Da “Cuore di Tenebra”
a “Paradise”
perché il Nobel a Gurnah
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di Luigi Saanlorenzo
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Per
oltre due secoli l’immaginario collettivo è stato influenzato dall’intramontato
racconto di Joseph Conrad “Cuore
di Tenebra” pubblicato in inglese nel 1899 e tradotto in italiano nel 1924,
cui si ispirò nel 1979 il capolavoro di Francis Ford Coppola “Apocalypse Now”,
ambientando la vicenda durante la guerra del Vietnam.
Com’è
noto, nel romanzo si narra la vicenda della ricerca del commerciante d’avorio
Kurtz sulle cui tracce si mette il narratore Charles Marlowe, abilitando Conrad
a tracciare un parallelismo tra Londra e l’Africa come luogo paradigmatico
d’oscurità che avvolge molti territori persino nella “civilissima” Europa.
Di
ritorno da uno dei suoi viaggi in Estremo Oriente, un giorno, nella
vetrina di un negozio, Marlowe aveva visto la mappa el Congo. La cosa che più
l’aveva colpito era il percorso di un grande fiume «somigliante a un immenso
serpente srotolato, con la testa nel mare…la coda perduta nelle profondità del
territorio». Era il fiume del viaggio che di lì a poco avrebbe intrapreso.
Addentratosi nel fiume – anche se i nomi del fiume, dei luoghi e della foresta
non sono mai esplicitati – in un lungo itinerario, a bordo di uno sgangherato
vaporetto, dalla costa al centro, al luogo nel quale la coda del serpente si
perde, Marlow compie una discesa in un’oscurità ben più profonda della funerea
oscurità che avvolge il Tamigi, dove almeno i fanali permettono di individuare
navi, il porto perduto nella nebbia, conducendo lo sguardo a un paesaggio
conosciuto.
Romanzo/manifesto
del colonialismo e dei suoi “orrori” l’opera ha mantenuto nel tempo l’Africa
confinata in una sorta di non luogo dove alla rapacità degli sfruttatori occidentali
corrisponde la passività dei nativi, quasi a giustificare la liceità della
conquista, spacciata per civilizzazione.
Quasi
duecento anni dopo, tale prospettiva viene ribaltata dal libro Paradise di
Abdulrazak Gurnah pubblicato nel 2004 ed al cui autore è stato assegnato ieri
il Premio Nobel per la Letteratura 2021.
Come
spiega l’Accademia Reale, “Paradise” «è un racconto di formazione e
una triste storia d’amore in cui mondi e sistemi di credenze diversi
scontrarsi». Il tratteggio dei rifugiati, la tristezza e la
disperazione descritta e poi ancora l’attenzione sull’identità sono
gli elementi caratteristici delle opere di Gurnah: «I personaggi si trovano
in uno iato tra culture e continenti, tra una vita che era e una vita
emergente; è uno stato insicuro che non potrà mai essere risolto»,
sottolinea l’Accademia del Nobel nel conferire il premio, «rompe
consapevolmente con le convenzioni, capovolgendo la prospettiva coloniale per
evidenziare quella delle popolazioni indigene. Così, il suo romanzo ‘Desertion‘
(2005) su una storia d’amore diventa una netta contraddizione con quello che ha
chiamato “il romanzo imperiale”». Ed è questa una netta presa di posizione
degli Accademici svedesi, che non a caso, con questo premio hanno posto
l’accento sull’emergenza mondiale dei migranti.
Lo
scrittore tanzaniano naturalizzato britannico Abdulrazak Gurnah è nato
nell’isola di Zanzibar nel 1948 e dal 1968 vive in Inghilterra, dove dapprima
andò per studiare per poi diventare professore di letteratura inglese all’Università
del Kent; come studioso si è dedicato a ricerche sulla narrativa postcoloniale
e alle questioni associate al colonialismo, specialmente per quanto riguarda
l’Africa. Considerato uno dei più brillanti autori della letteratura
africana post coloniale, è autore di acclamati romanzi come “Il disertore”, il
già citato “Paradiso”considerato il suo capolavoro e “Sulla riva del mare” del
2005, tutti pubblicati in italiano da Garzanti.
Il
racconto segue la storia di Yusuf, un ragazzo nato nella città immaginaria di
Kawa in Tanzania all’inizio del XX secolo. Il padre è un albergatore
indebitato con il ricco e potente mercante arabo Aziz. All’inizio della storia
Yusuf è ceduto ad Aziz dal padre per pagare quanto dovuto e deve lavorare
gratuitamente per il mercante e si unisce ad una carovana commerciale che
viaggia in buona parte dell’Africa Centrale e del Congo, incontrando l’ostilità
delle tribù locali, delle belve della savana e le asperità del territorio.
Al
rientro in Africa orientale, scoppia la Prima Guerra mondiale ed Aziz entra in
contatto con l’esercito tedesco che controllava la Tanzania, arruolando a forza
gli africani nel proprio esercito coloniale. Yusuf conosce la morte e la
violenza e impara le difficili regole di convivenza di un mondo sull’orlo del
conflitto, dove musulmani, missionari cristiani e indiani coesistono in un
fragile equilibrio. Al ritorno è un altro: un giovane robusto e avvenente. È
ancora schiavo, ma a dargli la libertà del cuore c’è l’amore, quello per la
giovane ancella della padrona, Amina. Ma la ragazza cela un terribile segreto
e, mentre il colonialismo europeo stringerà le sue maglie sul continente
africano, Yusuf capirà il cammino che dovrà intraprendere.
Il
libro avrà un seguito con il romanzo più recente di Gurnah, “Afterlives”
pubblicato nel settembre del 2020 e che riprende dove finisce Paradise.
E, come in quell’opera, l’ambientazione è all’inizio del XX secolo, nel periodo
recedente la fine della colonizzazione tedesca dell’Africa orientale.
Hamza,
un giovane che ricorda Yusuf in Paradise, è costretto a fare la guerra ai
tedeschi e diventa dipendente da un ufficiale che lo sfrutta sessualmente.
Ferito in uno scontro interno tra soldati tedeschi, viene lasciato in cura in
un ospedale da campo. Ma quando torna al suo paese natale sulla costa, non
trova né famiglia né amici. I venti capricciosi della storia dominano e come in
Desertion seguiamo la trama attraverso diverse generazioni, fino al piano
non realizzato dei nazisti per la ricolonizzazione dell’Africa orientale. L’epilogo
è scioccante e tanto inaspettato quanto allarmante. Ma di fatto lo stesso
pensiero ricorre costantemente nel libro: l’individuo è indifeso se l’ideologia
regnante – in questo caso, il razzismo – esige sottomissione e sacrificio.
Il
valore del conferimento del Premio Nobel a Gurnah non è solo letterario ma
rappresenta una straordinaria attenzione all’attualità del tema dell’Africa e
del nuovo colonialismo che la sta interessando, nel roboante silenzio
dell’Unione Europea, di cui ho scritto in occasione della sanguinaria
esecuzione dell’ambasciatore
italiano in Congo, Luca Attanasio, e che i miei lettori dello Spessore
ricorderanno.
Nelle
già fredde regioni della Scandinavia, da sempre in prima linea nelle missioni
umanitarie nei paesi in via di sviluppo, sembra proprio che il cuore batta piu
forte e generoso che da noi!
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