... E ALLE SUE MASCHERE
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di Silvano
Petrosino*
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Che si debba sempre stare «attenti al lupo» è
una verità che non attende certo di essere dimostrata. Tuttavia, per non
accontentarsi di quel senso comune che finisce per dissolvere ogni verità in
una vuota ovvietà, è bene soffermarsi sulla differenza tra il lupo e il «lupo».
Il primo è un animale che in quanto tale obbedisce alle leggi che governano la
vita di ogni altro animale. Ad essere rigorosi, questo animale, come tutti gli
altri, non è affatto «violento» e non ha mai un comportamento «bestiale», essendo
quest’ultima una qualificazione che si ritrova solo all’interno della scena
umana: solo l’uomo sa e può essere «bestiale», pericolosamente «bestiale»,
mentre gli animali non lo sono mai. A quest’ultimi è del tutto preclusa la
possibilità/capacità della «bestialità». Ciò non toglie, come ben sanno tutti i
pastori, e come riconoscono gli stessi animalisti, che anche nei confronti del
lupo bisogna dimostrarsi attenti, proteggendo le greggi dai suoi eventuali
attacchi. A questo livello, però, non c’è nulla di nuovo, nulla di
particolarmente inquietante/interessante, soprattutto dal punto di vista
antropologico.
Del tutto diversa, ben più complessa e
drammatica, è la storia che ha inizio con l’entrata in scena del «lupo».
Perché? Innanzitutto, perché esso non si presenta mai come tale, perché il
«lupo», un vero «lupo», si nasconde sempre dietro una maschera che, esasperando
in un certo senso lo stesso mimetismo animale, impedisce di cogliere le sue
reali intenzioni, configurandolo così addirittura come un amico. Il salmo 54 lo
afferma con chiarezza: «Più untuosa del burro è la sua bocca, ma nel suo cuore
ha la guerra; più fluide dell’olio le sue parole, ma sono spade sguainate».
Perché nasconderlo? Il più delle volte si parla per difendersi e per aggredire,
e così per sopravvivere e per imporsi; si usa la lingua e la bocca non per
parlare ma per divorare, o meglio ancora: si usa la parola non per comunicare
con l’altro ma per divorarlo, utilizzandola come strumento per la propria
affermazione. La nostra esperienza quotidiana lo conferma, purtroppo, con
tragica puntualità: siamo circondati da persone che con insistenza dichiarano
di volere il nostro bene mentre in realtà perseguono il loro bene. Insomma,
come insegna Cappuccetto Rosso, siamo circondati da «lupi», e noi stessi spesso
lo siamo, che dichiarano di aver occhi e orecchie grandi per vedere e ascoltare
meglio, anche se poi la loro grande bocca serve per «meglio divorare». A tale
riguardo è significativa la nota con la quale Perrault conclude la sua versione
di Cappuccetto Rosso (che, vale la pena ricordarlo, termina con il lupo che
divora la bambina; in questa storia nessun cacciatore viene a salvare la
fanciulla): «Qui si vede che i ragazzi, e soprattutto le fanciulle belle, ben
fatte, e gentili, fanno male ad ascoltare chiunque, e non è poi così strano, se
il Lupo tante ne mangi. Io dico il Lupo, ché non tutti i Lupi sono della stessa
specie; ce ne sono di accorti, quieti, bonari, che discreti, compiacenti e
dolci, seguono le fanciulle fin dentro le case, fin nelle alcove; ma ahimè! chi
non sa che questi Lupi dolciastri, di tutti i Lupi, sono i più pericolosi?».
Fonte: Vita e Pensiero
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