LA PROFONDITA'
DEL
SILENZIO
- - di ENZO BIANCHI
Che cos’è il silenzio? La
prima difficoltà consiste proprio nel parlarne, poiché il silenzio lo si
comprende veramente solo quando se ne fa esperienza nella solitudine; inoltre,
è elementare ma essenziale ricordare che il silenzio non è una realtà uguale
per tutti, e per la stessa persona può cambiare con le diverse età della vita.
Quando si cerca di
scandagliare le profondità del silenzio, occorre precisare che il silenzio non
è in primo luogo un’esperienza spirituale, ma un’esperienza umana e ogni
persona conosce nel corso della vita diversi silenzi, alcuni positivi e
necessari, altri negativi e mortiferi. Il silenzio non è un bene assoluto, ma
può trovare senso solo a certe condizioni, quando è vissuto con consapevolezza
e orientato a uno scopo. Le valenze positive del silenzio possono essere
comprese solo se si ha il coraggio di guardare in faccia anche il suo lato
negativo.
Realtà ambigua, il
silenzio può essere senza vita e assumere la forma di un mutismo. Il rigetto
della comunicazione umilia la parola e il silenzio, finendo per rinchiudere
l’uomo in una sorta di prigione. Questa patologia si manifesta quando
l’equilibrio psichico è ferito; chi ha incontrato l’abisso del mutismo in
persone colpite dalla follia, sa cosa significa: è un rifiuto della vita.
Ma c’è anche un silenzio
cattivo, che si nutre di odio. Elias Canetti ha scritto: “Alcuni raggiungono la
più grande malvagità nel silenzio”.
Giudizio negativo
sull’altro, disprezzo, volontà di non avere accanto un altro poiché la
diversità ci infastidisce, ce lo rende nemico: non lo si saluta, lo si tratta
come fosse già morto. Non serve giungere all’ostilità manifesta, è più perversa
questa ostilità sorda e muta. Non è forse questa realtà che abita le nostre
famiglie e le comunità?
Un’altra forma di
silenzio negativo è l’autoillusione: un silenzio custodito per preservare
l’immagine che si ha di sé dal confronto con la realtà e gli altri.
Ciò si traduce poi in
forme di vita “autistiche”, la cui raffigurazione più efficace è quella di un
deserto popolato da fantasmi che finiscono per dominare il malcapitato. Il
silenzio può diventare un luogo di disperazione: silenzio imposto dall’aguzzino
alla vittima, o scelto liberamente da chi si incammina su vie mortifere. In
entrambi i casi vale ciò che scriveva Elie Wiesel nel suo Testamento di un
poeta ebreo assassinato: “Nessun maestro mi aveva detto che il silenzio poteva
diventare una prigione. Non sapevo che si potesse morire di silenzio come si
muore di dolore, di fatica, di fame”.
Con realismo occorre
ammettere che questo silenzio non ci è estraneo: l’importante è esserne
consapevoli e trasformarlo in quel silenzio vitale da cui sgorgano una vita e
una parola colma di senso.
In quest’ora tragica per l’umanità “in cui nel mondo una guerra è signore della terra”, grida, urla salgono dalle vittime verso il cielo vuoto per molti; ma occorrerebbe che noi sapessimo ascoltare anche il “silenzio muto”, generato dall’esaurimento del respiro.
Ad alcuni sembra che anche Dio conosca questo silenzio.
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