caduto in terra muore,
produce molto frutto.
Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 12,20-33
Morirà, piuttosto che rinnegare il volto del Padre. Allora
parla di fecondità. Di seme che deve morire per portare frutto. La gloria, la
presenza di Dio, la shekinah, si manifesterà in Gesù, quando donerà
definitivamente la sua vita. Il cuore dell’annuncio di Gesù non è la morte, ma
il portare frutto. Ci sono gesti che apparentemente sono un fallimento ma che,
invece, sono gravidi di vita e di futuro. Come la croce che non è un grande
dolore, ma un grande dono di sé.
Donare la vita
Gesù parla di odiare questa vita per
conservarla per l’eternità. Brutta traduzione. Gesù sta dicendo che esiste una
vita più intensa nascosta in questa nostra vita. Una vita che è riflesso
dell’Eterno. Una vita che si manifesta quando finalmente entriamo nella logica
del dono, del servizio. Servi della felicità altrui. Servi come Filippo e
Andrea che portano i greci ad incontrare Gesù.
Non è facile donare la vita. Non è facile diventare dono. In
perenne bilico fra un narcisismo innalzato a regola di vita e un servilismo
strisciante vestito da umiltà, donare la vita è una lotta continua, un
equilibrio difficile che solo alla luce dello Spirito Santo possiamo
realizzare.
E che Gesù realizza come mai nessuno prima di lui. Libero.
Senza rancore. Senza rabbia. Senza pianti. Senza recriminazioni. Libero di
donare senza aspettarsi nulla in cambio.
Questo significa seguire il Nazareno, questo significa
diventare discepoli.
Turbamento
Ma non è una scelta semplice, quella del dono. Né eroica. Né
devota. È sangue e fango. È paura e tentennamento. Gesù è turbato, e lo dice. E
vorrebbe non arrivare fino a questo punto, fino al marcire in terra. Tentenna,
parla ad alta voce, vorrebbe essere salvato dalla tenebra che si staglia
all’orizzonte. Ma si fida di Dio. Si fida del Padre. Sia Lui a decidere. Sia
Lui. Se questo manifesta la gloria agli uomini, sia. Accada.
Quella croce, quel dono, quel Dio osteso e osceno, quella
brutale sconfitta esprime pienamente la logica del Padre. Che ama fino a
morirne. Mi rattrista questo Vangelo. Perché vedo il dolore del Signore. Mi
consola questo Vangelo. Perché vedo il dolore del Signore. Che è il mio. Che è
esattamente il mio.
Se Gesù ha avuto paura, cosa ho da temere? Perché mai dovrei
nascondere le mie fragilità e fingere di essere ciò che non sono: forte. Deciso
a donare, sì. Ma pavido e vigliacco. Desideroso di essere discepoli, ovvio, ma
spesso chiedo di essere salvato dalla terra umida e buia. Ma da questa terra
Gesù sarà innalzato. E tutti volgeranno lo sguardo. Lo alzeranno. Noi siamo i
frutti di quel seme. Io. Tu.
Noi siamo frutto di quel dono.
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