SEI MIO FIGLIO
- - di Alessandro D’Avenia
In
tempi in cui la parola padre è spesso legata a fatti di cronaca cruenti o
soggetta a interpretazioni oppressive, frutto dell’evaporazione simbolica e
reale del padre che caratterizza la nostra cultura, come ben descritto da
Massimo Recalcati nei suoi scritti, l’ottantesimo compleanno di mio padre mi ha
portato a chiedermi, da figlio, chi sia per me un padre. Mi è subito venuto in
mente l’episodio finale dell’Odissea: «Se davvero sei Ulisse, mio figlio, e sei
tornato, dammi un segno sicuro, perché io ti creda», così dice Laerte, padre
dell’eroe, quando se lo trova nell’orto. Per poterlo riconoscere occorre una
verità più profonda di quella offerta al nervo ottico.
Ulisse
Che
cosa fa Ulisse? Sceglie due segni. Il primo, sul corpo, è la cicatrice della
ferita quasi mortale ricevuta durante la caccia al cinghiale nel rito di
passaggio da adolescenza a età adulta; il secondo è invece nell’anima: «I nomi
degli alberi di questo frutteto ben coltivato io ti dirò: un tempo me li
donasti e io, ancora bambino, te li chiedevo uno per uno venendoti dietro
nell’orto e tu mi dicevi il nome di tutti; tredici peri mi desti, dieci meli,
quaranta fichi, cinquanta filari di viti mi promettesti». Il gran finale del
poema narra il riconoscersi di padre e figlio attraverso i due momenti chiave
del loro rapporto: il passaggio da adolescenza a età adulta e la memoria dei
nomi dati alle cose nell’infanzia. Basterà?
Il
segno
Non
appena Ulisse mostra e racconta i due segni, il padre crede, e quindi vede il
figlio. Quella caccia al cinghiale, una specie di esame di maturità omerico in
cui però si rischiava davvero la vita, un vero rito di passaggio (morte della
vecchia identità e rinascita in una nuova), era stato voluto dal padre, perché
il padre è colui che più che darti la vita, ti dà alla vita: ti consegna al
rischio di morire. Mentre un padre lancia in aria il figlio, lontano dalla
terra, la madre lo tiene stretto a sé, nella terra. Quella ferita sulla coscia
di Ulisse è un segno chiaro di quel passaggio. In qualche maniera un padre ti
consegna alla morte: il rischio di vivere, cioè di scegliere per chi e cosa
vivere. E infatti per ritrovarsi, per riconoscersi, come accade a Ulisse e
Laerte, bisogna prima mostrare proprio quella ferita.
Anche
io ho mostrato la mia a mio padre e ci siamo riconosciuti in quel passaggio
doloroso tra adolescenza e età adulta. La ferita, il mio rito di passaggio, è
stata una malattia che ha offuscato lo slancio dell’appassionato uomo di
avventura e coraggio, che era stato fino a quel momento mio padre. Quella
ferita ha segnato la nostra storia familiare, e a me è capitata proprio in
piena adolescenza. Ma proprio quella ferita è un segno in cui ci riconosciamo
profondamente: in quel dolore comune siamo diventati il padre e il figlio che
siamo, non nonostante e non del tutto, ma anche grazie a quella cicatrice.
Avventura
Avventura
è la bicicletta senza rotelle e l’acqua alta, l’aereo e il treno; lavoro è la
passione per la medicina; sorpresa è un nuovo puffo da trovare nelle cacce al
tesoro del sabato mattina (per questo li colleziono); ferite è il sopracciglio
rotto e ricucito; lacrime quelle che gli ho visto versare; passione è il
desiderio di conoscere ogni cosa; curiosità quello di viaggiare in ogni dove...
Potrei continuare, ma ci sono parole, più ruvide e faticose, che teniamo per
noi, per il nostro personale e intimo riconoscerci. Ereditiamo il mondo nei
nomi che i nostri padri ci hanno fatto vedere, ma se non ti puoi fidare delle
parole che ti ha insegnato tuo padre non ti puoi fidare di nulla, neanche del
tuo nome proprio.
Il
patrimonio
Questo
è il nostro patrimonio, che significa letteralmente il dono del padre, ciò di
cui, nel bene e nel male, un padre ti munisce. Mi è allora venuta in mente
quella che potrebbe essere la rilettura moderna dell’episodio omerico, il libro
di Cormac McCarthy La strada, sul quale è uscito da poco un bel commento
spirituale di Luigi Maria Epicoco (Per custodire il fuoco, Einaudi). Nel libro
dello scrittore americano scomparso di recente un padre fa di tutto per salvare
il figlio, e ce la fa in-segnandogli il nome del fuoco e quindi dandoglielo in
eredità.
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