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venerdì 8 ottobre 2021

UNA CHIESA SINODALE


 CHE COS’È IL CAMMINO SINODALE? 

IL PENSIERO DI PAPA FRANCESCO

 

-         di Santiago Madrigal

La Chiesa di Dio è convocata in Sinodo. Il cammino, dal titolo «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione», si aprirà solennemente il 9-10 ottobre 2021 a Roma e il 17 ottobre seguente in ogni Chiesa particolare. Il 7 marzo 2020 era stato dato l’annuncio che Francesco voleva tenere la XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi nell’ottobre 2022, sul tema «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione». A fine maggio scorso il card. Mario Grech aveva reso noto che l’Assemblea sarebbe stata rimandata di un anno, al 2023, in parte per ragioni sanitarie, ma soprattutto per favorire una modalità diversa e inedita. Essa è stata pensata in tre fasi, distribuite tra ottobre 2021 e ottobre 2023: la prima sarà diocesana, la seconda continentale e la terza universale. Tale metodologia, che prevede l’elaborazione di due Instrumentum laboris diversi, vuole coinvolgere tutto il popolo di Dio in questo processo sinodale, le cui chiavi sono partecipazione, ascolto e discernimento.

«La storia che dobbiamo contemplare»

Ricordiamo le prime parole del pontificato di papa Francesco, pronunciate dalla loggia di San Pietro la sera del 13 marzo 2013, subito dopo l’elezione: «E adesso, incominciamo questo cammino: vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi»[1]. Il Papa ha utilizzato per tre volte la parola «cammino». Come ricorda la Commissione teologica internazionale, «cammino» fa parte della radice della parola greca synodos, che, composta dalla preposizione syn e dal sostantivo hodos, indica il cammino che i membri del popolo di Dio percorrono assieme[2]. Mettendo in relazione queste due considerazioni, ricaviamo che «cammino sinodale» significa discernimento e ricerca della volontà di Dio, non soltanto a titolo personale, ma come comunità cristiana, in coerenza con il suggerimento di san Giovanni Crisostomo: «Chiesa è nome che sta per sinodo».

Abbiamo voluto rievocare le parole iniziali del pontificato di Francesco, per sottolineare che la sinodalità è la parola chiave della sua concezione del ministero del vescovo di Roma ed è, allo stesso tempo, il fondamento della sua prospettiva ecclesiologica, guidata da questa convinzione: «Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio»[3].

Come scrive il teologo Eloy Bueno, «la sinodalità è una categoria che nell’ambito ecclesiale aveva già assunto diritto di cittadinanza, ma all’interno di un’innegabile ambiguità concettuale e terminologica. Francesco vi introduce criteri di discernimento e traccia la via da seguire»[4]. D’altra parte, l’accento posto sulla sinodalità, associata all’idea di una riforma della «Chiesa in uscita», missionaria, ha introdotto nel corpo ecclesiale una dinamica di innovazione che ha fatto parlare di una nuova fase di recezione del Vaticano II[5].

In queste pagine, come suggerisce il titolo, vogliamo percorrere il «cammino sinodale di Francesco» presentando i vari aspetti del suo modo di intendere la sinodalità, a partire dai suoi discorsi e documenti e dai momenti cruciali del suo pontificato[6].

Il cammino della sinodalità di papa Bergoglio – «la storia che dobbiamo contemplare», per dirla in termini ignaziani – viene definito da queste due pietre miliari: al punto di partenza troviamo il suo documento programmatico, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium (EG) (24 novembre 2013) e all’altro estremo c’è la celebrazione del Sinodo per l’Amazzonia (2019). Per l’ottobre 2023 è stata annunciata la prossima Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, dedicata proprio alla sinodalità.

Nel ripercorrere questo cammino procederemo per tappe. Anzitutto è necessario risalire ai precedenti, ossia alla riscoperta della collegialità e della sinodalità avvenuta nello sviluppo interno del Concilio Vaticano II. In secondo luogo, si deve prestare attenzione all’esortazione apostolica Evangelii gaudium alla luce dell’interrogativo: come la sinodalità è presente in questo documento? In terzo luogo, dobbiamo osservare la prassi sinodale promossa dal Papa, attirando l’attenzione su questo fatto: tra l’assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi del 2014 e quella ordinaria del 2015, entrambe dedicate al matrimonio e alla famiglia, si colloca il discorso che Francesco ha pronunciato il 17 ottobre 2015 per commemorare il cinquantesimo anniversario dell’ Apostolica sollicitudo, il «motu proprio» con cui san Paolo VI dispose la creazione del Sinodo dei vescovi. Un ulteriore apporto di Francesco a tale tema è venuto dalla costituzione apostolica Episcopalis communio (EC), del 15 settembre 2018, che propone un rinnovamento del funzionamento del Sinodo dei vescovi al servizio della riforma della Chiesa.

Il Vaticano II e l’istituzione del Sinodo dei vescovi

Come ricorda il documento della Commissione teologica internazionale, al n. 6, benché il concetto di sinodalità non si ritrovi esplicitamente nell’insegnamento del Concilio Vaticano II, esso è al centro dell’opera di rinnovamento che il Concilio ha promosso. Nei testi conciliari la parola synodus viene riferita al Concilio in corso, sicché quello ecumenico appare come l’espressione più alta della sinodalità. In questo senso, il Vaticano II, in quanto evento e nuovo inizio, ha riaperto il capitolo della conciliarità o sinodalità essenziale della Chiesa e, ricordando la costituzione di Sinodi, Concili provinciali, Concili plenari fin dai primi secoli, ha incoraggiato a promuovere e a favorire questo tipo di istituzioni (cfr Christus Dominus, n. 36).

In questa cornice generale va inserita l’istituzione del Sinodo dei vescovi, voluta da Paolo VI tramite il «motu proprio» Apostolica sollicitudo, del 15 settembre 1965. Nel decreto Christus Dominus, al n. 5, ne troviamo tratteggiate la natura e la funzione, che comportano un riconoscimento del ruolo dei vescovi nel governo centrale della Chiesa: «Una più efficace collaborazione al supremo pastore della Chiesa la possono prestare, nei modi dallo stesso romano Pontefice stabiliti o da stabilirsi, i vescovi scelti da diverse regioni del mondo, riuniti nel consiglio propriamente chiamato “Sinodo dei vescovi”. Tale Sinodo, rappresentando tutto l’episcopato cattolico, è un segno che tutti i vescovi sono partecipi in gerarchica comunione della sollecitudine della Chiesa universale».

Nel discorso del 18 novembre 1965 all’assemblea conciliare, Paolo VI annunciò l’intenzione di convocare presto il Sinodo dei vescovi, una volta concluso il Concilio. L’approvazione del regolamento del Sinodo avvenne l’8 dicembre 1966, e la prima assemblea si tenne dal 29 settembre al 29 ottobre 1967. Fu dedicata a La preservazione ed il rafforzamento della fede cattolica, la sua integrità, il suo vigore, il suo sviluppo, la sua coerenza dottrinale e storica. Due anni dopo si tenne la prima assemblea straordinaria, sulla cooperazione tra la Santa Sede e le Conferenze episcopali. Nel 1971 ebbe luogo la seconda assemblea ordinaria, che affrontò due temi: Il sacerdozio ministeriale e la giustizia nel mondo. Pao­lo VI convocò altre due assemblee: nel 1974 su L’ evangelizzazione nel mondo moderno, e nel 1977 su La catechesi nel nostro tempo.

San Giovanni Paolo II intese incentivare i Sinodi dei vescovi, che considerava uno strumento privilegiato per l’esercizio del primato[7]. Egli volle dare impulso all’accoglienza del Vaticano II e alla preparazione del Grande Giubileo del 2000 tramite «la serie di Sinodi, iniziata dopo il Concilio Vaticano II: Sinodi generali e Sinodi continentali, regionali, nazionali e diocesani». Così egli si esprimeva nella lettera apostolica Tertio millennio adveniente (TMA) (1994), mettendo in luce che «il tema di fondo è quello dell’evangelizzazione», le cui basi erano state poste dall’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI (cfr TMA 21). In quello stesso anno, in una celebre intervista, aveva parlato di «metodo sinodale»[8]. Queste esperienze sinodali, nella loro varietà e diversa ampiezza (assemblee ordinarie, straordinarie, speciali, continentali e diocesane), aprirono la via alla visione della Chiesa in chiave sinodale. Pertanto, sulla soglia del terzo millennio la sinodalità si era trasformata «in una categoria chiave, nel punto di arrivo dell’ecclesiologia postconciliare»[9].

Proseguendo sulla stessa linea, Benedetto XVI convocò tre assemblee. Le prime due furono, nel 2005, L’ Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa e, nel 2008, La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. La terza si svolse nell’ottobre 2012, dedicata a La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana.

Dopo le storiche dimissioni del Papa tedesco, avvenute nel feb­braio 2013, il suo successore ha pubblicato la sua esortazione apostolica Evangelii gaudium (EG). In questo modo Francesco entrava in azione con il suo documento programmatico, incentrato sull’«annuncio del Vangelo nel mondo attuale», che si poneva consapevolmente nella scia dell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (EN) (1975) di Paolo VI.

Da ciò si può trarre la conclusione che il punto di inserzione di questo pontificato nel processo di accoglienza del Vaticano II si colloca nella sequenza dei Sinodi dei vescovi. Non per nulla il decreto Ad gentes (AG) (7 dicembre 1965) ha stabilito la connessione tra l’attività missionaria e la nuova istituzione avviata da Paolo VI: «Il compito di annunciare dappertutto nel mondo il Vangelo riguarda primariamente il collegio episcopale (cfr LG 23), il Sinodo dei vescovi, cioè “la commissione permanente dei vescovi per la Chiesa universale”, tra gli affari di importanza generale deve seguire con particolare sollecitudine l’attività missionaria, che è il dovere più alto e più sacro della Chiesa» (AG 29). Come vedremo, il Papa argentino ha dato nuova spinta a questa istituzione, che ha definito come «una delle più preziose eredità del Concilio Vaticano II»[10].

D’altra parte, è importante aggiungere un altro dato che ci avvicina alla biografia di Francesco: la sinodalità latinoamericana. Bergoglio proviene da una tradizione interpretativa del Vaticano II che scorre al ritmo della dinamica sinodale del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam) e delle sue conferenze generali di Medellín (1968), Puebla (1979), Santo Domingo (1992) e Aparecida (2007). Come presidente della Conferenza episcopale argentina, partecipò alla Conferenza di Aparecida e vi fu eletto presidente della Commissione di redazione del documento finale. Da Medellín ad Aparecida l’opzione per i poveri ha contrassegnato la fisionomia della Chiesa latinoamericana e caraibica. Per la teologia missionaria di Aparecida, l’evangelizzazione è la comunicazione della vita piena in Cristo[11]. Le radici latinoamericane dell’Evangelii gaudium e la novità di questo pontificato vanno ricercate nel documento finale di quell’assemblea.

La sinodalità nell’«Evangelii gaudium»

L’esortazione apostolica Evangelii gaudium è un documento di teologia pastorale, ovvero la disciplina che cerca di comprendere l’azione evangelizzatrice della Chiesa alla luce della fede. Bergoglio l’aveva coltivata in prima persona nei suoi anni di insegnamento[12]. In questo testo programmatico il Papa ci rivolge «alcune linee che possano incoraggiare e orientare in tutta la Chiesa una nuova tappa evangelizzatrice» (EG 17). Le ha tradotte nei seguenti sette temi:

1.     La riforma della Chiesa in uscita missionaria.

2.     Le tentazioni degli operatori pastorali.

3.     La Chiesa intesa come la totalità del popolo di Dio che evangelizza.

4.     L’omelia e la sua preparazione.

5.     L’inclusione sociale dei poveri.

6.     La pace e il dialogo sociale.

7.     Le motivazioni spirituali per l’impegno missionario.

Francesco segnalava immediatamente che questa scelta di temi era stata fatta «in base alla dottrina della Costituzione dogmatica Lumen gentium». Come si vede, in questo elenco di temi non compare la sinodalità.

In realtà, nell’esortazione apostolica questa nozione appare expressis verbis soltanto nel n. 246, là dove si parla dell’ecumenismo come scambio di doni. Tuttavia la sinodalità, come una corrente sotterranea, ispira sezioni molto importanti di questo documento[13]. Vanno in questa direzione le parole pronunciate da Francesco nella prima intervista che concesse, nell’agosto 2013, a p. Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica. In essa appunto fece riferimento alla sinodalità. Riguardo alla cerimonia di imposizione del pallio a 34 arcivescovi metropoliti, Francesco aveva definito la «via della sinodalità» come la strada che porta la Chiesa unita a «crescere in armonia con il servizio del primato». Alla domanda di p. Spadaro su quale prospettiva ecumenica potesse avere questa considerazione, il Papa rispose: «Si deve camminare insieme: la gente, i vescovi e il Papa. La sinodalità va vissuta a vari livelli. Forse è il tempo di mutare la metodologia del Sinodo, perché quella attuale mi sembra statica. Questo potrà anche avere valore ecumenico, specialmente con i nostri fratelli ortodossi. Da loro si può imparare di più sul senso della collegialità episcopale e sulla tradizione della sinodalità»[14].

Sulla scorta di queste parole si comprende il già citato n. 246 dell’esortazione apostolica e se ne può dedurre che non si tratta di affermazioni isolate: al contrario, la sinodalità impregna la nozione della Chiesa espressa nel documento programmatico di Francesco. In effetti, nel capitolo primo, che parla della «trasformazione missionaria della Chiesa» (EG 19-49) e propone «un improrogabile rinnovamento ecclesiale» (EG 27), ricorrono tutte quelle strutture ecclesiali in cui si attua la comunità cristiana: la parrocchia (EG 28), le comunità di base, i movimenti e altre forme di associazione (EG 29), la Chiesa particolare diocesana (EG 30-31), le Conferenze episcopali e le strutture centrali e del papato della Chiesa universale (EG 32). Queste strutture, che corrispondono ai diversi livelli di esercizio della sinodalità, sono chiamate a una conversione pastorale e missionaria secondo il cuore del Vangelo, soprattutto alla luce della forma basilare di sinodalità, ritratta nella metafora ecclesiologica fondamentale di una «Chiesa in uscita» (EG 20-23). Francesco descrive questa nozione di Chiesa come «comunità evangelizzatrice», come «la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano» (EG 24). Qui troviamo l’aspetto essenziale della vocazione sinodale del popolo di Dio; in una parola, una «Chiesa in uscita» è, nella «dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre» (EG 21), una «Chiesa sinodale».

Questa lettura in chiave sinodale del primo capitolo dell’Evangelii gaudium è corroborata dalle riflessioni dedicate alla Chiesa particolare diocesana come «soggetto dell’evangelizzazione» (EG 30). Fra l’altro si afferma che «il vescovo deve sempre favorire la comunione missionaria nella sua Chiesa diocesana perseguendo l’ideale delle prime comunità cristiane, nelle quali i credenti avevano un cuore solo e un’anima sola (cfr At 4,32)» (EG 31). Qui ritorna l’idea del «cammino»: «Perciò, a volte si porrà davanti per indicare la strada e sostenere la speranza del popolo, altre volte starà semplicemente in mezzo a tutti […] e in alcune circostanze dovrà camminare dietro al popolo, per aiutare coloro che sono rimasti indietro e – soprattutto – perché il gregge stesso possiede un suo olfatto per individuare nuove strade». Subito dopo Francesco affida al vescovo l’incarico di stimolare e ricercare «la maturazione degli organismi di partecipazione proposti dal Codice di diritto canonico e di altre forme di dialogo pastorale, con il desiderio di ascoltare tutti» (EG 31). Tra questi organismi, il Papa cita, in una nota, i canoni riguardanti il sinodo diocesano, il consiglio presbiterale, il consiglio pastorale diocesano, il consiglio pastorale e il consiglio economico parrocchiale.

La cornice generale di riferimento per questa visione della Chiesa è la «teologia argentina del popolo di Dio»[15] nella sua lettura dell’ecclesiologia del Vaticano II. Essa appare nella prima sezione del capitolo terzo – dove si sviluppa la concezione della Chiesa come popolo di Dio evangelizzatore (EG 111-134) –, che si apre con questa dichiarazione: «Questo soggetto dell’evangelizzazione è ben più di una istituzione organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio. Si tratta certamente di un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore» (EG 111; il corsivo è nostro). In questa sezione Francesco dà corso alla sua nozione preferita di Chiesa – «santo popolo fedele di Dio»[16] –, fondata sull’idea del sensus fidei e sull’infallibilità del popolo di Dio nel credere, proposta nel n. 12 della costituzione Lumen gentium. Citiamo qui il passo decisivo che mostra la realtà di una Chiesa sinodale, di «discepoli missionari»: «In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”. Questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede. Lo Spirito lo guida nella verità e lo conduce alla salvezza. Come parte del suo mistero d’amore verso l’umanità, Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano degli strumenti adeguati per esprimerle con precisione» (EG 119).

Tramite il senso soprannaturale della fede, il popolo di Dio è vero soggetto evangelizzatore che cammina nel cuore della storia umana. Alla luce di questa comprensione missionaria della Chiesa va letto e annunciato il messaggio del Vangelo con le sue chiare ripercussioni comunitarie e sociali. Francesco ha dedicato un’importante sezione del capitolo quarto della sua esortazione all’inclusione sociale dei poveri (EG 186-216) e al posto privilegiato che essi occupano nel popolo di Dio (EG 197-201). Che cosa ha a che vedere con la sinodalità l’opzione preferenziale per i poveri? La comunità evangelizzatrice, che è la Chiesa sinodale in uscita, «vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre […]. Accompagna l’umanità in tutti i suoi processi» (EG 24). Questa Chiesa missionaria deve arrivare a tutti: «Però chi dovrebbe privilegiare? […] Oggi e sempre, “i poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo”» (EG 48). In un altro passo Francesco ne propone la giustificazione teologica, ricorrendo a parole di Benedetto XVI: questa opzione per i poveri «è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà» (EG 198)[17].

La sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa

Nelle sessioni di dibattito precedenti il conclave che ha poi eletto papa Jorge Mario Bergoglio, la domanda di maggiore collegialità era sulla bocca di molti cardinali. Prontamente il nuovo Papa, sulle orme dei suoi predecessori, ha ripreso il cammino sinodale, convocando una doppia assemblea – ordinaria e straordinaria – sul tema della famiglia e del matrimonio, dove si è subito messo in luce un nuovo stile più partecipativo del Sinodo, in relazione sia al collegio episcopale sia al popolo di Dio. In questo senso vanno segnalate varie novità procedurali, come la decisione di rimpiazzare i Lineamenta con un questionario sulle questioni scottanti della vita coniugale e familiare, rivolto a tutti i fedeli.

A partire dalle risposte pervenute alla segreteria del Sinodo è stato elaborato l’Instrumentum laboris. Ciascuna assemblea ha prodotto un proprio documento finale, e sono state rese pubbliche le votazioni su ogni articolo e sul documento nel suo insieme. Sono cambiati anche altri aspetti, oltre a quelli metodologici. Il teologo Dario Vitali ha messo in risalto un elemento di fondo che ha contribuito a cambiare il clima in cui si è svolto il Sinodo, ovvero la disponibilità all’ascolto: «Ascolto di Dio, fino ad ascoltare con lui il clamore del popolo; ascolto del popolo, fino a respirare con esso la volontà a cui Dio ci chiama»[18]. Erano giorni in cui la segreteria del Sinodo stava lavorando alla teoria e alle modalità della celebrazione del Sinodo[19].

Il 17 ottobre 2015, mentre era in corso la XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, Francesco, ispirandosi al cinquantesimo anniversario dell’istituzione, ha dichiarato: «Fin dall’inizio del mio ministero come vescovo di Roma ho inteso valorizzare il Sinodo, che costituisce una delle eredità più preziose dell’ultima assise conciliare». Ha aggiunto: «Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola “Sinodo”. Camminare insieme – laici, pastori, vescovo di Roma – è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica». In tale contesto ha ricordato questa affermazione di san Giovanni Crisostomo: «“Chiesa e Sinodo sono sinonimi” perché la Chiesa non è altro che il “camminare insieme” del gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore»[20]. Nel discorso di Francesco venivano delineati i tratti essenziali di una «Chiesa sinodale».

Chiesa dell’ascolto e senso soprannaturale della fede («sensus fidei»)

Francesco si rifaceva alle parole del Concilio Vaticano II, che descrivono il popolo di Dio come la totalità dei battezzati, «chiamati a formare una dimora spirituale e un sacerdozio santo» (cfr LG 10), e sottolineava che «la totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo (cfr 1 Gv 2,20.27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando “dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici” mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale (cfr LG 12)»[21].

Il Papa illustrava questa idea richiamandosi a quanto già aveva scritto nell’Evangelii gaudium (cfr EG 119-120) sulla santità del popolo di Dio in virtù dell’unzione dello Spirito, aggiungendo nuovi elementi di riflessione: «Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo” (cfr EG 119), [perché] ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni» (cfr EG 120). Il sensus fidei impedisce di separare rigidamente tra Ecclesia docens ed Ecclesia discens, giacché anche il gregge possiede un proprio “fiuto” per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa». E concludeva così: «Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare “è più che sentire” (cfr EG 171)».

In quel discorso Francesco proponeva «un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, collegio episcopale, vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo “Spirito della verità” (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli “dice alle Chiese” (Ap 2,7)».

Francesco ne traeva immediatamente una conseguenza significativa: «Il Sinodo dei vescovi è il punto di convergenza di questo dinamismo di ascolto condotto a tutti i livelli della vita della Chiesa». In altre parole, l’intera vita della Chiesa è attraversata dalla sinodalità come stile e come processo che non si esaurisce nelle assemblee sinodali, ma appartiene all’essere stesso della Chiesa.

Tappe e livelli del cammino sinodale

Il Papa ci indica anche le tappe di questo dinamismo di ascolto e di comunione in seno a una Chiesa sinodale: «Il cammino sinodale inizia ascoltando il popolo […]. Il cammino del Sinodo prosegue ascoltando i pastori. […] Il cammino sinodale culmina nell’ascolto del vescovo di Roma». In questo processo c’è un dato veramente nuovo che va evidenziato: il cammino sinodale prende le mosse dal popolo di Dio. La ragione è che esso «pure partecipa alla funzione profetica di Cristo» (cfr LG 12). Qui si radica, essenzialmente, il motivo per cui i Sinodi sulla famiglia e sui giovani devono essere preparati consultando il popolo di Dio. In questo modo, spiega Francesco, si attua «un principio caro alla Chiesa del primo millennio: Quod omnes tangit ab omnibus tractari debet»[22]. Di conseguenza vengono riconosciute la capacità attiva e la condizione di soggetto del popolo di Dio, accanto agli altri due soggetti – pastori e vescovo di Roma –, che svolgono funzioni specifiche[23].

Livelli dell’esercizio della sinodalità

Un aspetto correlativo a questi tre soggetti, con le loro tre funzioni specifiche – profezia, discernimento, attuazione –, è la considerazione dei tre livelli nell’esercizio della sinodalità. Il primo riguarda le Chiese particolari, nelle quali è necessario ravvivare il processo di partecipazione attraverso gli «organismi di comunione» previsti nel Codice di diritto canonico, a cominciare dal Sinodo diocesano (cc. 460-468) e proseguendo con il consiglio presbiterale, il collegio dei consultori, il capitolo dei canonici e il consiglio pastorale (cc. 495-514).

Il secondo livello riguarda le province e le regioni ecclesiastiche, i Concili particolari e, in modo speciale, le Conferenze episcopali (cc. 431-459). Attraverso questi organismi, in quanto «istanze intermedie della collegialità», si possono fare passi avanti verso un salutare decentramento della Chiesa (come il Papa aveva già affermato in EG 32).

L’ultimo livello riguarda la Chiesa universale, dove il Sinodo dei vescovi, «rappresentando l’episcopato cattolico, diventa espressione della collegialità episcopale all’interno di una Chiesa tutta sinodale».

Sinodalità come cornice interpretativa del ministero gerarchico

Questa riflessione sul Sinodo dei vescovi delinea il paradigma di una Chiesa sinodale, che sfocia in questa affermazione decisiva: «La sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico». In questo contesto la Chiesa sinodale si presenta come una «piramide capovolta», applicata al collegio apostolico, a ogni vescovo particolare a allo stesso vescovo di Roma, la cui vocazione consiste nel servizio del popolo di Dio[24].

In questa logica di servizio, bisogna sempre ricordare che, «per i discepoli di Gesù, ieri oggi e sempre, l’unica autorità è l’autorità del servizio, l’unico potere è il potere della croce: […] “chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo” (Mt 20,25-27)». Pertanto il Papa conclude così: «Una Chiesa sinodale è come vessillo innalzato tra le nazioni (cfr Is 11,12) in un mondo che […] consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere. Come Chiesa che “cammina insieme” agli uomini, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell’autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità».

Un’ultima osservazione: se finora Francesco aveva parlato della sinodalità ad intra, riflettendo sul funzionamento interno della comunità ecclesiale, nella conclusione della sua riflessione ha lasciato affiorare la sua dimensione ad extra, vale a dire la dinamica missionaria della Chiesa nel mondo.

La dimensione missionaria della sinodalità appare in maniera speciale nell’ultima enciclica di Francesco, Fratelli tutti (2021), dove si auspica una fratellanza universale. Una Chiesa sinodale, in cui camminare assieme, si trasforma nel migliore riflesso di tale proposta, nella sua fotografia vivente. Pertanto la sinodalità non riguarda esclusivamente le questioni intraecclesiali, ma fa parte della relazione tra la Chiesa e il mondo, comprendente un dinamismo che va dalla sinodalità alla fraternità, poiché il popolo di Dio, nel suo camminare storico, vuole condividere con tutti – di altre religioni, convinzioni e culture – la luce del Vangelo.

La riforma del Sinodo dei vescovi nell’«Episcopalis communio» (2018)

Dal 2014 al 2017 la Commissione teologica internazionale ha elaborato un documento sulla sinodalità, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, a cui abbiamo già fatto riferimento all’inizio. Questo testo intende presentare princìpi teologici e orientamenti pastorali per praticare una Chiesa sinodale. In realtà, «sinodalità» designa primariamente una maniera peculiare di vivere e di operare nella Chiesa, popolo di Dio in cammino, in fraternità di comunione e in corresponsabilità, prima ancora di configurarsi in processi e strutture canonici e in eventi sinodali (cfr n. 70).

L’ordine dei capitoli obbedisce a questa falsariga: il capitolo 1 «risale alle fonti normative della Sacra Scrittura e della Tradizione per mettere in luce il radicamento della figura sinodale della Chiesa nel dispiegarsi storico della Rivelazione». Il capitolo 2 si occupa dei «fondamenti teologali della sinodalità in conformità alla dottrina ecclesiologica del Vaticano II». Il capitolo 3 offre orientamenti pastorali «in riferimento all’attuazione concreta della sinodalità ai vari livelli, nella Chiesa particolare, nella comunione tra le Chiese particolari in una regione, nella Chiesa universale». Infine, il capitolo 4 offre orientamenti pastorali «in riferimento alla conversione spirituale e pastorale e al discernimento comunitario e apostolico richiesti per un’autentica esperienza di Chiesa sinodale».

Questo documento costituisce un tentativo di coniugare la nozione di sinodalità con i concetti fondamentali di collegialità e di comunione. La sinodalità, dice il n. 7 (cfr n. 66), significa «il coinvolgimento e la partecipazione di tutto il popolo di Dio alla vita e alla missione della Chiesa», mentre «il concetto di collegialità» si riferisce alla «forma specifica in cui la sinodalità ecclesiale si manifesta e si realizza attraverso il ministero dei vescovi sul livello della comunione tra le Chiese particolari in una regione e sul livello della comunione tra tutte le Chiese nella Chiesa universale». Pertanto ogni manifestazione di sinodalità esige l’esercizio del ministero collegiale dei vescovi.

Pochi mesi dopo la diffusione di questo documento Francesco ha pubblicato la costituzione apostolica Episcopalis communio, in cui viene compendiato il suo sforzo per collegare sinodalità e Sinodo dei vescovi[25]. Questo testo costituisce una revisione e un’attualizzazione dell’ Apostolica sollicitudo, avvalorando l’istituzione messa in opera da Paolo VI come «una delle più preziose eredità del Concilio Vaticano II», «nuovo nella sua istituzione ma antichissimo nella sua ispirazione» (EC 1). Il rinnovamento del Sinodo voluto da Francesco richiede che si avviino processi consultivi, in modo da rendere più presenti i laici e le loro voci. Come abbiamo già avuto modo di notare, una Chiesa sinodale è «una Chiesa dell’ascolto» e ogni prassi sinodale «inizia ascoltando il popolo», «prosegue ascoltando i pastori» e «culmina nell’ascolto del vescovo di Roma».

Se la collegialità è al servizio della sinodalità, «il Sinodo dei vescovi deve sempre più diventare uno strumento privilegiato di ascolto del popolo di Dio». Pertanto, diviene indispensabile il processo consultivo che coinvolge tutte le Chiese particolari (cfr EC 7). A esso deve far sèguito un «discernimento da parte dei pastori», che, attenti al sensus fidei del popolo di Dio, devono essere capaci di percepire le indicazioni dello Spirito, distinguendole «dai flussi spesso mutevoli dell’opinione pubblica» (EC 7). La costituzione apostolica ha delineato una nuova normativa, disegnando una prassi sinodale in tre fasi: preparazione, celebrazione e applicazione del Sinodo dei vescovi.

La sinodalità non si può dispiegare a tutti i livelli senza il servizio della presidenza esercitata, al livello della Chiesa universale, dal vescovo di Roma (cfr EC 10). Nel corso di questa rivisitazione del cammino sinodale del Papa si è man mano delineata nitida l’impronta di una ferma volontà favorevole a un esercizio sinodale e diaconale dell’autorità papale, a «un primato dell’ascolto» in una «Chiesa costitutivamente sinodale»[26].

Conclusione: «Il cammino non c’è, lo si fa camminando»

Il Papa ha fissato per tutta la Chiesa una prossima meta, che possiamo esprimere con i celebri versi di Antonio Machado: Caminante, no hay camino, se hace camino al andar Viandante, il cammino non c’è, lo si fa camminando»). È la spinta della sinodalità, che viene da molto lontano. Alcune parole di Francesco ci indicano ancora la rotta e il compito, il passato più recente e la speranza per il futuro: «Il Concilio Vaticano II ha segnato un importante passo nella presa di coscienza che la Chiesa ha sia di se stessa sia della sua missione nel mondo contemporaneo. Questo cammino, iniziato più di cinquant’anni fa, continua a spronarci nella sua ricezione e sviluppo, e non è ancora giunto a termine, soprattutto rispetto alla sinodalità che si deve operare ai diversi livelli della vita ecclesiale (parrocchia, diocesi, nell’ordine nazionale, nella Chiesa universale, come pure nelle diverse congregazioni e comunità)»[27].

Concludiamo con una sottolineatura del duplice obiettivo della sinodalità: da una parte, sulla linea missionaria tracciata dall’Evangelii gaudium, «l’obiettivo di questi processi partecipativi non sarà principalmente l’organizzazione ecclesiale, bensì il sogno missionario di arrivare a tutti» (EG 31); dall’altra, sulla linea della diaconia sociale rilanciata nelle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti, la sinodalità aspira a costruire un popolo, una comunità fraterna e missionaria al servizio del bene comune della società e della cura della casa comune.

 

La Civiltà Cattolica - Quaderno 4111 - pag. 17 – 33 -Anno 2021 - Volume IV

2 Ottobre 2021

 Vatican News


Immagine: https://www.latitudeslife.com/2017/03/primavera-pellegrini-in-cammino/


 

 

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