"Si avverte il bisogno di incontrarsi e di vedersi in volto, di sorridere e di progettare, di pregare e sognare insieme». Non siamo organizzatori di convegni: siamo la Chiesa che sente la stagione che viviamo come un’occasione inimmaginabile per essere se stessa ancor più di prima. E mai solo per se stessa. È l’alba del seminatore. Ed è chiaro qual è il campo che ci attende.
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di FRANCESCO OGNIBENE
Quanto
sia prezioso ritrovarsi si fa chiaro quando succede davvero. È così, e non c’è
crisi in grado di far fuori questa umana realtà: nulla vale l’incontro diretto,
l’occasione per vedersi, l’abbraccio forse solo accennato, in ossequio alle
prudenze sanitarie, lo scambio diretto (e vigoroso) di idee e di esperienze.
C’è
in questa stagione di ripresa cauta; eppure, ogni giorno più convinta la felice
constatazione che siamo ancora noi, vivi e inquieti, in cerca degli altri e di
noi stessi. Di progetti, di amici, di interlocutori seri.
Abbiamo
ancora bisogno di condividere quel che ci preme, l’impegno che muove la vita.
Vedersi tra chi sente di dover dare corpo a speranza e futuro, cercandone
intanto i germogli dovunque spuntino, è indispensabile soprattutto per non
pensarsi isolati, forse illusi, campioni di navigazione solitaria e vana, e
sapersi viceversa dentro un cammino che è di tanti con lo stesso sguardo di
attesa del meglio ancora da venire. Incontrarsi, allora, è necessario semmai
più di prima.
Della
Settimana sociale nazionale di Taranto, dunque, c’era un gran
bisogno, proprio ora che si riprende la strada. Ora che il Paese
si rimette in piedi, che la Chiesa avvia l’esperienza sinodale, ora
che si aggrovigliano segnali di fiducia e di
incertezza,
idee e sogni con ferite che restano e altre che si aprono. Ora che ovunque si
avverte la fretta di lasciarsi la notte alle spalle: proprio ora bisogna
ritrovarsi, rivedere volti e vite che ci sono familiari, fare nuove conoscenze
tra chi percorre la nostra stessa strada, magari con altro ritmo e stile, forse
con una diversa mappa tra le mani.
C on
una meta comune, però: dovunque si può, «proporre percorsi di cambiamento
duraturi», per dirla con l’espressione che il Papa ha affidato ai 670 delegati
dalle diocesi di tutta Italia convenuti nella città pugliese, purtroppo segnata
da anni di sviluppo e di crisi ugualmente insostenibili. In quattro parole ha
tracciato un intero programma per oggi e domani. E un buon motivo per non
perdersi di vista, perché la pandemia ci ha spiegato a modo suo che sentirci ed
essere una comunità variegata e viva è la condizione per affrontare ogni prova
e preparare un futuro abitabile.
Da Taranto la Chiesa italiana sta dicendo al Paese che serve tornare a guardarsi negli occhi, ma davvero, perché la tecnologia digitale – che pure sta ancora dando una mano a non lasciar smagliare il tessuto ecclesiale e civile – va usata bene (e non va lasciata a chi la usa male), ma mai potrà comunicare la gioia generativa di chi si ritrova dopo mesi di obbligati contatti a distanza. E il primo appuntamento in Italia allestito dopo la stagione dei lockdown da una 'grande organizzazione' diffusa e davvero popolare, con centinaia di partecipanti in rappresentanza di milioni e milioni di 'partecipi', è un segnale potente di fiducia. Un modo per dire forte e chiaro, da cattolici e da cittadini, 'bentornato, domani', e 'benvenuti, in un tempo d’impegno'.
Rimettersi
in marcia è molto ma non è tutto: serve farlo con coraggio e ambizione di bene,
e farlo insieme, sentendosi responsabili degli altri, facendo posto a chi non
ne aveva mai avuto. Non è la stagione dell’indifferenza, né di quella libertà
tutta a scartamento individuale che ci vogliono far bere come buona. Non c’è
più spazio per parole vuote. Non può essere il tempo dell’apatia e della delega
di pensieri e fatti, come se altri potessero prendere il nostro posto. Se non
ci siamo, semplicemente mancherà quel che potevamo dare. Che è molto. E forse
neppure abbiamo idea di quanto può servire.
Ecco
perché è così necessaria Taranto, e il suo clima sociale e ambientale. Giorni
insperati, e invece eccoci di nuovo a cercare l’orizzonte insieme. «Questo
appuntamento ha un sapore speciale – ha detto il Papa ai delegati –. Si
avverte il bisogno di incontrarsi e di vedersi in volto, di sorridere e di
progettare, di pregare e sognare insieme». Non siamo organizzatori di convegni:
siamo la Chiesa che sente la stagione che viviamo come un’occasione
inimmaginabile per essere se stessa ancor più di prima. E mai solo per se
stessa. È l’alba del seminatore. Ed è chiaro qual è il campo che ci
attende.
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