Perché il male? E da dove viene?
Da Agostino una risposta di libertà
L’errore
nel cammino umano si configura come una privazione del bene, una sua
distorsione, perché tutto ciò che Dio crea è buono. E decisivo diventa il
libero arbitrio
L’elezione
di Leone XIV ha rilanciato l’interesse non solo sulla dottrina sociale della
Chiesa ma prima ancora per sant’Agostino, il padre della Chiesa del IV secolo
di cui Prevost è figlio spirituale come religioso della famiglia agostiniana, a
lungo priore generale. Se c’è un tratto che spicca nel pensiero di papa Leone è
il saldo, esplicito e costante radicamento nel pensiero del vescovo di
Ippona, che nelle parole di Prevost ci sta mostrando tutta la sua eccezionale
attualità. Paola Muller, profonda conoscitrice del pensiero di Agostino,
docente di Filosofia medioevale all’Università Cattolica di Milano, ci
accompagna in un viaggio nei grandi temi cari ad Agostino (e a Leone).
- di
PAOLA MULLER
«Da
dove viene il male?» ( unde malum?).
Non
è solo un interrogativo speculativo: per Agostino è un grido esistenziale,
un’inquietudine radicale che scava nel cuore dell’uomo. La domanda attraversa
tutta la sua ricerca – e forse anche la nostra. La sua riflessione sul male non
è solo dottrina, ma esperienza. Nelle Confessioni, Agostino
racconta come la sua vita sia stata segnata da un lungo e faticoso cammino
attraverso l’errore. Il male non è solo una questione metafisica, ma un dramma
personale, una via crucis dell’anima.
Il
suo tentativo di rispondere alla domanda “unde malum?” è anche una confessione:
non solo intellettuale, ma esistenziale. È il racconto di un uomo che ha
cercato la verità passando per l’errore e che ha compreso che solo nel ritorno
a Dio c’è la guarigione. La posta in gioco è altissima: se Dio è buono e
onnipotente, perché esiste il male? E se il male esiste, possiamo ancora
dire che Dio sia buono e onnipotente? L a teodicea – parola coniata
da Leibniz molti secoli dopo – è già, in nuce, nel pensiero di Agostino.
Giustificare Dio, ovvero “sollevarlo” dall’accusa di essere autore del male, è
il compito che egli si assume nel momento in cui prende definitivamente le
distanze dal manicheismo, una religione dualista che affermava l’esistenza di
due principi eterni e contrapposti: il Bene e il Male, la Luce e le Tenebre.
Secondo i manichei, il male esiste perché c’è una forza negativa che combatte
Dio. Una spiegazione semplice, netta, apparentemente convincente. Eppure,
qualcosa non torna. Se il male è un principio eterno come il bene, allora Dio
non è onnipotente. Se Dio è contaminato dal male per combatterlo, allora non è
del tutto buono. È qui che Agostino comincia a prendere le distanze. Il
manicheismo lo affascina per la sua pretesa di offrire una risposta chiara, ma
finisce per rivelarsi fragile: non rispetta la trascendenza di Dio, né
la libertà dell’uomo. L’ incontro con il pensiero platonico
spezza l’incanto: ciò che è più perfetto è anche più spirituale, immateriale,
più vicino a Dio. Il male, dunque, non può essere una sostanza: sarebbe una
contraddizione. È piuttosto una mancanza di bene, un disordine, un’assenza.
Questa è la svolta centrale del pensiero agostiniano. Il male non ha realtà
propria: è privatio boni, privazione del bene. Non esiste come
esistono le cose create, perché tutto ciò che Dio crea è buono. « Il dolore,
sia che si trovi nell’animo sia che si trovi nel corpo, non può esistere se non
in nature buone» ( La natura del bene, 20). Il male è una
ferita del bene, una sua distorsione. Come l’ombra presuppone la luce, così il
male si dà solo dove un bene è stato corrotto o sviato. Questa idea non elimina
la realtà del male – né il suo peso nella vita umana – ma ne cambia radicalmente
la prospettiva. Il male non è un principio, né una sostanza: è ciò che accade
quando qualcosa o qualcuno si allontana dal fine per cui è stato creato. È
uno squilibrio, una mancanza di ordine, un disamore.
Così
Agostino può salvaguardare due verità fondamentali: Dio non è autore del male e
il mondo, pur segnato dal dolore, resta fondamentalmente buono. Il male non è
il prezzo della creazione, ma il risultato di un suo uso distorto. Ma da dove
viene il male morale, quello che l’uomo compie? Agostino risponde: dalla
libertà dell’uomo. Solo una volontà libera può distogliersi dal Bene sommo e
scegliere un bene minore come fine ultimo. Quando lo fa, commette il peccato,
cioè l’aversio a Deo (l’allontanamento da Dio) e la conversio
ad creaturam (il rivolgersi alla creatura). L’uomo, pur creato per
orientarsi al Sommo Bene (Dio), sceglie di distogliersi da Lui, volgendosi alle
cose create (beni materiali, piaceri, potere, prestigio) come se fossero il suo
bene supremo. È un movimento negativo, una rinuncia al fine ultimo
dell’esistenza. « Il peccato non è desiderio di una natura cattiva, ma è la
rinuncia a una migliore» ( La natura del bene,
36). Questa scelta non è necessitata, né imposta: è un abuso della libertà. Agostino è chiaro: il male è volontà cattiva, che preferisce un bene inferiore a uno superiore. L’uomo, creatura razionale, dotata di volontà, è dunque responsabile del male che compie. Non Dio. Il male morale ha così un’origine soggettiva, non ontologica. È una ferita dell’anima che si allontana dalla verità. Il libero arbitrio non è eliminato, ma è tragicamente fragile. È su questa fragilità che si fonda la necessità della grazia. Un conto è il peccato, che può essere ricondotto alla libertà dell’uomo. Ma come spiegare il male fisico, il dolore innocente, la sofferenza che colpisce senza colpa? Perché Dio permette la sofferenza, se non è frutto del peccato personale? Agostino non rimuove la domanda. Anzi, vi torna più volte, soprattutto nel De civitate Dei, scritto dopo il traumatico sacco di Roma del 410. La sua risposta è prudente, ma decisa: anche il male fisico, per quanto misterioso, rientra nell’ordine della provvidenza. Non è un bene in sé, ma può essere orientato a un bene maggiore. Può educare, correggere, purificare, suscitare solidarietà. La sofferenza non è una punizione automatica, ma un’occasione di verità. È il segno della nostra condizione storica, limitata, ferita. Agostino non propone un’ideologia consolatoria: sa bene quanto possa essere oscuro il dolore. Ma invita a guardare oltre l’immediato. In una visione d’insieme, persino il male fisico può avere un senso, come l’ombra in un dipinto che rende più viva la luce. Per Agostino, il male non è solo un fatto individuale: è una realtà che attraversa la storia, dalla quale non sarà mai del tutto eliminato. Non è possibile costruire un mondo perfetto con le sole forze dell’uomo. La consistenza della risposta agostiniana al problema del male sta nel suo equilibrio: non nega la realtà del male, ma ne rifiuta l’assolutizzazione; lo ricolloca nel quadro del bene. Il male è un enigma, non un assurdo. È parte di una storia più grande, che trova senso non in sé, ma nel disegno della provvidenza. Non esiste una formula che dissolva il dolore. Ma esiste una via, e Agostino la indica con lucidità: riconoscere la ferita, cercare la verità, ordinare il desiderio, amare il bene. È un cammino difficile, ma possibile. La libertà può sempre essere guarita, l’amore può ricomporre ciò che è stato ferito. Capirlo, oggi, significa non arrendersi alla disperazione o al cinismo. Significa tornare a interrogarsi su ciò che vale davvero, su ciò che orienta la nostra libertà. A gostino mostra che il male può essere vinto. Non con la forza, non con l’illusione di una società perfetta, ma con la conversione del cuore.
Il male non ha l’ultima parola. L’ultima parola è la
grazia, è la redenzione. È la croce, dove la morte del Giusto diventa la via
della salvezza. In un tempo come il nostro, in cui il male assume forme globali
– guerre, disuguaglianze, disastri ambientali – la teodicea agostiniana ci
invita a non attribuire a Dio ciò che nasce dall’abuso della libertà. E insieme
ci esorta a non cedere al fatalismo: la storia è ancora aperta e la
responsabilità umana resta decisiva. Agostino non offre un sistema chiuso, ma una
tensione. La sua teodicea è un cammino, non un’ideologia. È una filosofia della
speranza, costruita nella consapevolezza che solo la grazia può guarire la
libertà ferita. Il male non è vinto dalla spiegazione. Ma può essere vinto
dall’amore.
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