme di associazione (EG 29), la
Chiesa particolare diocesana (EG 30-31), le Conferenze episcopali e le
strutture centrali e del papato della Chiesa universale (EG 32). Queste
strutture, che corrispondono ai diversi livelli di esercizio della sinodalità,
sono chiamate a una conversione pastorale e missionaria secondo il cuore del
Vangelo, soprattutto alla luce della forma basilare di sinodalità, ritratta
nella metafora ecclesiologica fondamentale di una «Chiesa in uscita» (EG
20-23). Francesco descrive questa nozione di Chiesa come «comunità
evangelizzatrice», come «la comunità di discepoli missionari che prendono
l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano»
(EG 24). Qui troviamo l’aspetto essenziale della vocazione sinodale del popolo
di Dio; in una parola, una «Chiesa in uscita» è, nella «dinamica dell’esodo e
del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo,
sempre oltre» (EG 21), una «Chiesa sinodale».
Questa
lettura in chiave sinodale del primo capitolo dell’Evangelii gaudium è
corroborata dalle riflessioni dedicate alla Chiesa particolare diocesana come
«soggetto dell’evangelizzazione» (EG 30). Fra l’altro si afferma che «il vescovo
deve sempre favorire la comunione missionaria nella sua Chiesa diocesana
perseguendo l’ideale delle prime comunità cristiane, nelle quali i credenti
avevano un cuore solo e un’anima sola (cfr At 4,32)» (EG 31).
Qui ritorna l’idea del «cammino»: «Perciò, a volte si porrà davanti per
indicare la strada e sostenere la speranza del popolo, altre volte starà
semplicemente in mezzo a tutti […] e in alcune circostanze dovrà camminare
dietro al popolo, per aiutare coloro che sono rimasti indietro e – soprattutto
– perché il gregge stesso possiede un suo olfatto per individuare nuove
strade». Subito dopo Francesco affida al vescovo l’incarico di stimolare e
ricercare «la maturazione degli organismi di partecipazione proposti dal Codice
di diritto canonico e di altre forme di dialogo pastorale, con il desiderio di
ascoltare tutti» (EG 31). Tra questi organismi, il Papa cita, in una nota, i
canoni riguardanti il sinodo diocesano, il consiglio presbiterale, il consiglio
pastorale diocesano, il consiglio pastorale e il consiglio economico
parrocchiale.
La
cornice generale di riferimento per questa visione della Chiesa è la «teologia
argentina del popolo di Dio»[15] nella sua lettura
dell’ecclesiologia del Vaticano II. Essa appare nella prima sezione del
capitolo terzo – dove si sviluppa la concezione della Chiesa come popolo di Dio
evangelizzatore (EG 111-134) –, che si apre con questa dichiarazione: «Questo
soggetto dell’evangelizzazione è ben più di una istituzione organica e
gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio. Si tratta
certamente di un mistero che affonda le sue radici nella
Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed
evangelizzatore» (EG 111; il corsivo è nostro). In questa sezione Francesco dà
corso alla sua nozione preferita di Chiesa – «santo popolo fedele di Dio»[16] –, fondata sull’idea del sensus
fidei e sull’infallibilità del popolo di Dio nel credere, proposta nel
n. 12 della costituzione Lumen gentium. Citiamo qui il passo
decisivo che mostra la realtà di una Chiesa sinodale, di «discepoli
missionari»: «In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza
santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è
santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in
credendo”. Questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non
trova parole per esprimere la sua fede. Lo Spirito lo guida nella verità e lo
conduce alla salvezza. Come parte del suo mistero d’amore verso l’umanità, Dio
dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei –
che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello
Spirito concede ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine e una
saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano
degli strumenti adeguati per esprimerle con precisione» (EG 119).
Tramite
il senso soprannaturale della fede, il popolo di Dio è vero soggetto
evangelizzatore che cammina nel cuore della storia umana. Alla luce di questa
comprensione missionaria della Chiesa va letto e annunciato il messaggio del
Vangelo con le sue chiare ripercussioni comunitarie e sociali. Francesco ha
dedicato un’importante sezione del capitolo quarto della sua esortazione
all’inclusione sociale dei poveri (EG 186-216) e al posto privilegiato che essi
occupano nel popolo di Dio (EG 197-201). Che cosa ha a che vedere con la
sinodalità l’opzione preferenziale per i poveri? La comunità evangelizzatrice,
che è la Chiesa sinodale in uscita, «vive un desiderio inesauribile di offrire
misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre
[…]. Accompagna l’umanità in tutti i suoi processi» (EG 24). Questa Chiesa
missionaria deve arrivare a tutti: «Però chi dovrebbe privilegiare? […] Oggi e
sempre, “i poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo”» (EG 48). In un
altro passo Francesco ne propone la giustificazione teologica, ricorrendo a
parole di Benedetto XVI: questa opzione per i poveri «è implicita nella fede
cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci
mediante la sua povertà» (EG 198)[17].
La
sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa
Nelle
sessioni di dibattito precedenti il conclave che ha poi eletto papa Jorge Mario
Bergoglio, la domanda di maggiore collegialità era sulla bocca di molti
cardinali. Prontamente il nuovo Papa, sulle orme dei suoi predecessori, ha
ripreso il cammino sinodale, convocando una doppia assemblea – ordinaria e
straordinaria – sul tema della famiglia e del matrimonio, dove si è subito
messo in luce un nuovo stile più partecipativo del Sinodo, in relazione sia al
collegio episcopale sia al popolo di Dio. In questo senso vanno segnalate varie
novità procedurali, come la decisione di rimpiazzare i Lineamenta con
un questionario sulle questioni scottanti della vita coniugale e familiare,
rivolto a tutti i fedeli.
A
partire dalle risposte pervenute alla segreteria del Sinodo è stato elaborato
l’Instrumentum laboris. Ciascuna assemblea ha prodotto un proprio
documento finale, e sono state rese pubbliche le votazioni su ogni articolo e
sul documento nel suo insieme. Sono cambiati anche altri aspetti, oltre a
quelli metodologici. Il teologo Dario Vitali ha messo in risalto un elemento di
fondo che ha contribuito a cambiare il clima in cui si è svolto il Sinodo,
ovvero la disponibilità all’ascolto: «Ascolto di Dio, fino ad ascoltare con lui
il clamore del popolo; ascolto del popolo, fino a respirare con esso la volontà
a cui Dio ci chiama»[18]. Erano giorni in cui la segreteria del
Sinodo stava lavorando alla teoria e alle modalità della celebrazione del
Sinodo[19].
Il
17 ottobre 2015, mentre era in corso la XIV Assemblea generale ordinaria del
Sinodo dei vescovi, Francesco, ispirandosi al cinquantesimo anniversario
dell’istituzione, ha dichiarato: «Fin dall’inizio del mio ministero come
vescovo di Roma ho inteso valorizzare il Sinodo, che costituisce una delle
eredità più preziose dell’ultima assise conciliare». Ha aggiunto: «Quello che
il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola
“Sinodo”. Camminare insieme – laici, pastori, vescovo di Roma – è un concetto
facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica». In
tale contesto ha ricordato questa affermazione di san Giovanni Crisostomo:
«“Chiesa e Sinodo sono sinonimi” perché la Chiesa non è altro che il “camminare
insieme” del gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore»[20]. Nel discorso di Francesco venivano
delineati i tratti essenziali di una «Chiesa sinodale».
Chiesa
dell’ascolto e senso soprannaturale della fede («sensus fidei»)
Francesco
si rifaceva alle parole del Concilio Vaticano II, che descrivono il popolo di
Dio come la totalità dei battezzati, «chiamati a formare una dimora spirituale
e un sacerdozio santo» (cfr LG 10), e sottolineava che «la totalità dei fedeli,
avendo l’unzione che viene dal Santo (cfr 1 Gv 2,20.27),
non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il
senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando “dai vescovi fino
agli ultimi fedeli laici” mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di
morale (cfr LG 12)»[21].
Il
Papa illustrava questa idea richiamandosi a quanto già aveva scritto nell’Evangelii
gaudium (cfr EG 119-120) sulla santità del popolo di Dio in virtù
dell’unzione dello Spirito, aggiungendo nuovi elementi di riflessione: «Il
Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in
credendo” (cfr EG 119), [perché] ciascun battezzato, qualunque sia la sua
funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto
attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di
evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del
popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni» (cfr EG 120).
Il sensus fidei impedisce di separare rigidamente tra Ecclesia
docens ed Ecclesia discens, giacché anche il gregge
possiede un proprio “fiuto” per discernere le nuove strade che il Signore
dischiude alla Chiesa». E concludeva così: «Una Chiesa sinodale è una Chiesa
dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare “è più che sentire” (cfr EG
171)».
In
quel discorso Francesco proponeva «un ascolto reciproco in cui ciascuno ha
qualcosa da imparare. Popolo fedele, collegio episcopale, vescovo di Roma:
l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo
“Spirito della verità” (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli “dice
alle Chiese” (Ap 2,7)».
Francesco
ne traeva immediatamente una conseguenza significativa: «Il Sinodo dei vescovi
è il punto di convergenza di questo dinamismo di ascolto condotto a tutti i
livelli della vita della Chiesa». In altre parole, l’intera vita della Chiesa è
attraversata dalla sinodalità come stile e come processo che non si esaurisce
nelle assemblee sinodali, ma appartiene all’essere stesso della Chiesa.
Tappe
e livelli del cammino sinodale
Il
Papa ci indica anche le tappe di questo dinamismo di ascolto e di comunione in
seno a una Chiesa sinodale: «Il cammino sinodale inizia ascoltando il popolo
[…]. Il cammino del Sinodo prosegue ascoltando i pastori. […] Il cammino
sinodale culmina nell’ascolto del vescovo di Roma». In questo processo c’è un
dato veramente nuovo che va evidenziato: il cammino sinodale prende le mosse
dal popolo di Dio. La ragione è che esso «pure partecipa alla funzione
profetica di Cristo» (cfr LG 12). Qui si radica, essenzialmente, il motivo per
cui i Sinodi sulla famiglia e sui giovani devono essere preparati consultando
il popolo di Dio. In questo modo, spiega Francesco, si attua «un principio caro
alla Chiesa del primo millennio: Quod omnes tangit ab omnibus tractari
debet»[22]. Di conseguenza vengono riconosciute la
capacità attiva e la condizione di soggetto del popolo di Dio, accanto agli
altri due soggetti – pastori e vescovo di Roma –, che svolgono funzioni
specifiche[23].
Livelli
dell’esercizio della sinodalità
Un
aspetto correlativo a questi tre soggetti, con le loro tre funzioni specifiche
– profezia, discernimento, attuazione –, è la considerazione dei tre livelli
nell’esercizio della sinodalità. Il primo riguarda le Chiese particolari, nelle
quali è necessario ravvivare il processo di partecipazione attraverso gli
«organismi di comunione» previsti nel Codice di diritto canonico, a cominciare
dal Sinodo diocesano (cc. 460-468) e proseguendo con il consiglio presbiterale,
il collegio dei consultori, il capitolo dei canonici e il consiglio pastorale
(cc. 495-514).
Il
secondo livello riguarda le province e le regioni ecclesiastiche, i Concili
particolari e, in modo speciale, le Conferenze episcopali (cc. 431-459).
Attraverso questi organismi, in quanto «istanze intermedie della collegialità»,
si possono fare passi avanti verso un salutare decentramento della Chiesa (come
il Papa aveva già affermato in EG 32).
L’ultimo
livello riguarda la Chiesa universale, dove il Sinodo dei vescovi,
«rappresentando l’episcopato cattolico, diventa espressione della collegialità
episcopale all’interno di una Chiesa tutta sinodale».
Sinodalità
come cornice interpretativa del ministero gerarchico
Questa
riflessione sul Sinodo dei vescovi delinea il paradigma di una Chiesa sinodale,
che sfocia in questa affermazione decisiva: «La sinodalità, come dimensione
costitutiva della Chiesa, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per
comprendere lo stesso ministero gerarchico». In questo contesto la Chiesa
sinodale si presenta come una «piramide capovolta», applicata al collegio
apostolico, a ogni vescovo particolare a allo stesso vescovo di Roma, la cui vocazione
consiste nel servizio del popolo di Dio[24].
In
questa logica di servizio, bisogna sempre ricordare che, «per i discepoli di
Gesù, ieri oggi e sempre, l’unica autorità è l’autorità del servizio, l’unico
potere è il potere della croce: […] “chi vuole essere il primo tra voi, sarà
vostro schiavo” (Mt 20,25-27)». Pertanto il Papa conclude così:
«Una Chiesa sinodale è come vessillo innalzato tra le nazioni (cfr Is 11,12)
in un mondo che […] consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani
avide di ristretti gruppi di potere. Come Chiesa che “cammina insieme” agli
uomini, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo il sogno che la
riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio
dell’autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella
giustizia e nella fraternità».
Un’ultima
osservazione: se finora Francesco aveva parlato della sinodalità ad
intra, riflettendo sul funzionamento interno della comunità ecclesiale,
nella conclusione della sua riflessione ha lasciato affiorare la sua
dimensione ad extra, vale a dire la dinamica missionaria della
Chiesa nel mondo.
La
dimensione missionaria della sinodalità appare in maniera speciale nell’ultima
enciclica di Francesco, Fratelli tutti (2021), dove si auspica
una fratellanza universale. Una Chiesa sinodale, in cui camminare assieme, si
trasforma nel migliore riflesso di tale proposta, nella sua fotografia vivente.
Pertanto la sinodalità non riguarda esclusivamente le questioni
intraecclesiali, ma fa parte della relazione tra la Chiesa e il mondo,
comprendente un dinamismo che va dalla sinodalità alla fraternità, poiché il
popolo di Dio, nel suo camminare storico, vuole condividere con tutti – di
altre religioni, convinzioni e culture – la luce del Vangelo.
La
riforma del Sinodo dei vescovi nell’«Episcopalis communio» (2018)
Dal
2014 al 2017 la Commissione teologica internazionale ha elaborato un documento
sulla sinodalità, La sinodalità nella vita e nella missione della
Chiesa, a cui abbiamo già fatto riferimento all’inizio. Questo testo
intende presentare princìpi teologici e orientamenti pastorali per praticare
una Chiesa sinodale. In realtà, «sinodalità» designa primariamente una maniera
peculiare di vivere e di operare nella Chiesa, popolo di Dio in cammino, in
fraternità di comunione e in corresponsabilità, prima ancora di configurarsi in
processi e strutture canonici e in eventi sinodali (cfr n. 70).
L’ordine
dei capitoli obbedisce a questa falsariga: il capitolo 1 «risale alle fonti
normative della Sacra Scrittura e della Tradizione per mettere in luce il
radicamento della figura sinodale della Chiesa nel dispiegarsi storico della
Rivelazione». Il capitolo 2 si occupa dei «fondamenti teologali della
sinodalità in conformità alla dottrina ecclesiologica del Vaticano II». Il
capitolo 3 offre orientamenti pastorali «in riferimento all’attuazione concreta
della sinodalità ai vari livelli, nella Chiesa particolare, nella comunione tra
le Chiese particolari in una regione, nella Chiesa universale». Infine, il
capitolo 4 offre orientamenti pastorali «in riferimento alla conversione
spirituale e pastorale e al discernimento comunitario e apostolico richiesti
per un’autentica esperienza di Chiesa sinodale».
Questo
documento costituisce un tentativo di coniugare la nozione di sinodalità con i
concetti fondamentali di collegialità e di comunione. La sinodalità, dice il n.
7 (cfr n. 66), significa «il coinvolgimento e la partecipazione di tutto il
popolo di Dio alla vita e alla missione della Chiesa», mentre «il concetto di
collegialità» si riferisce alla «forma specifica in cui la sinodalità
ecclesiale si manifesta e si realizza attraverso il ministero dei vescovi sul
livello della comunione tra le Chiese particolari in una regione e sul livello
della comunione tra tutte le Chiese nella Chiesa universale». Pertanto ogni
manifestazione di sinodalità esige l’esercizio del ministero collegiale dei
vescovi.
Pochi
mesi dopo la diffusione di questo documento Francesco ha pubblicato la
costituzione apostolica Episcopalis communio, in cui viene
compendiato il suo sforzo per collegare sinodalità e Sinodo dei vescovi[25]. Questo testo costituisce una revisione
e un’attualizzazione dell’ Apostolica sollicitudo, avvalorando
l’istituzione messa in opera da Paolo VI come «una delle più preziose eredità
del Concilio Vaticano II», «nuovo nella sua istituzione ma antichissimo nella
sua ispirazione» (EC 1). Il rinnovamento del Sinodo voluto da Francesco
richiede che si avviino processi consultivi, in modo da rendere più presenti i
laici e le loro voci. Come abbiamo già avuto modo di notare, una Chiesa
sinodale è «una Chiesa dell’ascolto» e ogni prassi sinodale «inizia ascoltando
il popolo», «prosegue ascoltando i pastori» e «culmina nell’ascolto del vescovo
di Roma».
Se
la collegialità è al servizio della sinodalità, «il Sinodo dei vescovi deve
sempre più diventare uno strumento privilegiato di ascolto del popolo di Dio».
Pertanto, diviene indispensabile il processo consultivo che coinvolge tutte le
Chiese particolari (cfr EC 7). A esso deve far sèguito un «discernimento da
parte dei pastori», che, attenti al sensus fidei del popolo di
Dio, devono essere capaci di percepire le indicazioni dello Spirito,
distinguendole «dai flussi spesso mutevoli dell’opinione pubblica» (EC 7). La
costituzione apostolica ha delineato una nuova normativa, disegnando una prassi
sinodale in tre fasi: preparazione, celebrazione e applicazione del Sinodo dei
vescovi.
La
sinodalità non si può dispiegare a tutti i livelli senza il servizio della
presidenza esercitata, al livello della Chiesa universale, dal vescovo di Roma
(cfr EC 10). Nel corso di questa rivisitazione del cammino sinodale del Papa si
è man mano delineata nitida l’impronta di una ferma volontà favorevole a un
esercizio sinodale e diaconale dell’autorità papale, a «un primato
dell’ascolto» in una «Chiesa costitutivamente sinodale»[26].
Conclusione:
«Il cammino non c’è, lo si fa camminando»
Il
Papa ha fissato per tutta la Chiesa una prossima meta, che possiamo esprimere
con i celebri versi di Antonio Machado: Caminante, no hay camino, se
hace camino al andar («Viandante, il cammino non c’è, lo si fa
camminando»). È la spinta della sinodalità, che viene da molto lontano. Alcune
parole di Francesco ci indicano ancora la rotta e il compito, il passato più
recente e la speranza per il futuro: «Il Concilio Vaticano II ha segnato un
importante passo nella presa di coscienza che la Chiesa ha sia di se stessa sia
della sua missione nel mondo contemporaneo. Questo cammino, iniziato più di
cinquant’anni fa, continua a spronarci nella sua ricezione e sviluppo, e non è
ancora giunto a termine, soprattutto rispetto alla sinodalità che si deve
operare ai diversi livelli della vita ecclesiale (parrocchia, diocesi,
nell’ordine nazionale, nella Chiesa universale, come pure nelle diverse
congregazioni e comunità)»[27].
Concludiamo
con una sottolineatura del duplice obiettivo della sinodalità: da una parte,
sulla linea missionaria tracciata dall’Evangelii gaudium, «l’obiettivo
di questi processi partecipativi non sarà principalmente l’organizzazione
ecclesiale, bensì il sogno missionario di arrivare a tutti» (EG 31);
dall’altra, sulla linea della diaconia sociale rilanciata nelle
encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti, la
sinodalità aspira a costruire un popolo, una comunità fraterna e missionaria al
servizio del bene comune della società e della cura della casa comune.
La
Civiltà Cattolica - Quaderno
4111 - pag. 17 – 33 -Anno 2021 - Volume IV
2
Ottobre 2021
Immagine: https://www.latitudeslife.com/2017/03/primavera-pellegrini-in-cammino/
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