La lettura fondamentalista e fanaticamente nazionalista che danno dei testi biblici personaggi come Ben-Gvir e i suoi sostenitori è un tradimento, non una conseguenza strutturale, dell’ebraismo.
L’aspetto
religioso della guerra d’Israele
Un
aspetto particolarmente inquietante, e forse per questo poco approfondito
dai media, nella drammatica escalation che in
questo ultimo anno e mezzo ha portato lo Stato d’Israele al centro delle
cronache, è quello religioso.
È
un dato di fatto che un ruolo decisivo nel governo Netanyahu hanno avuto e
continuano ad avere i partiti degli ebrei ortodossi, come «Potere
Ebraico», il cui leader, Itamar Ben-Gvir, noto per il suo estremismo, è il
ministro della Sicurezza e contribuisce in modo determinante ad assicurare
l’appoggio della maggioranza.
Sta
di fatto che sono questi partiti ad aver dato, a quella che inizialmente era
stata presentata come un’operazione difensiva, il carattere, ormai evidente a
tutti, di una spietata pulizia etnica se non, come sostengono molti, di un
vero e proprio genocidio. Ed è in nome della loro fede che essi perseguono il
progetto del “grande Israele”, che implica la coincidenza dello Stato ebraico
con la “terra promessa” di cui parla la Bibbia.
Che
di questo fattore si parli molto poco è comprensibile. Siamo così abituati
a identificare il fondamentalismo religioso con l’islam, che diventa
imbarazzante riconoscerlo in quelli che Giovanni Paolo II ha definito «i
nostri fratelli maggiori», i quali, per di più, invocano a loro
giustificazione la stessa Bibbia che costituisce un testo sacro per il
cristianesimo e che viene utilizzata quotidianamente nella liturgia delle Ore e
nella celebrazione eucaristica.
Eppure,
è indubbio che, ancor prima del 7 ottobre, ancor prima del governo Netanyahu,
si è via via verificata una trasformazione dello Stato ebraico in senso
religioso. La storica ebrea Anna Foa, nel suo recente libro Il suicidio
d’Israele, ha scritto che il suo fondatore, Ben Gurion, «laico
convinto», era persuaso che la religione si sarebbe presto estinta. «In
realtà è successo il contrario. I sionisti religiosi, fanatici della
grande Israele data da Dio al popolo ebraico, si sono moltiplicati grazie al
gran numero di figli, così come si sono moltiplicati gli ultra-ortodossi».
Ne
è risultato, secondo la Foa, un profondo cambiamento della originaria
prospettiva sionista: «Non era certo questa l’ideologia del sionismo delle
origini e nemmeno quella della formazione dello Stato». Sono stati gli sviluppi
politico-militari successivi alla sua nascita, nel 1948, che ne hanno cambiato
la fisionomia.
In
particolare, ella scrive, dopo la vittoria nella “guerra dei sei giorni” del
giugno 1967, «il sionismo subiva una vera e propria metamorfosi e si diffondeva
un diverso tipo di israeliano, un sionista religioso aggressivo e ispirato da
Dio a colonizzare tutta la terra di Israele. Sebbene al governo fossero i
laburisti, a partire dal 1967 iniziava nella West Bank occupata il fenomeno
degli insediamenti da parte dei gruppi estremisti messianici».
Il
trauma della violenza subìta il 7 ottobre 2023 ha contribuito a esasperare
questa tendenza. Constata la Foa: «Dopo il 7 ottobre l’attività di insediamento
si è moltiplicata (. . . ). I coloni sono ora quasi 700.000».
Così
come si è scatenata una campagna militare che, nata con l’intento di combattere
i terroristi di Hamas, si è via via trasformata essa stessa in una azione
terroristica su larga scala nei confronti del popolo palestinese, mettendo in
seria difficoltà i tradizionali alleati di Israele, tenaci sostenitori della
sua legittimità democratica .
Viene
spontaneo chiedersi come sia possibile che a giustificare questa politica, che
viola non soltanto le risoluzioni dell’ONU dal 1947 in poi, non solo il diritto
internazionale, ma anche – come purtroppo ci dicono quotidianamente i
mezzi d’informazione e ci mostrano le immagini della televisione – i più
elementari diritti umani, possa essere invocata la volontà di Dio, e non di una
qualunque divinità, non di Allah, ma del Dio della Sacra Scrittura .
Due opposte
letture
Ha
provato a spiegarlo, in un recente articolo, Vito Mancuso, facendo notare che
«la religione ebraica ha una duplice essenza: spirituale e politica». E mentre
la prima contiene i germi dell’amore del prossimo, la seconda si ispira al
primato della forza. «Esattamente per questo motivo nella Bibbia ebraica,
accanto alla spiritualità della solidarietà, vi è un’ideologia del potere e
dell’oppressione nazionalista e razzista verso altri popoli che partorisce i
molti Ben Gvir».
L’autore
conia, a questo proposito, il termine “israelismo”, contrapponendolo
all’autentico ebraismo. «L’israelismo rappresenta il lato oscuro dell’ebraismo
(ogni religione, anzi ogni realtà, ha il proprio)».
Su
questa linea Mancuso arriva a parlare di un «nazi-sionismo». E cita dei
passi del libro del Deuteronomio, in cui Mosè si rivolge al suo popolo,
prima di entrare nella terra promessa, esortandolo ad annientare le popolazioni
che vi risiedono: «Quando il Signore, tuo Dio, le avrà messe in tuo potere e tu
le avrai sconfitte, tu le voterai allo sterminio in ebraico, cherem].
Con esse non stringerai alcuna alleanza e nei loro confronti non avrai pietà»
(Dt 7,2.6).
All’articolo
di Mancuso ha risposto uno di Massimo Giuliani, docente di Pensiero ebraico,
che giudica «aberrante la categoria di nazi-sionismo»: «Associare o
equiparare il sionismo al nazismo è una perversione storica, dettata da puro
accanimento ideologico. Si possono legittimamente criticare le politiche
militari e le strategie belliche dell’attuale governo israeliano (…), ma non si
può ascrivere alla “religione ebraica” la logica di quelle politiche».
Più
alla radice, secondo Giuliani, «è contrario a ogni approccio critico scindere
l’ebraismo in due essenze, una spirituale (supposta buona e accettabile) e una
politica (ovviamente cattiva, demoniaca sin dall’origine)».
Torti
e ragioni
In
realtà, leggendo il libro di Anna Foa, si scopre che il paragone coi nazisti
era già stato fatto proprio da un filosofo ebreo, Yeshayahu Leibowitz, detto
«la coscienza di Israele» e vincitore nel 1993 del prestigioso Premio Israele,
da lui rifiutato. «Leibowitz negava ogni diritto divino degli ebrei alla terra
di Israele e sosteneva che l’occupazione avrebbe avvelenato l’animo degli
israeliani trasformandoli in “giudeo-nazisti”».
Ed
è molto difficile negare che i fondamentalisti religiosi e gli ultra-ortodossi
attualmente al potere in Israele pretendano di ispirarsi ai testi biblici,
visto che li invocano esplicitamente a giustificazione della loro campagna
militare e del loro progetto politico.
Ha
dunque ragione Mancuso nell’attribuire la violenza all’ “israelismo” che
inevitabilmente accompagna l’ebraismo? In realtà, neanche la sua tesi
sembra corretta, perché non guarda alla complessità dei testi biblici e si
ferma al Deuteronomio.
Un
primo punto cruciale è quello sottolineato da un autorevole biblista, Giuseppe
Barbaglio, in un libro intitolato Dio violento? Lettura delle Scritture
ebraiche e cristiane: «L’esame delle diverse parti della bibbia giudaica
mostra, senza ombra di dubbio, che il popolo dell’antico Israele ha avuto
sempre e costantemente lucida coscienza dell’intangibilità della vita umana».
Nel
libro della Genesi Dio dice: «Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a
ognuno di suo fratello». La motivazione è teologica: «Perché ad immagine di Dio
è stato fatto l’uomo» (Gn 9, 5-6).
Un
secondo punto decisivo è la guerra, pur presente abbondantemente nelle pagine
bibliche, non è considerata inevitabile. In particolare, scrive Barbaglio, i
profeti «hanno creato una vasta e sensibilissima coscienza antiviolenta». Ad
essi innanzi tutto si deve la prospettiva «di un futuro di pace universale e
cosmica e di distruzione di tute le armi».
Sta
di fatto che «nella bibbia giudaica non si parla mai di “guerra santa”» C’è un
intervento di Dio nelle guerre di Israele, «ma nel raffigurarsi il proprio Dio
come guerriero e le guerre quali imprese in cui interviene la divinità adorata,
l’antico Israele non tradisce alcuna originalità, dal momento che si tratta di
un’ideologia diffusa allora in quell’area geografica e culturale».
E,
se è vero che la tradizione letteraria che sta dietro il libro del Deuteronomio
è «caratterizzata da una forte bellicosità», come ha sottolineato Mancuso, va
anche detto che quella «presente soprattutto nei primi quattro libri
della bibbia ebraica, Genesi, Esodo, Levitico, Numeri» evidenzia uno «spirito
pacifista e non violento».
Un’ulteriore
importante precisazione viene da un altro noto studioso del problema
della violenza nella Bibbia, Norbert Lohfink, nel suo libro Il Dio
della Bibbia e la violenza. A proposito del cherem –
lo sterminio delle popolazioni vinte, di cui si parla nel Deuteronomio, citato
da Mancuso – , egli osserva: «Forse la realtà storica potrebbe anche avere
conosciuto solo la cacciata delle élites al potere nelle città cananee e quindi
il rovesciamento del sistema sociale e politico in vigore». In realtà
«il cherem era una rinunzia di carattere sacrale al bottino
(…) riferita preferibilmente ai beni materiali. Solo la sistemazione
deuteronomistica della tradizione ne fece uno sterminio dell’intera popolazione
comandato da Dio». Insomma, si tratta probabilmente solo di una elaborazione
letteraria posteriore.
A
questo punto, l’anima violenta della Bibbia, attribuita da Mancuso alla sua
dimensione politica, nazionale (l’“israelismo”), sembra in realtà dovuta a
condizionamenti culturali e non è dunque un inesorabile risvolto dell’ebraismo.
Lo
dimostra il grande fiume dalla spiritualità ebraica, con la tradizione dei
chassidim e con personalità come quella di Martin Buber, filosofo che ha
celebrato la relazione e il dialogo, che pure aderì al sionismo e fu
favorevole alla creazione di uno Stato ebraico, inteso però come luogo di
pacifica convivenza tra ebrei e palestinesi.
La
lettura fondamentalista e fanaticamente nazionalista che danno dei testi
biblici personaggi come Ben-Gvir e i suoi sostenitori è un tradimento, non una
conseguenza strutturale, dell’ebraismo. Sono loro, con la loro religiosità
distorta, non la Bibbia, all’origine della violenza a cui stiamo assistendo. E,
seguendo loro, Israele non si sta solo suicidando, ma sta profanando e
sfigurando il vero volto del suo Dio.
Nessun commento:
Posta un commento