Anzitutto
le chiediamo di aiutarci ad orientarci in una terminologia per i più non nota o
almeno non chiara. Si parla di teologia gender e teologia Queer? Ci può dire in modo se possibile
semplice cosa si intende e che differenze principali ci sono tra queste due
teologie?
In
realtà le spiegazioni di queste categorie sono ormai ovunque e pienamente
accessibili. Le persone che ancora non hanno le idee chiare probabilmente hanno
delle resistenze o delle paure che impediscono loro di avvicinarsi a questi
temi. In ogni caso, se repetita iuvant, ricordiamo che le teologie di genere
nascono dal riconoscimento che la nostra corporeità è sessuata e che ciò
influenza pensieri, parole e interpretazioni sociali e politiche in modo non
sempre giusto. Anzi, spesso si tratta non solo di stereotipi ma di vere e
proprie violenze simboliche e pratiche che tradiscono le vite concrete. La
categoria di "genere" ci aiuta ad accorgercene e a decostruire tutto
questo.
La
teoria queer si connette alle prospettive di genere ma è più radicale, perché
assume una categoria insultante facendola diventare una vera e propria
epistemologia trasformativa: “queer”, infatti, era originariamente un insulto
contro le minoranze sessuali. Riappropriandosi del termine, le teorie queer
mirano a scardinare completamente le categorie identitarie fisse, creando spazi
di libertà per chi non si conforma ai binari previsti. Se il gender distingue
tra sesso biologico e ruoli sociali, il queer va oltre, mostrando che esiste
sempre uno spazio terzo inassumibile dai binomi tradizionali e arriva fino a
proporre un’identità instabile e fluida.
"Ideologia"
indica situazioni che tradiscono la complessità del reale, come ha
spiegato papa Francesco: «la realtà è più importante dell'idea».
Esiste un’ideologia gender? No, se ci riferiamo a coloro che usano questa
categoria in chiave decostruttiva, come spiegato prima: si tratta di non dare
per scontato che cosa sia “maschile” o “femminile”. Questo non è ideologia, è
intelligenza.
Per
esempio, sappiamo bene che tenere dentro di sé un’altra vita riguarda solo le
donne, ma non possiamo da questo dedurre che la cura della vita sia solo
femminile. Il dramma di questo sbaglio è sotto gli occhi di chiunque: un mondo
violento ed egoista che non si assume mai la responsabilità del dolore inflitto
ai popoli, alle vite considerate sacrificabili e alla natura. In positivo, la
riflessione sul concetto di “genere” permette di vigilare contro linguaggi
escludenti, di impedire determinismi biologici, di riconoscere che le parole
non solo descrivono ma creano realtà, e di aprire spazi di inclusività e di
giustizia per chi non si conforma agli stereotipi dominanti e per coloro che
vivono nella debolezza del mancato riconoscimento.
La teologia di genere presenta una funzione
critico-decostruttiva che smantella stereotipi irrigiditi nel discorso
religioso, un'attenzione alla performatività del linguaggio (le parole creano
realtà), un'ermeneutica situata che riconosce la parzialità di ogni sguardo, e
una valorizzazione dell'esperienza quotidiana come soggetto di riflessione. I
vantaggi per la teologia sono significativi: un volto di Dio non
patriarcale e una maschilità non sacralizzata, maggiore inclusività
ecclesiologica, visione antropologica complessa e arricchita, e connessione tra
riflessione teologica e urgenze di giustizia del presente. Questo approccio non
relativizza la verità, ma la pluralizza riconoscendo che ogni discorso emerge
da una posizione incarnata che chiede discernimento e condivisione.
La
critica muove da un fraintendimento. Non si tratta di plasmare il proprio corpo
secondo una coscienza capricciosa o attraverso una volontà superba e arrogante.
Basta entrare in contatto con storie concrete, per capire che si tratta di
percorsi molto più complessi. In ogni caso, non si tratta di autodeterminazione
assoluta ma di riconoscere che non abbiamo mai una relazione immediata con la
corporeità: ci appelliamo sempre a ordini discorsivi per significare
l'esperienza.
La
vera questione è distinguere tra ciò che è dato e ciò che è destinale: essere
biologicamente maschi o femmine non dovrebbe portare a deduzioni automatiche
sul futuro psicologico ed etico di una persona. La creaturalità è destinata
alla fioritura del sé, secondo modi e processi abitati dal mistero divino a cui
noi cooperiamo: siamo custodi responsabili del nostro essere, non esecutori
passivi di un programma predefinito e scritto chissà dove. Ciò non vuol dire
che tutte le possibilità sono aperte, ma che il divenire è previsto nella
creaturalità stessa, abitata dallo Spirito fin da subito.
Passiamo
alla teologia queer. Come riporta nei suoi testi, la
prospettiva queer apporta una "preziosa forza decostruttiva degli
stereotipi espliciti ed impliciti dell'ordine simbolico cristiano". Cosa
c'è di prezioso in questo percorso?
Il
prezioso contributo della prospettiva queer sta nell'apertura di uno spazio
terzo e indecidibile che impedisce di ridurre tutto a logiche binarie rigide.
Svela la violenza dei sistemi normativi mostrando come certe categorie possano
"ferire a morte" le esistenze. Apre varchi di libertà sottraendosi
dalle definizioni rigide, interroga l'universalità delle norme rivelando come
il "naturale" sia spesso costruzione storica.
Nel
contesto cristiano significa interrogare rappresentazioni stereotipate di
santità, modelli rigidi di genere, esclusioni operate in nome della
"natura". Non mira a distruggere ma a liberare la vita dalle formule
stereotipate, permettendo a ogni differenza di essere riconosciuta nella sua
dignità.
Certamente.
Questa visione è fedele alla Scrittura che ci dipinge come viandanti, sospesi
tra l’origine e il compimento ci sono i nostri passi e le orme della storia.
L'immagine dell'umano fatto "a immagine e somiglianza" di Dio dice
proprio questo: siamo immagine di Dio, ma la somiglianza si costruisce nel
tempo della libertà, che ci è donato. Noi siamo divenire.
La
Scrittura presenta costantemente l'umano in cammino: Abramo verso una
destinazione sconosciuta, il popolo nel deserto, Gesù senza "dove posare
il capo", i discepoli chiamati a seguire strade sempre nuove. Lo Spirito
aiuta a far memoria creativa, riconoscere eredità e farle fiorire. Questa
visione dinamica non nega la consistenza dell'identità ma la sottrae alla
fissità: l'identità cristiana è relazionale più che sostanziale, si costruisce
nell'incontro.
Sì,
l'impatto è significativo. Nel nostro ordine simbolico si è sedimentata
un'immagine patriarcale di Dio che rinforza ingiustizie tra i generi. Il
problema non è che Dio sia Padre, ma l'uso sessista delle metafore maschili che
esclude il mondo femminile.
Le
prospettive di genere contribuiscono a dinamizzare l'immagine di Dio - pensarlo
come Verbo attivo piuttosto che sostantivo statico, sviluppare teologie
relazionali, integrare dimensioni corporee e cosmiche. Non si tratta di
femminilizzare Dio ma di liberarlo dalle gabbie patriarcali per riscoprirne la
ricchezza inesauribile che abbraccia e trascende ogni differenza. Dio come
mistero che eccede ogni definizione e accoglie ogni vita nella sua
pienezza.
Il
turbamento nasce perché toccare l'interpretazione della differenza sessuale
significa andare a toccare qualcosa di cruciale, simbolicamente inaggirabile.
Il timore è segno di intelligenza, la paura invece chiude e diventa violenta
verso vite che si presentano diverse da come le avevamo previste.
Le
resistenze hanno radici multiple: minaccia ai sistemi di potere consolidati,
paura dell'ignoto quando le certezze vengono messe in discussione, resistenze
inconsce legate all'ordine simbolico dominante. Spesso si reagisce a caricature
piuttosto che ai contenuti reali. Noi non siamo Dio e non sappiamo cosa certe
vite siano nello sguardo amorevole e creativo divino. La sfida è distinguere
tra timore intelligente e paura paralizzante.
Non
credo che la teologia queer da sola risolverà il problema del
desiderio nella Chiesa. Ci servono sinergie multiple perché il problema è
sistemico. La Chiesa ha sempre avuto difficoltà con il desiderio,
riducendolo alla sfera sessuale e opponendolo alla spiritualità. Si è creata
una scissione tra spirituale e corporeo, pubblico e privato.
Il
paradosso è che la Chiesa vive dei desideri del popolo ma poi li
sequestra, non li restituisce arricchiti alla vita. La teologia queer può contribuire mostrando che le
identità sono dinamiche, la diversità è ricchezza, l'esclusione impoverisce
tutti. Serve una trasformazione verso un'etica della vulnerabilità, una
spiritualità incarnata, una pastorale dell'accompagnamento che riconosca: la
vita è più importante delle nostre definizioni.
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