Contro la catastrofe educativa serve una risposta da adulti
Scuole, famiglie, parrocchie, associazioni: è il momento di fare un vero gioco di squadra, costruire un’alleanza mettendo al centro il benessere di giovani e bambini
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di LELLO PONTICELLI*
«Catastrofe educativa. Non si può rimanere inerti». Così
titolava domenica scorsa 'Noi', il supplemento familiare di 'Avvenire'.
L’espressione è del Papa ed è molto forte, quasi un 'grido' sull’urgenza
dell’ora. Nessuno sia sordo. Dopo la 'scossa' c’è bisogno della 'riscossa'. E
questa non può avvenire in ordine sparso, ma ha bisogno di una vera e propria
'Alleanza' educativa, soprattutto tra le persone adulte, qualunque sia il loro
ruolo nella vita. Un’alleanza tra adulti e 'adulta' essa stessa, che sa perciò
coinvolgere come protagonisti i giovani, i ragazzi, i bambini e perciò le
scuole, le famiglie, le parrocchie, le associazioni, gli oratori, tutte le
agenzie educative! E un vero 'gioco di squadra', prevede di passare la palla
anche ai nonni e agli anziani: altro che emarginarli! E chi custodirebbe i
sogni?!
Ma torniamo per un attimo alla 'catastrofe' educativa:
insieme alla pandemia è la quaresima-quarantena dell’umanità. Il Papa, come
'Giona', chiama a raccolta tutti ad accogliere l’appello a convertirsi,
appunto, ad un nuovo e globale patto educativo. Cari amici adulti, vogliamo
ancora 'traccheggiare'? Questa è l’ora della responsabilità, come non lo era da
tanto tempo; è l’ora della nostra genitorialità e della nostra ritrovata
generatività, dopo la sterilità e dopo aver esitato già troppo (cfr. articolo
di Alessandro Zaccuri su questo giornale, il 2 marzo, pag.7: «Adulti non
cresciuti senza responsabilità»). La nostra generazione ha lottato per
smantellare l’autoritarismo, ma purtroppo ha corroso ed esautorato anche il
principio di autorità, posto nelle nostre mani per aiutare a crescere. E così
abbiamo lasciato i ragazzi e i giovani più soli, in preda alle loro paure e ai
loro impulsi. È ora di fare autocritica, anche da parte di una certa cultura
'laica': come adulti post sessantottini alla Nanni Moretti di 'La Messa è
finita', abbiamo abbandonato il nostro ruolo propulsore, canalizzatore, di
orientamento e di motivazione.
Intanto il modello educativo che si è fatto
strada oscilla tra seduzione e nuove e più subdole coercizioni!
Spesso, come adulti, anche nelle nostre realtà di famiglia e di Chiesa,
facciamo come il pendolo: passiamo dall’abuso di potere, soprattutto affettivo
che collude con la fragilità affamata di paternità, all’essere compiacenti ad
oltranza, preoccupati di ottenere a tutti i costi il consenso dei no- stri
figli. Aveva purtroppo ragione chi già qualche anno fa scriveva: «Siamo
l’ultima generazione di figli che ha ubbidito ai propri genitori e la prima
generazione di genitori che ubbidisce ai propri figli» (A. Cencini). E qui sono
chiamati in causa tutti gli adulti, nessuno escluso. Lo smantellamento del
principio di autorità, come anche la mancanza di autorevolezza e di guida,
stanno continuando ad avere un effetto devastante nelle nuove generazioni e i
segnali sono sotto gli occhi di tutti: «L’epoca delle passioni tristi » di cui
scrivevano Miguel Benasayag e Gérard Schmit qualche anno fa è destinata a
dilatarsi oltre modo, se non si pone un argine. E l’argine non è certo
l’esercito o i rigurgiti di autoritarismo e repressione, ma è l’educare,
educare e ancora educare. Come adulti siamo chiamati a elaborare il
lutto della necessaria autocritica e il probabile senso del fallimento che ne
scaturisce, per riscoprire la bellezza e la gioia di educare: si, perché
educare è bello, anche se difficile; educare è possibile, come «guaritori
feriti»; e- ducare è prendere coscienza della complessità, ma riscoprendo
l’essenziale invisibile agli occhi distratti; educare è cosa del cuore e non
avviene senza conflitto, lotta, cadute, ricadute, ripartenze. Educare,
guardando a Dio educatore che ritrova sempre i suoi figli, pure in una «landa
di ululati solitari» e se ne prende cura (Dt 32,10). Di recente, a proposito
della pandemia e delle sue conseguenze, è stato detto: «Siamo in guerra», «è peggio
di una guerra»... ed in parte sono espressioni e metafore comprensibili anche
applicandole alla 'catastrofe educativa'. Se così, mentre cerchiamo di
resistere e di evitare il peggio, è il caso di pensare già al dopo, sognando il
meglio e preparandone l’avvento. Come? Avendo innanzitutto chiara coscienza che
le truppe per affrontare la ricostruzione le abbiamo già, anche se hanno
bisogno di riprendersi dalla batosta. Noi disponiamo già di un esercito
speciale, ben più grande, forte e numeroso di quello 'militare' che tanto
certamente ancora farà di buono in questi giorni difficili; ma è di questo
altro esercito di cui abbiamo bisogno.
Nel nostro Paese ci sono enormi risorse di
persone in gamba tra genitori, insegnanti,
catechisti, assistenti sociali, psicologi, educatori, preti,
allenatori, giovani volontari, donne e uomini di ogni età e ceto
sociale che vive con un altissimo senso del dovere la
propria quotidianità; ma ora questa quotidianità si è chiamati a viverla
con ritrovata passione e come una vera e propria 'missione educativa', con un
atteggiamento bello, altruistico, disinteressato, lungimirante, positivo,
creativo. E non dobbiamo più procedere in ordine sparso, ma tessendo 'reti
relazionali ed istituzionali' rispettose delle diversità di apporti e culture;
capillari, incarnate in ogni territorio e angolo d’Italia avendo tutti la
mentalità, l’approccio e lo stile dell’educatore di strada. Recuperiamo la
bussola dei valori: quelli creativi, mettendo
in gioco doni, qualità e talenti; quelli di esperienza, accogliendo
con gratitudine quanto la vita ci offre in bellezza, verità, arte, cultura,
fede, tradizione...; quelli di atteggiamento, imparando a
prendere posizione attiva e responsabile anche verso ciò che è ineluttabile e
non può cambiare ( V. Frankl). Ma soprattutto diamoci vicendevolmente
una botta di vita che ci fa superare l’aria di disfattismo, di rassegnazione,
smarrimento e di paura: riappropriamoci della speranza che abbatte le
illusioni, ma recupera i sogni; offriamo e testimoniamo speranza che aiuta a
dominare le voglie e lascia spazio ai desideri e ai progetti. Facciamo tutti
come Noè: tutti nella stessa barca in tempesta, tutti fratelli in mezzo al
diluvio, ma uniti a preparare la stessa 'arca' per un’umanità rinnovata dove la
colomba e il ramoscello d’ulivo già si intravedono. E come Chiesa, anche con
qualche falla umilmente da riconoscere e riparare con l’aiuto dal basso e
dall’Alto, prendiamo il largo, come la nuova arca dell’Alleanza, per accogliere
tutti, per remare insieme e confortarci a vicenda (Papa Francesco 27 marzo
2020): il segno dell’arcobaleno è già all’orizzonte.
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