per una risposta
alla crisi climatica
Pubblicata
l’esortazione apostolica di Francesco che specifica e completa l’enciclica del
2015: non reagiamo abbastanza, siamo vicini al punto di rottura. Critiche ai
negazionisti: indubitabile l’origine umana del riscaldamento globale. L’impegno
per la cura della casa comune scaturisce dalla fede cristiana
Il
primo capitolo è dedicato alla crisi climatica globale. «Per quanto si cerchi
di negarli, nasconderli, dissimularli o relativizzarli, i segni del cambiamento
climatico sono lì, sempre più evidenti» spiega il Papa. Che osserva come «negli
ultimi anni abbiamo assistito a fenomeni estremi, frequenti periodi di caldo
anomalo, siccità e altri lamenti della terra», una «malattia silenziosa che
colpisce tutti noi». Inoltre Francesco afferma: «è verificabile che alcuni
cambiamenti climatici indotti dall’uomo aumentano significativamente la
probabilità di eventi estremi più frequenti e più intensi». Il Pontefice, dopo
aver ricordato che se si superano i 2 gradi di aumento della temperatura «le
calotte glaciali della Groenlandia e di gran parte dell’Antartide si
scioglieranno completamente, con conseguenze enormi e molto gravi per tutti»
(5), a proposito di chi minimizza il cambiamento climatico, risponde: «quello a
cui stiamo assistendo ora è un’insolita accelerazione del riscaldamento, con
una velocità tale che basta una sola generazione – non secoli o millenni – per
accorgersene». «Probabilmente tra pochi anni molte popolazioni dovranno
spostare le loro case a causa di questi eventi» (6). Anche i freddi estremi
sono «espressioni alternative della stessa causa» (7).
«Nel
tentativo di semplificare la realtà - scrive Francesco - non mancano coloro che
incolpano i poveri di avere troppi figli e cercano di risolvere il problema
mutilando le donne dei Paesi meno sviluppati. Come al solito, sembrerebbe che
la colpa sia dei poveri. Ma la realtà è che una bassa percentuale più ricca
della popolazione mondiale inquina di più rispetto al 50% di quella più povera
e che le emissioni pro capite dei Paesi più ricchi sono di molto superiori a
quelle dei più poveri. Come dimenticare che l’Africa, che ospita più della metà
delle persone più povere del mondo, è responsabile solo di una minima parte
delle emissioni storiche?» (9).
«L’origine
umana – “antropica” – del cambiamento climatico non può più essere messa in
dubbio» afferma Francesco. «La concentrazione dei gas serra nell’atmosfera... è
rimasta stabile fino al XIX secolo... Negli ultimi cinquant’anni l’aumento ha
subito una forte accelerazione» (11). Allo stesso tempo la temperatura «è
aumentata a una velocità inedita, senza precedenti negli ultimi duemila anni.
In questo periodo la tendenza è stata di un riscaldamento di 0,15 gradi
centigradi per decennio, il doppio rispetto agli ultimi 150 anni... A questo
ritmo, solo tra dieci anni raggiungeremo il limite massimo globale auspicabile
di 1,5 gradi centigradi» (12). Con conseguente acidificazione dei mari e
scioglimento dei ghiacci. La coincidenza fra questi eventi e la crescita di
emissioni di gas serra «non può essere nascosta. La stragrande maggioranza
degli studiosi del clima sostiene questa correlazione e solo una minima
percentuale di essi tenta di negare tale evidenza». Purtroppo, osserva
amaramente il Pontefice, «la crisi climatica non è propriamente una questione
che interessi alle grandi potenze economiche, che si preoccupano di ottenere il
massimo profitto al minor costo e nel minor tempo possibili» (13).
«Sono
costretto - continua Francesco - a fare queste precisazioni, che possono
sembrare ovvie, a causa di certe opinioni sprezzanti e irragionevoli che trovo
anche all’interno della Chiesa cattolica. Ma non possiamo più dubitare che la
ragione dell’insolita velocità di così pericolosi cambiamenti sia un fatto
innegabile: gli enormi sviluppi connessi allo sfrenato intervento umano sulla
natura» (14). Purtroppo alcune manifestazioni di questa crisi climatica sono
già irreversibili per almeno centinaia di anni, mentre «lo scioglimento dei
poli non può essere invertito per centinaia o migliaia di anni» (16). Siamo
dunque appena in tempo per evitare danni ancora più drammatici. Il Papa scrive
che «alcune diagnosi apocalittiche sembrano spesso irragionevoli o non
sufficientemente fondate», ma «non possiamo dire con certezza» ciò che accadrà
(17). È quindi «urgente una visione più
ampia... Non ci viene chiesto nulla di più che una certa responsabilità per
l’eredità che lasceremo dietro di noi dopo il nostro passaggio in questo mondo»
(18). Ricordando l’esperienza della pandemia di Covid-19 Francesco ripete
«Tutto è collegato e nessuno si salva da solo» (19).
Nel
secondo capitolo Francesco parla del paradigma tecnocratico che «consiste nel
pensare come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dal
potere stesso della tecnologia e dell’economia» (20) e «si nutre mostruosamente
di sé stesso» (21) basandosi sull’idea di un essere umano senza limiti. «Mai
l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo
utilizzerà bene, soprattutto se si considera il modo in cui se ne sta
servendo... È terribilmente rischioso che esso risieda in una piccola parte
dell’umanità» (23). Purtroppo, come insegna anche la bomba atomica, «l’immensa
crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano
per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza» (24). Il Papa
ribadisce che «il mondo che ci circonda non è un oggetto di sfruttamento, di
uso sfrenato, di ambizione illimitata» (25). Ricorda pure che noi siamo inclusi
nella natura, e «ciò esclude l’idea che l’essere umano sia un estraneo, un
fattore esterno capace solo di danneggiare l’ambiente. Dev’essere considerato
come parte della natura» (26); «i gruppi umani hanno spesso “creato”
l’ambiente» (27).
Abbiamo
compiuto «progressi tecnologici impressionanti e sorprendenti, e non ci
rendiamo conto che allo stesso tempo siamo diventati altamente pericolosi,
capaci di mettere a repentaglio la vita di molti esseri e la nostra stessa
sopravvivenza» (28). «La decadenza etica del potere reale è mascherata dal
marketing e dalla falsa informazione, meccanismi utili nelle mani di chi ha
maggiori risorse per influenzare l’opinione pubblica attraverso di essi».
Grazie a questi meccanismi si convincono gli abitanti delle zone dove si
vogliono realizzare progetti inquinanti illudendoli che si potranno generare
delle opportunità economiche e occupazionali ma «non viene detto loro
chiaramente che in seguito a tale progetto» resterà «una terra devastata» (29)
e condizioni di vita molto più sfavorevoli. «La logica del massimo profitto al
minimo costo, mascherata da razionalità, progresso e promesse illusorie, rende
impossibile qualsiasi sincera preoccupazione per la casa comune e qualsiasi
attenzione per la promozione degli scartati della società... Estasiati davanti
alle promesse di tanti falsi profeti, i poveri stessi a volte cadono
nell’inganno di un mondo che non viene costruito per loro» (31). Esiste «un
dominio di coloro che sono nati con migliori condizioni di sviluppo» (32).
Francesco li invita a chiedersi, «di fronte ai figli che pagheranno per i danni
delle loro azioni», quale sia il senso della loro vita (33).
Nel
capitolo successivo dell’esortazione il Papa affronta il tema della debolezza
della politica internazionale, insistendo sulla necessità di favorire «gli
accordi multilaterali tra gli Stati» (34). Spiega che «quando si parla della
possibilità di qualche forma di autorità mondiale regolata dal diritto, non necessariamente
si deve pensare a un’autorità personale» ma di «organizzazioni mondiali più
efficaci, dotate di autorità per assicurare il bene comune mondiale, lo
sradicamento della fame e della miseria e la difesa certa dei diritti umani
fondamentali». Che «devono essere dotate di una reale autorità per “assicurare”
la realizzazione di alcuni obiettivi irrinunciabili» (35). Francesco deplora
che «le crisi globali vengano sprecate quando sarebbero l’occasione per
apportare cambiamenti salutari. È quello che è successo nella crisi finanziaria
del 2007-2008 e che si è ripetuto nella crisi del Covid-19», che hanno portato
«maggiore individualismo, minore integrazione, maggiore libertà per i veri
potenti, che trovano sempre il modo di uscire indenni» (36). «Più che salvare
il vecchio multilateralismo, sembra che oggi la sfida sia quella di
riconfigurarlo e ricrearlo alla luce della nuova situazione globale» (37)
riconoscendo che tante aggregazioni e organizzazioni della società civile
aiutano a compensare le debolezze della Comunità internazionale. Il Papa cita
il processo di Ottawa sulle mine antiuomo che mostra come la società civile
crea dinamiche efficienti che l’ONU non raggiunge.
Quello
proposto da Francesco è «un multilateralismo “dal basso” e non semplicemente
deciso dalle élite del potere... È auspicabile che ciò accada per quanto
riguarda la crisi climatica. Perciò ribadisco che se i cittadini non
controllano il potere politico – nazionale, regionale e municipale – neppure è
possibile un contrasto dei danni ambientali» (38). Dopo aver riaffermato il
primato della persona umana e sulla difesa della sua dignità al di là di ogni circostanza,
Francesco spiega che «non si tratta di sostituire la politica, perché... le
potenze emergenti stanno diventando sempre più rilevanti». «Proprio il fatto
che le risposte ai problemi possano venire da qualsiasi Paese, per quanto
piccolo, conduce a riconoscere il multilateralismo come una strada inevitabile»
(40). È necessario dunque un «quadro diverso per una cooperazione efficace. Non
basta pensare agli equilibri di potere, ma anche alla necessità di rispondere
alle nuove sfide e di reagire con meccanismi globali». Servono «regole
universali ed efficienti» (42). «Tutto ciò presuppone che si attui una nuova
procedura per il processo decisionale»; servono «spazi di conversazione,
consultazione, arbitrato, risoluzione dei conflitti, supervisione e, in sintesi,
una sorta di maggiore “democratizzazione” nella sfera globale, per esprimere e
includere le diverse situazioni. Non sarà più utile sostenere istituzioni che
preservino i diritti dei più forti senza occuparsi dei diritti di tutti» (43).
Nel
capitolo seguente Francesco descrive le diverse conferenze sul clima tenutesi
fino ad oggi. Ricorda quella di Parigi, il cui accordo è entrato in vigore nel
novembre 2016, ma «pur essendo vincolante, non tutti i requisiti sono obblighi
in senso stretto e alcuni di essi lasciano spazio a un’ampia discrezionalità»
(47), non sono previste sanzioni vere e proprie per gli obblighi non rispettati
e mancano strumenti efficaci per garantirne l'osservanza. E «si sta ancora
lavorando per stabilire procedure concrete di monitoraggio e fornire criteri
generali per confrontare gli obiettivi dei diversi Paesi» (48). Il Papa accenna
alla delusione per la COP di Madrid e ricorda che quella di Glasgow ha
rilanciato gli obiettivi di Parigi, con molte “esortazioni”, ma «le proposte
volte a garantire una transizione rapida ed efficace verso forme di energia
alternativa e meno inquinante non sono riuscite a fare progressi» (49). La
COP27 in Egitto del 2022 «è stata un ulteriore esempio della difficoltà dei negoziati»
e anche se ha prodotto «almeno un progresso nel consolidamento del sistema di
finanziamento per le “perdite e i danni” nei Paesi più colpiti dai disastri
climatici» (51) anche su questo molti punti sono rimasti “imprecisi”. I
negoziati internazionali «non possono avanzare in maniera significativa a causa
delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali
rispetto al bene comune globale. Quanti subiranno le conseguenze che noi
tentiamo di dissimulare, ricorderanno questa mancanza di coscienza e di
responsabilità» (52).
Guardando
alla COP28 Francesco scrive che «dire che non bisogna aspettarsi nulla sarebbe
autolesionistico, perché significherebbe esporre tutta l’umanità, specialmente
i più poveri, ai peggiori impatti del cambiamento climatico» (53). «Non
possiamo rinunciare a sognare che la COP28 porti a una decisa accelerazione
della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere
monitorati in modo permanente. Questa Conferenza può essere un punto di svolta»
(54). Il Papa osserva che «la necessaria transizione verso energie pulite...
abbandonando i combustibili fossili, non sta procedendo abbastanza velocemente.
Di conseguenza, ciò che si sta facendo rischia di essere interpretato solo come
un gioco per distrarre» (55). Non si può cercare soltanto un rimedio tecnico ai
problemi, «corriamo il rischio di rimanere bloccati nella logica di
rattoppare... mentre sotto sotto va avanti un processo di deterioramento che
continuiamo ad alimentare» (57).
Francesco
chiede di porre fine «all’irresponsabile presa in giro che presenta la
questione come solo ambientale, “verde”, romantica, spesso ridicolizzata per
interessi economici. Ammettiamo finalmente che si tratta di un problema umano e
sociale in senso ampio e a vari livelli. Per questo si richiede un
coinvolgimento di tutti». A proposito delle proteste dei gruppi radicalizzati,
il Papa afferma che «essi occupano un vuoto della società nel suo complesso,
che dovrebbe esercitare una sana pressione, perché spetta a ogni famiglia
pensare che è in gioco il futuro dei propri figli» (58). Il Pontefice auspica
che dalla COP28 emergano «forme vincolanti di transizione energetica» che siano
efficienti, «vincolanti e facilmente monitorabili» (59). «Speriamo che quanti
interverranno siano strateghi capaci di pensare al bene comune e al futuro dei
loro figli, piuttosto che agli interessi di circostanza di qualche Paese o
azienda. Possano così mostrare la nobiltà della politica e non la sua
vergogna... Ai potenti oso ripetere questa domanda: “Perché si vuole mantenere
oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando
era urgente e necessario farlo?”» (60).
Infine,
il Papa ricorda che le motivazioni di questo impegno scaturiscono dalla fede
cristiana, incoraggiando «i fratelli e le sorelle di altre religioni a fare lo
stesso» (61). «La visione giudaico-cristiana del mondo sostiene il valore
peculiare e centrale dell’essere umano in mezzo al meraviglioso concerto di
tutti gli esseri». «Noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami
invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime
che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile» (67). «Questo non è un
prodotto della nostra volontà, ha un’altra origine che si trova alla radice del
nostro essere, perché Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci
circonda» (68). Ciò che conta, scrive Francesco, è ricordare che «non ci sono
cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali, senza una maturazione del
modo di vivere e delle convinzioni sociali, e non ci sono cambiamenti culturali
senza cambiamenti nelle persone» (70). «Gli sforzi delle famiglie per inquinare
meno, ridurre gli sprechi, consumare in modo oculato, stanno creando una nuova
cultura. Il semplice fatto di cambiare le abitudini personali, familiari e
comunitarie» contribuisce «a realizzare grandi processi di trasformazione che
operano dal profondo della società» (71). Il Pontefice conclude la sua
esortazione ricordando che «le emissioni pro capite negli Stati Uniti sono
circa il doppio di quelle di un abitante della Cina e circa sette volte
maggiori rispetto alla media dei Paesi più poveri». E afferma che «un
cambiamento diffuso dello stile di vita irresponsabile legato al modello
occidentale avrebbe un impatto significativo a lungo termine. Così, con le
indispensabili decisioni politiche, saremmo sulla strada della cura reciproca»
(72).
ESORTAZIONE
APOSTOLICA “ LAUDATE DEUM “
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